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"Lo scellerato marcisce in fortezza"
Divagazioni sul Conte Felicini, gaglioffo bolognese castigato in Toscana
, di Gigi Monello, Scepsi e Mattana Editori, 2016. Euro 7,50.

"Lo scellerato marcisce in fortezza"
Divagazioni sul Conte Felicini, gaglioffo bolognese castigato in Toscana

Nicola Zotti



Il nuovo lavoro di Gigi Monello è dedicato alla vita conte Giuseppe Maria Felicini. Un piccolo saggio da leggere tutto di seguito, senza interruzioni: dopo eservelo procurato, dunque, regalatevi un'ora di tranquillità e dedicatela a questo volumetto.

Di Monello abbiamo già letto "Accadde a Famagosta, l'assedio turco ad una fortezza veneziana" e "Il principe e il suo sicario, come Cesare Borgia tolse dal mondo Astorre Manfredi; con note sparse sopra la mente di un tiranno", tutti editi presso Scepsi e Mattana editori. E questo suo nuovo lavoro non si discosta per intenzioni e stile da quelli precedenti.

L'Autore, infatti, è un classico erudito italiano: una stirpe che grazie al cielo non si è estinta nel panorama culturale italiano e che fortunamente prospera, in particolare nella cosiddetta "Provincia", lontano dai riflettori, che per altro non cerca.

Il suo sguardo oggi meritoriamente si è posato su un italiano vissuto a cavallo tra Seicento e Settecento: il conte Giuseppe Maria Felicini.

Il Felicini è un malvagio vero. «Egli è cervello torbidissimo che sempre macchina raggiri, bugie, invenzioni», si scrive in una relazione su di lui. E "torbidissimo" è aggettivo molto riuscito per descrivere il conte: più di prepotente e anche persino più di malvagio. Un don Rodrigo sfuggito al setaccio delle parole immacolate del Manzoni, e che ci ritorna nel racconto di Monello come in origine doveva essere: in tutto il suo lordume morale.

Non un "grande malvagio", intendiamoci, di quelli che impregnano la Storia con la S maiuscola, ma uno di quelli che, purtroppo con maggiore frequenza, si può avere la sfortuna di incontrare nelle storie di ciascuno di noi.

Il suo mondo tenta di dimenticarselo rinchiudendolo nella fortezza di Volterra per 43 anni – dal 1672 al 1715 – fino alla morte. Non ci riuscirà, perché anche in quel periodo di tempo, come un focolaio di infezione, cercherà di corrompere quel poco di umanità che gli gira attorno. Non più capace di grandi delitti, la forza d'inerzia della sua abietta natura prosegue il suo cammino: una meschina perversione che ormai si trascina miseramente, flebile ma sempre viva.

Non racconto di più per non rovinarvi la lettura.

Non è una biografia tipica, ma una specie di giustapposizione di tessere: ognuna di esse è estremamente dettagliata, un quadro in sè. Le altre mancano, non perché qualcuno non possa ritenerle necessarie, ma perché l'Autore non è interessato a presentare un affresco complessivo, ma è come se avesse riempito il suo quaderno di minuziosi schizzi preparatori, La prospettiva è ravvicinata, non aerea, con l'effetto di toccare gli strati di colore e le pennellate.

In questo modo l'Autore raggiunge due obiettivi: in primo luogo punta la sua lente di ingrandimento su una vita che altrimenti sarebbe stata, senza troppi rimpianti, dimenticata, e in qualche modo ci aiuta anche a capire l'epoca in cui essa ebbe il suo corso; e in secondo luogo trasforma quella vita, in fondo insignificante, in un caso esemplare, invitandoci a riflessioni più ampie e senza tempo.

Qualsiasi sia l'obiettivo che vi interessa maggiormente, entrambi saranno raggiunti.



Il volume può essere richiesto dagli editori, Scepsi e Mattana.