torna alla homepagetorna alla homepage
storia militare e cultura strategica
torna alla homepage
 
dalle discussioni
dell'area Warfare di MClink,
a cura di Nicola Zotti
 
home > documenti > Otto von Bismarck (1815 – 1898)


ricognizioni
in territorio ostile


recce team

storie
strategia
tattica
what if?
vocabolario
documenti
segnalazioni
link
scrivici


quelle piccole sciabole incrociate

quelle piccole spade incrociate

Viaggi nei
campi di battaglia d'Italia
sulle carte del Tci


UNA PERSONALITA' INCONTENIBILE

Otto von Bismarck (1815 – 1898)


nicola zotti




Quando un uomo detta la frase che vuole sia incisa sulla sua lapide, consegna ai posteri la chiave segreta per interpretare la propria esistenza terrena. Otto von Bismarck chiese di essere ricordato con le semplici parole «Qui giace un fedele servitore dell'Imperatore Guglielmo I». Fosse dipeso dagli storici che hanno studiato e studiano i numerosi conseguimenti e successi della sua carriera di statista, probabilmente avrebbero trovato giusto aggiungere alla fine di quella frase almeno "...e della Germania", per evocare il fondamentale ruolo di Bismarck nell'unificazione degli stati tedeschi con la Prussia e l'edificazione del "secondo impero germanico". bismarck



Ma anche una tale integrazione è insufficiente a rappresentare la personalità e la vita di Otto von Bismarck tanto esse sono state sfaccettate, contrastanti e potenti.
L'uomo che per tre decenni – dagli anni Sessanta ai Novanta dell'Ottocento – sarà il "dominus" incontrastato della politica europea era nato il 1º aprile 1815. Poche ore prima Napoleone Bonaparte era ritornato a Parigi e la Prussia sarebbe salita prepotentemente alla ribalta europea contribuendo in modo decisivo a chiudere quella parentesi in "Cento giorni". Il padre Karl Wilhelm apparteneva all'élite del paese, gli Junker, nobili proprietari terrieri che fornivano alla Prussia anche la classe dirigente politica, amministrativa e militare. La madre, Wilhelmine Luise Menken, era figlia di un alto funzionario di Berlino e aveva ricevuto un'istruzione di livello, come si confaceva al suo rango e fu lei a volere che il figlio svolgesse studi "civili", anziché le più tradizionali accademie militari che riunivano i figli degli Junker.

Otto von Bismarck apparteneva infatti per nascita e per profonda adesione personale alla classe degli Junker prussiani. Sorti nel Medioevo nelle regioni costiere dell'Europa settentrionale, gli Junker erano una nobiltà minore, come indica l'origine stessa del nome "giovani nobili", particolarmente legata al territorio e alle attività agricole. Una nobiltà rurale che in Prussia ebbe particolare rilevanza non solo per la sua diffusione, ma per le caratteristiche che assunse nel tempo e per il ruolo che svolse nella costruzione della nazione. Gli Junker, infatti, non vivevano delle rendite dei propri feudi, come in altre realtà, ma erano degli imprenditori. Non andarono a vivere nelle capitali, ma rimanevano legati alle loro terre, non ebbero bisogno di mezzadri ma di braccianti, dei quali guidavano direttamente le attività stagionali. I figli cadetti degli Junker, poi, entravano nell'amministrazione statale e dell'Esercito, ramificando così il loro controllo sulla nazione prussiana, ben oltre gli aspetti economici, ma divenendo un diffuso ceto dominante.

I coetanei di Bismarck lo descrissero come un giovane temerario, irrequieto ed eccentrico negli usi e nel vestire, smodato nel bere, e persino pronto al duello, come era solito vantarsi persino in tarda età. Un giovane provvisto di un grande carisma, dall'intelletto effervescente e ansioso di vita e di esperienze, tanto da apparirci disordinato nei suoi primi passi verso il proprio futuro. Un carattere che lo portò a cercare di intraprendere la carriera di avvocato e ad abbandonarla quasi subito per seguire a Londra prima una e poi una seconda giovane inglese di cui si era invaghito. Gli anni non lo cambiarono, e lo stesso Bismarck riferendosi al capolavoro di Goethe si paragonò, con felice ironia, a Faust: "Faust si lamenta di avere due anime nel suo petto, Io ho un'intera folla vociante. Mi sembra di essere una Repubblica".

In questi anni manifestò anche un vivace interesse verso la carriera diplomatica, che lo portò allo studio delle lingue – parlava correntemente il francese, l'inglese, il russo, il polacco e l'italiano – ma il suo destino era però la politica attiva. Vi entrò ufficialmente nel 1847, quando divenne membro del Parlamento unito prussiano, un nuovo organismo creato quell'anno per riunire i vari parlamenti provinciali che fino ad allora avevano costituito l'ossatura politica del paese. Un anno importante il 1847 anche per la vita privata di Bismarck, perché sposò Johanna Puttkamer, dieci anni più giovane di lui, una donna riservata ed estremamente religiosa, ma dotata secondo gli amici di spirito arguto. Il futuro cancelliere aderirà al rito pietista della fede luterana della consorte, e nelle sue successive decisioni politiche fu sensibile l'influenza della concezione di cristianesimo attivo e pratico di questa fede.

La prima cruciale prova per Bismarck era imminente: il 1848, l'anno delle rivoluzioni in Europa, non risparmiò la Prussia. La piattaforma dei rinnovatori liberali tra gli altri punti mirava alla unificazione della Germania, ma Bismarck in quei giorni vi si oppose fermamente, considerando che avrebbe comportato la perdita di autonomia della Prussia, legandola a stati che faticava a considerare pienamente "tedeschi" soprattutto perché a maggioranza cattolica.

La rivoluzione liberale in Prussia ebbe vita breve e ottenne scarsi risultati. Tuttavia, due suoi conseguimenti pesarono sulla vita politica delle nazioni di lingua tedesca: da un lato si era formata nei ceti borghesi una diffusa richiesta di misure liberali nella vita economica e politica, dall'altro la questione dell'unificazione tedesca si era imposta nel dibattito politico e doveva essere ormai considerata un processo avviato. Bismarck partecipò come rappresentante della Prussia alle assemblee degli stati tedeschi che dovevano trattare l'unificazione, intenzionato a ostacolarla. Furono lunghi anni di inconcludenti trattative condotte a Francoforte nella Dieta della Confederazione tedesca. Ma mentre in Germania si discuteva senza costrutto, nel resto dell'Europa Francia e Austria conducevano una politica aggressiva, e in Italia il regno di Sardegna procedeva con determinazione il cammino verso l'unificazione nazionale sotto la guida di Camillo Benso conte di Cavour. Bismarck assistette con preoccupazione all'isolamento prussiano durante la Guerra di Crimea (1854), quindi dovette registrare da spettatore i successi franco-italiani nella Seconda guerra di indipendenza italiana contro l'Austria del 1859: la Francia aveva occupato il ruolo centrale nella politica europea, e l'Austria, persa la preziosa Lombardia come conseguenza di quella guerra, avrebbe inevitabilmente cercato una rivincita, reclamando per sé il ruolo di guida nel processo di unificazione tedesca.

La Prussia non poteva restare inerte a guardare queste due minacce e per Bismarck era chiara l'unica risposta possibile: allearsi con altri stati tedeschi per sventarle entrambe. Bismarck divenne così il più autorevole, persuasivo e credibile sostenitore dell'unificazione tedesca, senza per questo diventare un liberale o piegare in alcun modo le sue rocciose convinzioni conservatrici e monarchiche.

Un radicale cambio di rotta, ma non sarà che il primo di una lunga serie.
Bismarck, d'altra parte, era uomo ricco di contrasti persino nell'aspetto. Era imponente, reso ancor più massiccio dal suo amore per il mangiare e il bere e dal portamento diritto di un ufficiale prussiano. Le mani al contrario erano piccole e nervose, quasi da musicista, mentre la voce era sottile e molto poco militaresca.
La sua immagine è resa inconfondibile dai folti baffi spioventi, ma anche in questi tratti esteriori Bismarck tradiva la propria natura inquieta: per lunghi periodi sfoggiò una lunga barba, all'epoca inequivocabile bandiera estetica dei romantici e dei radicali.
Intelletto raffinatissimo, era dotato di una rara capacità empatica che gli permetteva di comprendere, anticipare e influenzare gli umori del proprio interlocutore, stregando con il suo eloquio e le sue argomentazioni imperatori, re, zar e regine, non meno che leader rivoluzionari.

Prendeva le sue decisioni in solitudine, dopo una lunga riflessione: o dava ordini o, molto più raramente, li eseguiva, ma certo non era un uomo di squadra. E questo nonostante sapesse avvalersi di collaboratori di altissimo livello.
Il 23 febbraio 1862 il re di Prussia Guglielmo I nominò Bismarck Primo Ministro e Ministro degli Esteri. Il re era ricattato contemporaneamente dal parlamento in mano ai liberali, che gli rifiutava l'approvazione del bilancio a causa di un aumento degli stanziamenti per le spese militari, e da Bismarck che pretendeva il controllo assoluto del governo e mano libera in politica estera: preferì cedere a quest'ultimo confidando che lo salvasse dall'altra minaccia.

Bismarck rispose alle speranze del re sfruttando spregiudicatamente la circostanza che nella Costituzione prussiana non fossero specificate le conseguenze di un'eventuale assenza dell'approvazione parlamentare del bilancio, consentendogli così semplicemente di ignorarla. Era una forzatura autoritaria, ma il Cancelliere, come spiegò agli stessi deputati, era convinto che "le grandi questioni del nostro tempo non saranno risolte da discorsi e da decisioni a maggioranza, ma dal ferro e dal sangue".
Nel futuro della Prussia Bismarck vedeva anni di guerre e non potevano essere affrontati senza le risorse necessarie e uomini capaci. Il Cancelliere affidò ad Albrecht von Roon, ministro della Guerra, il compito di riorganizzare le forze armate, e a Helmuth von Moltke, capo dell'esercito, quello di renderle moderne ed efficienti: scelte che pesarono in modo decisivo sulle vittorie necessarie all'edificazione dell'impero tedesco.

Tre guerre in otto anni. La prima, nel 1864, contro il regno di Danimarca, per una questione dinastica sui destini dei ducati di Schleswig e Holstein, province a maggioranza tedesca, ma reclamate dalla Danimarca che voleva annetterle. L'Austria si schierò al fianco della Prussia e alla fine della guerra ottenne l'Holstein, mentre lo Schleswig divenne prussiano. Un ripensamento dell'Austria sul destino di questi due territori provocò nel 1866 una guerra tra i due maggiori stati tedeschi. La Prussia in appena quattro anni grazie all'impegno di von Roon e von Moltke era riuscita a portare le proprie forze armate all'altezza di quelle austriache. Vienna, però, contava sull'alleanza degli stati minori tedeschi, preoccupati dalla crescita prussiana. Ma Bismarck aveva un asso nella manica: in segreto aveva stretto un accordo col regno d'Italia, ansioso di scatenare una Terza guerra di indipendenza per completare l'unificazione nazionale con l'annessione del Veneto. L'Austria, costretta a dividere le proprie forze su due teatri strategici lontani tra loro, fu sconfitta. La vittoria nella Guerra austro-prussiana, o Guerra delle sette settimane – una vera Blitzkrieg – portò alle stelle la popolarità di Bismarck: sia in Prussia, dove vinse le elezioni e poté finalmente far approvare retroattivamente da un parlamento ora a maggioranza conservatore i bilanci dei quattro anni precedenti, e sia negli stati tedeschi, una parte dei quali furono direttamente annessi alla Prussia, mentre altri si unirono ad essa in una federazione presieduta dallo stesso Bismarck. E mentre la Prussia si affermava come la nuova grande potenza europea e la principale rappresentante della comunità degli stati tedeschi, l'Austria veniva costretta a rinunciare ad entrambi i ruoli iniziando un'inesorabile decadenza.

La terza e ultima guerra di Bismarck fu contro la Francia di Napoleone III: il cancelliere e il suo principale consigliere militare von Moltke temevano fortemente la possibilità di un'alleanza tra Francia e Russia che schiacciasse in una morsa le ambizioni tedesche e dovettero agire con energia e sagacia per prevenire questa eventualità.

Anche questa volta il motivo scatenante del conflitto fu dinastico: la successione al trono di Spagna che era stato offerto dagli spagnoli a Leopoldo Hohenzollern, parente del re di Prussia. La questione preoccupava Parigi più di quanto interessasse a Berlino, e un ambasciatore francese avvicinò il re Guglielmo I durante una sua passeggiata per avere da lui una conferma diretta della già ufficializzata rinuncia al trono spagnolo di Leopoldo. Il comunicato di questo incontro informale fu manipolato da Bismarck, pur senza alterare i fatti, in modo che sia i tedeschi che i francesi se ne sentissero offesi e in Francia un'ondata di sdegno popolare portò in breve alla mobilitazione generale e alla dichiarazione di guerra, il 19 luglio 1870.

Quando nel 1832 venne pubblicato il "Della Guerra" di Carl von Clausewitz, Bismarck era un adolescente e Helmuth von Moltke solo un giovane promettente ufficiale, ancora molto distanti dai compiti storici che li attendevano. Eppure poche persone lessero, compresero e fecero proprie le riflessioni di quel libro e in particolare la famosa affermazione che la guerra non è "solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi". La Prussia non vinse le sue sfide militari perché in possesso di più avanzate tecnologie belliche, e neppure per la maggiore combattività dei suoi soldati. L'asimmetria prussiana – per usare un termine moderno – era innanzitutto intellettuale: risiedeva proprio nella capacità dello strumento militare di assecondare un chiaro mandato politico, in un sistema di comando basato sull'autonomia e la responsabilizzazione del corpo ufficiali, e sulla capacità di adattarsi rapidamente al mutare imprevedibile delle situazioni sul campo di battaglia.

Per gli osservatori di tutto il mondo, dall'America al Giappone, la vittoria tedesca nella Guerra franco-prussiana del 1870, con la cattura dell'imperatore Napoleone III il 1º settembre 1870 alla battaglia di Sedan, fu una completa sorpresa: la nazione più popolosa d'Europa e l'esercito ritenuto unanimemente il più forte e più moderno al mondo erano stati sconfitti nel giro di poche settimane. La Prussia e la sua organizzazione militare divennero universalmente il modello da studiare e da imitare: ma inimitabile sarebbe rimasto il genio politico di Bismarck.

Il 18 gennaio 1871 nella sala degli specchi di Versailles – supremo affronto alla Francia – i principi e le supreme autorità militari tedesche proclamarono Guglielmo I imperatore di Germania, concludendo l'unificazione tedesca.

Per Bismarck non era il momento di riposarsi sugli allori, ma quello di cambiare nuovamente strategia. Ora che aveva unito la Germania, doveva trasformarla in una nazione, compito che avrebbe richiesto molto più tempo. La pace in Europa era una condizione essenziale a questo suo nuovo obiettivo, e per il successivo ventennio del suo cancellierato Bismarck fu l'inamovibile baricentro e il garante dell'equilibrio tra potenze europee. In patria cercò e trovò punti di convergenza con i suoi nemici politici, i liberali, in una nuova battaglia, questa volta culturale, contro i cattolici tedeschi e le ingerenze politiche del Papa, che dopo la conquista di Roma da parte dell'Italia, viveva da recluso in Vaticano e aveva proclamato la propria infallibilità in materia di fede, annuncio di propositi di rivincita di portata globale.

La "Kulturkampf" (battaglia culturale), come venne chiamata questa politica fortemente anticlericale e laicista, fu aspra, con vescovi e sacerdoti cattolici arrestati o esiliati, e le organizzazioni politiche cattoliche vietate per legge. Ma fu anche la prima sconfitta di Bismarck: all'orizzonte si profilava una minaccia che egli ritenne più pericolosa, quella dei socialisti e delle loro radicali richieste di cambiamento sempre più diffuse e condivise tra i lavoratori che alimentavano l'impetuosa crescita dell'industria tedesca. Bismarck abbandonò ogni proposito di Kulturkampf e si alleò coi moderati del centro cattolico per una politica di "cristianesimo pratico", come la definì, avviando le prime forme di stato sociale con assicurazioni di malattia e di invalidità, e pensioni di vecchiaia. Erano riforme accettabili persino dai conservatori, perché non influivano sulla produttività del sistema industriale. Alla fine degli anni Ottanta, in Germania il clima sociale si fece meno acceso, i tassi di crescita economica rimasero alti e furono contenute sia l'emigrazione e sia le pressioni verso l'espansione coloniale, avviata senza particolare entusiasmo da Bismarck, convinto che fosse motivata solo da questioni di orgoglio nazionalistico e potesse essere causa di pericolose dispute internazionali.

Era forse il più grande successo del cancelliere, ma fu anche l'ultimo. L'ascesa al trono nel nuovo Kaiser Guglielmo II nel 1888 aveva dato avvio a una nuova epoca, nella quale Bismarck, a 75 anni, era ormai solo una presenza ingombrante. Il giovane imperatore da un lato ambiva a essere sovrano dei tedeschi di ogni ceto sociale e non solo della élite incarnata da Bismarck, dall'altro non poteva tollerare l'autoritarismo decisionista di Bismarck che lo emarginava di fatto ad un ruolo secondario. Il 20 marzo 1890, senza troppe premure per il suo passato, il "vecchio nocchiere" come venne rispettosamente chiamato dalla stampa internazionale, fu fatto scendere dalla nave che aveva guidato con tanta sagacia per un trentennio. Bismarck visse per altri otto anni nell'attesa di essere richiamato dall'imperatore almeno per consiglio e consultazione, ma invano. Eppure non dobbiamo pensare alle parole che volle fossero scritte sulla sua lapide come dettate da risentimento, che pure fu certamente molto amaro. Erano solo il sincero riflesso di una vita vissuta con lo spirito dell'antico servitore di un monarca assoluto, in tempi di cambiamenti profondi e tumultuosi che solo un politico della sua sagacia e lungimiranza poteva affrontare.

Otto von Bismarck fu certamente un abilissimo uomo politico: fin troppo abile per certi aspetti, perché la pace che egli garantì all'Europa negli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento, con la sua funambolica opera di mediazione e di garante degli equilibri tra potenze, difficilmente poteva essere assicurata da qualcun altro. Anzi, tra le cause della Prima guerra mondiale può essere annoverata sia l'umiliazione che egli fece subire alla Francia con le condizioni imposte dalla vittoria del 1870, e sia, in misura meno evidente ma forse ancora più rilevante, per la sconfitta che inflisse all'Austria nel 1866. Bismarck, infatti, dopo aver espulso l'Austria dalla sfera tedesca, ne spinse le pulsioni espansive verso i Balcani, dove la dissoluzione dell'Impero ottomano lasciava ampi spazi di manovra. Ma Bismarck per primo era consapevole dei rischi che questo comportava e fu profetico: "l'Europa è un barile di polvere da sparo – affermò pubblicamente – e sarà qualche piccola stupida cosa nei Balcani a farla scoppiare".