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E NOI PARLIAMO D'ALTRO

Che ministro d'Egitto...

Nicola Zotti




Uno dei più insulsi modi di dire della nostra lingua, che usiamo per indicare una situazione incomprensibile e in qualche modo assurda è "roba d'Egitto!".

Ormai è un po' in disuso, almeno mi pare, ma permettetemi di tirarlo fuori dal cestino semantico nel quale è stato buttato, per usarlo in questa circostanza.

Quello che in questa fine di gennaio 2011 sta accadendo in Egitto e la paradossale agenda del nostro ministro degli Esteri ci fornisce, infatti, l'occasione per sbottare in un "ma che ministro d'Egitto!".

La più importante nazione dell'Africa mediterranea e del mondo arabo è in rivolta e lui trova il tempo per andare in senato a riferire d'altro, per poi partire a sciare sull'Appennino?

Ma come è possibile che abbia tempo da perdere, che non ci sia un sottosegretario disponibile a sollevarlo dal primo incarico e il senso di responsabilità per rinviare la vacanza, mentre auspicabilmente dovrebbe essere impegnato 24/7 a pianificare con i partner europei e americani come esercitare influenza per una pacifica e felice soluzione della crisi egiziana?

Stiamo parlando dell'Egitto, di cui siamo i principali partner commerciali, e con il quale possiamo vantare antichi e solidi legami culturali, per non parlare dei molti cittadini egiziani che lavorano nel nostro paese o che hanno acquisito la nostra nazionalità. Un grande paese amico, in forte per quanto controversa modernizzazione, sul quale l'Italia ha il dovere di intervenire per contribuire a difendere i nostri interessi economici e politici.

Stiamo parlando di una nazione strategica proprio per le due "faglie" che si incontrano e si incrociano sul suo territorio geografico e storico: quella araba e quella africana, per non parlare delle petroliere che attraversano il canale di Suez.

Soprattutto, stiamo parlando di un paese che è ad un momento di svolta cruciale, ma veramente, per il nostro futuro, nel quale comprendiamo, ovviamente, il futuro dello stato di Israele.

Il bivio è reale e l'amministrazione Obama lo ha capito, forse, condizione necessaria per iniziare ad affrancare l'Occidente dal ricatto "meglio i satrapi dei terroristi", che ha plasmato le nostre scelte politiche fino ad ora. Sempre che gli americani stessi non si facciano prendere la mano da un certo idealismo buttando il bambino con l'acqua del bagno, ovvero liquidando un alleato leale come Hosni Moubarak senza rispetto per la moderazione e la coerenza con la quale ha condotto le scelte di politica estera del proprio paese.

Sarà democrazia? sarà dittatura militare? sarà repubblica islamica? una qualche via di mezzo? mi pare che una o l'altra di queste strade non sia indifferente: ci possiamo permettere un altro Iraq, un altro Afghanistan o un altro Iran?

E il mostro ministro degli Esteri che fa? perde tempo a rispondere alle interrogazioni parlamentari: ma che ministro d'Egitto...



PS (del ministro della Difesa ormai ho rinunciato a parlare per sconforto...)