torna alla homepagetorna alla homepage
storia militare e cultura strategica
torna alla homepage
 
dalle discussioni
dell'area Warfare di MClink,
a cura di Nicola Zotti
 
home > documenti > Attila (? – 453)


ricognizioni
in territorio ostile


recce team

storie
strategia
tattica
what if?
vocabolario
documenti
segnalazioni
link
scrivici


quelle piccole sciabole incrociate

quelle piccole spade incrociate

Viaggi nei
campi di battaglia d'Italia
sulle carte del Tci


IL SECONDO FLAGELLO DI DIO

Attila (? – 453)


nicola zotti





Se mai si giungerà a una "scuola unica europea", uno dei tanti spinosi problemi che dovranno affrontare gli estensori di un comune testo di storia, riguarderà indubbiamente la figura di Attila re degli Unni: eroe popolare in Ungheria, per i tedeschi re saggio nella Saga dei Nibelunghi e nell'Edda, emblema della più feroce barbarie in Italia e in Francia. Ferite antiche e mai del tutto rimarginate: anzi riaperte un secolo fa durante la Prima guerra mondiale, quando in Gran Bretagna i soldati tedeschi per gli eccidi di civili compiuti in Belgio si meritarono l'appellativo dispregiativo di "Huns". E Unni rimasero i tedeschi anche durante la Seconda guerra mondiale nel linguaggio comune di leader come Winston Churchill e di Franklin D. Roosevelt. Un'associazione con l'antico popolo di Attila che lo stesso Kaiser Guglielmo II aveva non solo suggerito, ma addirittura imposto ai suoi soldati in un discorso divenuto famoso come "Hunnenrede", il discorso degli Unni. Il 27 luglio 1900, salutando il contingente tedesco che avrebbe partecipato alla coalizione contro la ribellione dei Boxer in Cina, il Kaiser sollecitava i soldati tedeschi a guadagnarsi presso quel popolo la stessa feroce reputazione di Attila e degli Unni.

E se gli Unni possono in qualche modo consolarsi, condividendo la loro cattiva fama lessicale almeno con i Vandali, non altrettanto può essere detto di Attila, il cui ricordo è sicuramente più vivo e simbolico, per dire, di quello di Genserico, re degli stessi Vandali durante il sacco di Roma del 455, per non parlare, poi, di Alarico re dei Goti, che aveva saccheggiato Roma nel 410, e per il quale Agostino di Ippona coniò la definizione di "Flagello di Dio" che poi verrà associata al nome di Attila, rimanendovi legata per sempre.

Qualunque sia l'opinione che si ha di lui, oggi come ieri Attila si staglia nel ricordo dell'Europa come un gigante, un protagonista delle vicende del continente, del nostro immaginario e della nostra cultura.

Le origini degli Unni erano molto probabilmente asiatiche: sono stati identificati come la più occidentale delle popolazioni che i cinesi chiamavano Xiongnu, l'elite di una coalizione di tribù di stirpe mongolica e turca provenienti dalle steppe siberiane. Studi sul DNA non hanno dato risultati conclusivi, ma l'origine estremo-orientale degli Unni è ancora oggi la più accreditata. Una conferma l'abbiamo anche dall'unico testimone oculare che ci abbia lasciato una descrizione di Attila, il diplomatico e storico bizantino Prisco di Panion, inviato da Teodosio II alla corte del re degli Unni nel 448/49. Questi tiene a precisare come Attila mostri tutti i segni tipici "delle sue origini": « ...basso di statura, con un ampio petto, testa massiccia, e gli occhi piccoli. La sua barba era sottile e cosparsa di grigio, il naso piatto, e la sua carnagione scura». I tratti fisici di Attila sembrerebbero proprio mongolici. Va precisato, però, che Prisco non ha preconcetti, e non nasconde anzi il suo rispetto e la sua ammirazione per il re degli Unni: «Un amante della guerra, ma personalmente trattenuto nell'azione, impressionante nel consiglio, pietoso verso i supplici, e generoso con coloro ai quali una volta aveva dato la sua fiducia».

Attila volle dare ai suoi interlocutori un segnale preciso sulla propria personalità fin dal suo primo incontro con loro. La delegazione bizantina venne invitata a partecipare, senza alcuna formalità, alla tavola che il re divideva con i suoi familiari e collaboratori più stretti. Attila si distingueva immediatamente da tutti gli altri commensali per la modestia nell'abbigliamento, pulito e dignitoso quanto sfarzoso e ricco era quello dei suoi ospiti. Altrettanto ostentata era la povertà della sua tavola: usava stoviglie di legno e mangiava solo carne, mentre agli altri erano offerte pietanze varie ed elaborate servite in piatti e coppe preziose. Una sofisticata forma di comunicazione politica che i Bizantini apprezzarono e sottolinearono al loro ritorno in patria. Attila poteva certo essere un uomo con grande istinto predatorio, e capace di recedere dai propositi di guerra una volta ottenuto un sufficiente compenso, ma voleva altresì mostrare di non essere personalmente suscettibile a nessuna delle lusinghe esteriori del potere, e forse di incarnare gli ideali di morigeratezza, di sobrietà e disinteresse personale che avevano fatto grandi i Romani.

Attila conosceva la storia di Roma, avendo trascorso un periodo della sua gioventù come ostaggio a Ravenna, e parlava anche il latino: è naturale vedesse un'analogia tra se stesso e il suo popolo, che dal nulla avevano costruito un impero, e i Romani, che prima di loro avevano compiuto lo stesso percorso. Come Attila e dopo Attila, Roma sarebbe stata il modello al quale molti altri popoli in cerca di gloria e di grandezza avrebbero tratto ispirazione. Gli Unni erano arrivati in Europa da Oriente nella seconda metà del IV secolo, prima della nascita di Attila, che gli storici collocano tra la fine di quello stesso secolo e i primi anni del V. Fu un cataclisma per la storia del continente, perché provocò la dislocazione delle popolazioni germaniche verso Occidente e il sicuro rifugio dell'Impero romano. Gli imperatori romani inizialmente intrattennero rapporti utilitaristici con gli Unni, servendosi largamente di loro come mercenari proprio per contrastare le migrazioni che gli stessi Unni avevano provocato.

C'era, però, un'ambiguità di fondo in questa relazione, che Attila era intenzionato a sciogliere: i Romani erano i "datori di lavoro" degli Unni o piuttosto i loro tributari? Il pretesto per risolvere la questione fu offerto a Attila da Onoria, sorella dell'Imperatore romano di Occidente Valentiniano III che, per sfuggire al matrimonio impostole dal fratello, chiese aiuto proprio a Attila, inviandogli il suo anello come prova di fiducia. Attila non indugiò: interpretò la richiesta di Onoria come una proposta di matrimonio e chiese in dote a Valentiniano metà dell'Impero romano. Un pegno d'amore forse un po' eccessivo, ma Attila lo considerava ormai un suo diritto, e un motivo in più per invadere la Gallia.

Attila guidava un esercito estremamente composito. Il nucleo centrale degli Unni faceva da catalizzatore a un gran numero di altri gruppi etnici che, grazie ad Attila e alla sua politica inclusiva, ne condividevano interessi e obiettivi. Nonostante questa politica di alleanze, però, è impossibile che le forze di Attila raggiungessero i numeri stratosferici attribuiti all'epoca dai cronisti, ma è più probabile si attestassero attorno a qualche decina di migliaia. Bisogna infatti considerare che tutti gli Unni combattevano a cavallo e ciascun guerriero ne portava con sé in guerra più d'uno: una forza di 20.000 Unni accompagnata da 100mila cavalli dunque da sola consumava giornalmente almeno 2mila ettari di pascolo.

Ai Campi Catalaunici, nella regione Champagne-Ardenne, il 20 giugno 451, Ezio sconfisse Attila, ma non ne distrusse la minaccia. L'esercito "romano", composto in larga parte da Visigoti, Alani e Burgundi, era una costruzione dell'abilità diplomatica di Ezio, tenuta assieme dalla paura della minaccia unna: meglio indebolire quest'ultima, dunque, mantenendola, però, ancora viva e latente per far sopravvivere anche la coallizione stessa.

Ad allontanare Attila dall'Impero Romano pensò il papa Leone I. In quegli anni di decadenza dell'autorità imperiale, la Chiesa e i suoi esponenti locali spesso rimasero le uniche autorità riconosciute, dopo che nel caotico scenario delle invasioni barbariche quelle civili e militari erano scomparse. Non deve dunque stupire che papa Leone I, vescovo di Roma e figura di grande rilievo nella storia del cristianesimo, avesse un ruolo preminente nella delegazione che l'imperatore Valentiniano III inviò nel 452 nel campo di Attila, sulle sponde del lago di Garda. Leone dovette essere molto convincente, perché Attila si ritirò. Forse il re degli Unni fu convinto con l'oro, forse fu sufficiente informarlo che Ezio era pronto a tagliargli la strada del ritorno unendo le sue forze a altre provenienti da oriente.

Attila sarebbe sicramente tornato di nuovo contro Roma, ma fu fermato dalla morte nel 453. Narra la leggenda che il re degli Unni fu sepolto nel letto di un fiume deviato assieme a enormi ricchezze. Il suo corpo era protetto da tre bare: la prima d'oro, la seconda d'argento (per rappresentare i suoi successi sull'Impero romano d'Oriente e sull'Impero romano d'Occidente) e l'ultima di ferro (simbolo delle sue vittorie militari). Per custodire il segreto il fiume fu riportato nel suo alveo e tutti coloro che erano a conoscenza dell'ubicazione della sepoltura furono uccisi. Il ritrovamento dei resti di un nobile unno in Ungheria nella primavera del 2014 fece sperare di aver finalmente individuato i resti di Attila, ma fu poi accertato che l'uomo era morto diversi decenni prima del re degli Unni.