torna alla homepagetorna alla homepage
storia militare e cultura strategica
torna alla homepage
 
dalle discussioni
dell'area Warfare di MClink,
a cura di Nicola Zotti
 
home > documenti > Walter Model (1891 – 1945)


ricognizioni
in territorio ostile


recce team

storie
strategia
tattica
what if?
vocabolario
documenti
segnalazioni
link
scrivici


quelle piccole sciabole incrociate

quelle piccole spade incrociate

Viaggi nei
campi di battaglia d'Italia
sulle carte del Tci


Il pompiere di Hitler

Walter Model (1891–1945)


nicola zotti




Walter Model, l’uomo che Hitler definì “il mio miglior generale” e “il mio pompiere”, per la sua capacità di risolvere le situazioni più disperate, aveva condotto in gioventù studi classici. Amava il greco, il latino, la storia e la poesia, tanto da entrare in un circolo letterario, e del topo di biblioteca aveva anche l’aspetto: piccolo, mingherlino e miope.

Ritrovò questa sua formazione giovanile nelle ultime ore di vita, dopo 35 anni trascorsi nell’Esercito tedesco: “Abbiamo fatto tutto per giustificare le nostre azioni davanti alla Storia? Che cosa rimane a un comandante sconfitto? Nell’antichità prendevano il veleno”.

Il 21 aprile 1945 scelse invece un colpo di pistola per togliersi la vita, incapace di sopravvivere alle macerie della nazione per la quale aveva combattuto.

Walter Model


Su di lui sono stati espressi giudizi contrastanti, sia da parte dei contemporanei e sia dagli storici: ma la causa è anche da addebitare allo stesso Model, che prima di suicidarsi ci negò il proprio punto di vista distruggendo tutte le sue carte, e lasciando quindi ai posteri, per giudicarlo, solo le sue azioni e le opinioni di chi lo aveva conosciuto.
Sappiamo che nel 1909, a 18 anni appena compiuti e terminati con profitto gli studi, la sua decisione di entrare nell’esercito sorprese tutta la sua famiglia, di estrazione piccolo-borghese: gli ci volle la raccomandazione di uno zio ufficiale della riserva per riuscire ad arruolarsi come alfiere, ma il suo entusiasmo e il suo impegno furono premiati, perché dopo nemmeno un anno fu inviato ad una scuola di guerra che lo avrebbe diplomato tenente. Nel 1913 gli fu assegnato l’incarico di aiutante di battaglione: si era dimostrato un giovane di grande talento e dedizione, seppure senza alcuna capacità di intessere rapporti sociali con i colleghi. Al contrario rivelò una predisposizione per la critica diretta e senza mediazioni, che l’Esercito tedesco incoraggiava, ma nel suo caso spesso superava i limiti dell’opportuno. Non faceva nulla, insomma, per farsi piacere. Eppure proprio in quegli anni, forse proprio per il desiderio di meglio integrarsi tra i colleghi, forse per ansia di appartenere a qualcosa, prese ad assumere gli atteggiamenti e anche l’apparenza estetica del classico ufficiale prussiano, compreso un monocolo che adottò abbandonando gli occhiali, e che vediamo nelle sue foto istituzionali e di propaganda.
Durante la Grande Guerra fu gravemente ferito tre volte, ottenne alte decorazioni per numerose imprese di combattimento, ma le qualità di Model andavano oltre quelle del guerriero e un suo superiore, il maggiore Hans von Seekt – destinato a diventare l’uomo che rifonderà le Forze Armate tedesche nel dopoguerra – lo avviò agli studi per intraprendere la prestigiosa carriera di ufficiale di Stato maggiore: la destinazione più ambita da un giovane militare.
Di lì a poco, però, la disfatta della Germania rappresentò un colpo durissimo per Model, ma aveva dimostrato attitudine al comando, coraggio, grande abilità tattica, e von Seekt, ora comandante supremo del nuovo Esercito della Repubblica di Weimar, lo aveva inserito nella ristretta cerchia dei 4.000 ufficiali che il trattato di Versailles aveva imposto come limite massimo all’Esercito tedesco. La sua carriera da quel momento in poi confermò la fiducia che i suoi superiori avevano avuto in lui.
Non si era mai interessato di politica, come era costume tra gli ufficiali tedeschi, usi a non interferire nelle scelte politiche e a rivendicare autonomia in quelle militari. Tuttavia, l’avvento al potere del Partito nazista, con i suoi richiami all’ordine e all’orgoglio nazionale, risuonò in lui come un momento atteso e anche auspicato. I suoi rapporti con alti membri del partito e del governo furono quindi da subito buoni, indubbiamente anche per convenienza, e la carriera di Model ne trasse beneficio, venendo nominato generale proprio alla vigilia della guerra.
Partecipò con compiti secondari e in unità di fanteria alle campagne di Polonia e di Francia. Ma il suo interesse per le innovative forze corazzate era stato sempre vivissimo e quando all’orizzonte si profilò la guerra contro l’Unione Sovietica, le sue connessioni altolocate, più che la sua esperienza o le sue competenze, gli fecero ottenere il comando della 3ª divisione corazzata. Proveniva dalla fanteria, e l’incarico provocò inevitabili recriminazioni e l’antipatia dei colleghi scavalcati. La 3ª divisione corazzata era un’unità veterana – a pieno organico con i suoi 215 carri armati – inserita nel 2º Panzergruppe di Heinz Guderian, la punta di lancia del “Gruppo Armate Centro” diretta contro Mosca: Model dimostrò di meritarsi di guidarla, mietendo successi dopo successi nell’avanzata dei mesi estivi.
Erano state vittorie grandi ma costose che avevano ridotto la 3ª divisione a soli 50 carri, e con l’arrivo dell’autunno lo scenario della guerra in Russia stava rapidamente cambiando. Promosso al comando del XLI Corpo partecipò all’Operazione Tifone, che doveva conquistare la capitale sovietica. Ma l’offensiva si arenò a qualche decina di chilometri dal suo obiettivo. L’Alto comando tedesco aveva sbagliato il calcolo delle necessità logistiche della guerra – in media del 25%, e per il solo carburante del 30% – e ora i carri tedeschi erano fermi in attesa delle cisterne che avrebbero dovuti rifornirli per riprendere l’avanzata. Ma l’inverno fu più veloce, portando rapidamente le temperature a -40°, e congelando definitivamente uomini, mezzi e le ambizioni di Hitler. Contro le esauste e infreddolite truppe tedesche si scatenò allora, violentissimo, il contrattacco sovietico, giungendo ad un passo dalla più eclatante e decisiva delle vittorie. Se questa non venne alla fine ottenuta, nonostante interi Corpi d’armata tedeschi circondati e varchi nel fronte di centinaia di chilometri, pesò più l’inesperienza sovietica che la tenacia della disperata resistenza della Wehrmacht. Model, però, fu l’unico tra i generali tedeschi ad uscire da quell’infernale inverno di guerra con la reputazione ingigantita: aveva saputo tenere testa ad avversari enormemente superiori di numero muovendosi incessantemente sulla linea di combattimento, sollecitando i suoi uomini alla resistenza anche con la propria pistola, ed era l’unico che poteva lamentarsi con i suoi superiori di essere stato costretto a ritirarsi perché le unità ai suoi fianchi lo stavano già facendo.
Hitler rimase fortemente impressionato da quella prestazione e lo richiamò alla “Tana del Lupo” per promuoverlo, dopo solo due mesi dal precedente avanzamento, comandante della 9ª Armata, schierata sul saliente di Rhzev e minacciata di imminente distruzione. “Avete visto quegli occhi?”, disse poi Hitler ai suoi collaboratori, “Ho fiducia che quell’uomo possa farcela. Ma non vorrei essere un suo sottoposto”. Il dittatore tedesco sperimentò presto di che pasta fosse fatto Model. Provò ad ingerirsi della conduzione delle operazioni e il generale ritornò immediatamente alla tana del Lupo per chiedergli faccia a faccia: “Mio Führer, chi comanda la 9ª Armata: lei o io?”, e strappò la fiducia che gli era stata promessa.
Aveva trovato truppe ridotte ad un quarto degli effettivi e demoralizzate, minacciate di imminente distruzione, e non a caso il suo predecessore era stato dimesso a causa di un crollo nervoso. Model riuscì, però, a evitare la catastrofe costruendo unità con ogni uomo avesse a disposizione: meccanici e artiglieri disoccupati per carenza di carri e cannoni, personale dei quartier generali, addetti di retrovia. Riuscì persino a costruirsi una brigata di cavalleria prelevando le unità montate da ricognizione e i cavalli inutilizzati della logistica, e un’unità di sciatori con il surplus degli equipaggi dei carri armati. Con queste forze raccogliticce affrontò anche la prima delle sue prove di comando, la difesa del saliente di Rzhev contro l’offensiva sovietica, denominata Operazione Marte. Fu solo la prima di una lunga serie di battaglie combattute da Model che esaltarono la sua abilità difensiva. Rianimava gli uomini con la sua presenza, a volte strigliando brutalmente gli ufficiali in comando, e sottoponendo sempre il suo staff a prove di resistenza che solo lui era in grado di sostenere. Gli ultimi due anni di guerra videro Model impegnato a contenere la marea che ormai montava contro la Germania da ogni punto cardinale. Model era ovunque ci fosse necessità di spegnere il fuoco di un’offensiva nemica o tentare un’impresa disperata: dall’Offensiva su Kursk, a quella delle Ardenne, alla difesa finale sul Reno, contro l’avanzata anglo-americana. Ma ormai l’incendio era troppo esteso e nemmeno il geniale, infaticabile “pompiere di Hitler” poteva più porvi rimedio. Aveva rinviato la sconfitta, e questo compito assolse come forse nessun altro sarebbe riuscito a fare: era sufficiente per rispondere, come egli si chiese preparandosi a morire, al “giudizio della Storia”?

Il “tritacarne” di Rhzev

A inizio autunno del 1942 l’intelligence tedesca aveva raccolto informazioni su una probabile offensiva sovietica contro il saliente di Rhzev. I servizi informativi tedeschi godevano di scarsa considerazione presso gli alti vertici militari, che spesso avevano bollato i loro rapporti come inaffidabili. Model, al contrario, curava con estrema attenzione le attività di intelligence e già sospettava una prossima offensiva nemica nel suo settore, anche per le ripercussioni che avrebbe avuto sulla battaglia di Stalingrado. Analizzò ogni ipotesi di attacco, rinforzò l’intera estensione del fronte con una doppia cinta di bunker e fortificazioni campali, disboscando le zone antistanti per avere campi di tiro più ampi. Costituì un corpo centralizzato di artiglieria e una riserva mobile con tre divisioni corazzate, seppure assai ridotte: 5ª e 9ª a sostegno di von Arnim e la 1ª sul fronte di Harpe, per un totale di appena 157 carri, ma si assicurò che altre divisioni sarebbero accorse in caso di necessità.

Il piano dell’Armata Rossa: l’Operazione Marte
L’operazione “Marte” iniziò la mattina del 25 novembre 1942 con quattro attacchi simultanei lungo il perimetro del saliente di Rzhev. Per distruggere la 9ª Armata il maresciallo Georgy Zhukov avrebbe impegnato 800.000 truppe d’assalto e 2.000 carri armati. Lo sforzo principale sarebbe stato sostenuto dalle armate del Fronte Occidentale del generale Ivan Konev contro il XXXIX Panzerkorps del generale Hans-Jürgen von Arnim. Le armate del Fronte di Kalinin guidate dal generale Maksim Purkaev avrebbero effettuato tre puntate offensive: due principali condotte dalla 22ª e dalla 41ª Armata contro il XXXXI Panzerkorps del generale Josef Harpe, e una secondaria a nord con la 39ª Armata contro il XXIII Corpo d’armata. L’obiettivo era chiudere la tenaglia a occidente di Sychevka e prendere così in una sacca tutta l’Armata tedesca.

L’Attacco: 25-30 novembre 1942
Konev concentrò su un fronte di appena una decina di chilometri il fuoco di 53 reggimenti di artiglieria, ma la neve, la nebbia e le misure difensive predisposte da Model ne annullarono gli effetti. L’assalto di 3 divisioni di fanteria vennero respinti con il 50% di perdite, e solo altri attacchi a ondate riuscirono infine ad aprire un piccolo varco nelle difese tedesche. Konev vi lanciò immediatamente le sue riserve mobili, convinto di sfruttare il successo. L’azione era però prematura e in quegli spazi ristretti le truppe sovietiche si bloccarono in un ingorgo di uomini e mezzi, diventando un facile bersaglio per la riserva di artiglieria di Model. Migliore esito ebbero gli attacchi sul Fronte di Kalinin: in particolare la 41ª Armata che sfondò la sezione del fronte tenuta da una debole divisione della Luftwaffe.

Difesa e contrattacco: 1-20 dicembre 1942
Von Arnim aveva il suo settore sotto controllo già il 30 novembre, ma la situazione dalla parte di Harpe era più difficile. Model impiegò subito le sue divisioni di riserva e chiese l’invio di quelle promesse dal Gruppo Armate Centro. Ci sarebbero però voluti dei giorni perché arrivassero e nel frattempo i sovietici rinnovarono con forza i loro attacchi. Si avvicendarono giorni frenetici, durante i quali Model diede fondo a tutte le proprie energie e alle proprie risorse di comandante per tappare ogni falla, respingere ogni attacco, lanciare mirate controffensive là dove avrebbero avuto le conseguenze tatticamente più significative. Alla fine, con l’intervento delle divisioni corazzate 12ª, 19ª e 20ª, fu l’Armata Rossa ad essere presa in una sacca, subendo perdite superiori al 30% della forza impegnata e forse anche maggiori. Model completò poi la sua eccezionale impresa con una magistrale ritirata, l’Operazione Bufalo, che dal 1 al 22 marzo portò a una riduzione del fronte di 370 chilometri, risparmiando 21 divisioni.

La tattica difensiva di Model

Durante la Prima guerra mondiale la Germania aveva tenuto il fronte con successo sfruttando un nuovo sistema difensivo che rinunciava ad un fronte continuo e si basava su una “difesa elastica” costituita da capisaldi che si proteggevano l’un l’altro, e da truppe di riserva per i contrattacchi. Il sistema aveva funzionato, ma erano stati sperimentati, con uguale successo, anche altri sistemi come quello proposto dal generale Fritz von Loßberg, sostenitore di una “difesa in profondità” continua e rigida, ma dislocata su linee distanziate tra loro. Nel periodo tra le due guerre, Model aveva avuto modo di collaborare con von Loßberg e di apprezzarne le idee, divenendo un vero esperto di tattiche difensive. In spazi ampi come quelli russi, la difesa elastica offriva agli avversari canali di infiltrazione eccessivamente numerosi e ampi, e i capisaldi avrebbero rappresentato, con la loro concentrazione di truppe, un bersaglio troppo appetibile per la potentissima artiglieria sovietica. Model dunque costituì una difesa a cordone continua, costituita da tanti piccoli nuclei difensivi guarniti da pochissimi uomini, anche in rifugi nella neve, ma estesa in profondità. I supporti e le riserve erano poi distribuiti localmente, in modo che la loro velocità di reazione fosse massima. La costante e persino ossessiva e invadente presenza di Model sulla linea del fronte faceva il resto.