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UN RIMPROVERO A PAOLO MIELI

Europa e Turchia

Nicola Zotti


Trovo fastidiosamente smargiassi gli storici che stupiscono con effetti speciali tirati fuori dai polverosi cassetti della storia.

Lo faccio anche io, che storico non sono, ma ho solo letto qualche libro di storia militare in più della media: e non è un'impresa.

Ma da Paolo Mieli, solenne, colto e accorto come un signore rinascimentale, mi aspetterei una capacità di concepire e comunicare ai suoi lettori una concezione della storia che va al di là dell'aneddotica, ma offre un senso politico più ampio e riflessivo.

Un'aneddotica che si presta a giustificare tutto e il contrario di tutto, perché è sempre possibile trovare un aneddoto a sostegno di una tesi qualsiasi.

Vengo al dunque. In ben tre articoli della sua rubrica di lettere, Paolo Mieli risponde ai lettori sulla questione dell'entrata della Turchia nell'Unione Europea.

Un problema controverso. Mieli solidarizza con chi manifesta una "ossessione nei confronti dei turchi" e prende spunto da un episodio raccontato nel libro di Giovanni Ricci "Ossessione turca" per mostrare quanto sia antica e radicata.

Nel 1483 Alfonso duca di Calabria, si recò a Ferrara in visita alla sorella, maritata con il duca Ercole I d'Este, portando con sé i 500 turchi propria guardia.

Il sultano Maometto II aveva occupato Otranto per 13 mesi, avviandovi un fiorente mercato di schiavi, catturati in tutto il sud d'Italia. La sua morte improvvisa (probabilmente fu avvelenato...) proprio mentre stava raccogliendo un esercito per partire alla conquista del nostro Mezzogiorno, indebolì i turchi e Alfonso, figlio del re di Napoli, diventò un eroe del suo tempo scacciandoli dall'Italia.

Simbolo più evidente della sua impresa erano appunto i 500 turchi della sua guardia. Di questi, però, 300 colsero l'occasione della visita a Ferrara per fuggire verso Venezia, causando sconcerto nella città estense.

Infatti Ferrara era in guerra proprio con Venezia e la popolazione temeva di trovarsi un giorno quei 300 terribili turchi avversari sul campo di battaglia.

Il duca d'Este cercò di tranquillizzare i suoi preoccupati sudditi spiegando che i turchi si erano recati a Venezia nella speranza di trovare un imbarco che li riportasse ai loro affetti, verso i quali provavano un'incontrollabile nostalgia.

Chissà, però, se Ercole d'Este era più ossessionato dai turchi o dall'endemica minaccia dei veneziani. O dai Borgia, con i quali si imparentò, facendo sposare la sorella di Cesare, Lucrezia, a suo figlio Alfonso (anche lui), che divenne così il suo terzo e, purtroppo per lei, ultimo marito.

Insomma dal Mieli storico mi attenderei una capacità di presentarci una storia un po' più saggia maestra di vita e un po' meno pettegola compagna del liceo.

La storia d'Europa è intimamente connessa con quella dell'Impero Ottomano: l'Europa non sarebbe quella che conosciamo senza che l'aggressività espansionistica turca non l'avesse plasmata per due secoli.

Storia di conflitti acerrimi, si dirà. Ma quello che ci rimane di quei conflitti sono intersezioni culturali che non possono essere ignorate.

La diffusa concezione strettamente geografica fisica dell'Europa politica e della cultura occidentale si deve certamente all'Impero Ottomano. Ma sempre ai turchi dobbiamo la prima rottura di questo stesso schema, che Mustafa Kemal Atatürk concepì e perseguì con una drammatica, assoluta determinazione, nei 15 anni della sua presidenza.

E come ai tempi degli Ottomani o a quelli di Atatürk il problema è politico: sarebbe giusto parlare di quello e non di ossessioni.