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I PERDENTI DI SEMPRE

L'equivoco lombardoveneto

Nicola Zotti


Nello scorso mese di giugno 2006
e anche in questi primi giorni di luglio, tra mondiali di calcio, primi passi del nuovo governo e tensioni internazionali miste, ai giornali non sarebbero certo mancate occasioni per riempire le proprie pagine.

Non si spiega, quindi, la diffusa attenzione riservata a quelle poche parole di commento ai risultati del referendum confermativo sulla riforma costituzionale, rimbalzate da esponenti della Lega nord: "si stava meglio sotto il Lombardoveneto che sotto Roma".

Chi frequenta un po' le due regioni sa che l'opinione, tra lo sfogo e il luogo comune, è radicata: vagheggia un'età dell'oro in cui le due regioni condividevano un posto nella Mitteleuropa e venivano amministrate con correttezza e rigore asburgici.

Che poi da quell'effervescente Mitteleuropa Lombardia e Veneto fossero culturalmente escluse (colonizzate da austriaci e ungheresi) e che quell'amministrazione fosse fondata su un bilancio statale segreto, poco importa ai nostalgici.

I loro rimpianti, come spesso accade, sono radicati nel mito. Un mito che nasconde l'origine stessa delle loro condizioni attuali.

Negli anni della restaurazione e in quelli successivi, quando alcune regioni d'Italia -- nel Regno di Sardegna, ovviamente, ma anche nel Regno di Napoli -- ci si esercitava attivamente esplorando e cimentandosi negli esperimenti di una politica "nazionale", il Lombardoveneto soffriva un dominio paternalista che ne soffocava l'educazione alla politica, e ne incentivava il benessere economico solo per poterlo tassare con più successo.

I perdenti di oggi, quindi, non sono altro che i perdenti di ieri, e continueranno ad esserlo, finché non guarderanno alla propria storia con un minimo di senso critico in più.