Solo oggi sono venuto a sapere della morte di monsignor Enelio Franzoni. 
               
              È morto lo scorso anno a Bologna, dove viveva. 
               
              Ma non è della sua morte che voglio scrivere, ma di quello che fece in vita. 
               
              Cappellano militare, si trovava in Russia e venne preso prigioniero. Qui rimase finché l'ultimo gruppo di prigionieri non venne rispedito a casa, rinunciando a partire quando avrebbe potuto, padre spirituale fino in fondo. 
               
              L'eccezionalità della sua persona è tutta qui:  ciò che è straordinario ed eroico per noi, in lui realizzava la naturale semplicità di una scelta del cuore, ineludibile, immotivabile, irrinunciabile. 
               
              Nel nostro mondo costruito di calcoli a base di bilance truccate, di rancorose richieste di riconoscimenti, di ambizioni vane quanto qualsiasi vanità, è scomparso con lui l'esempio di un'umanità  che fa e dà, leggera, senza enfasi, senza rumore, solo per fare e dare. 
               
              Seguendo, come disse in un'intervista ad Enzo Biagi, «l'istinto che ti spinge a rifugiarti dietro il più debole».  
              
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