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LA NASCITA DELL'IMPERO ROMANO

La guerra del secondo triumvirato


nicola zotti


Quando in una storia compare la bellezza, gli storici, come i normali esseri umani, ne subiscono l'incanto e ogni aspetto della loro narrazione ne rimane influenzato. Gli eventi fuori dalla sua luce arretrano in secondo piano, e resta solo la bellezza, inizio e fine di tutto.

Cleopatra VII, però, entrò nella storia di Roma fin da subito da protagonista, indipendentemente dal suo innegabile, leggendario fascino, e in tale ruolo rimarrà fino alla fine. Come narra Plutarco, obbligò Cesare a riceverla con l'astuzia, determinata a difendere il proprio trono con ogni mezzo, occultata in un tappeto. Cesarione, il figlio nato dal loro rapporto, avrà 3 anni quando il padre, alle Idi di marzo del 44 a.C., sarà assassinato per mano, tra gli altri, di un secondo, presunto, figlio di Cesare, Marco Giunio Bruto, dando il via a 14 terribili anni di guerra civile. E combattendo contro un altro figlio di Cesare, questa volta adottivo, Ottaviano, Cleopatra concluderà la sua vita e la sua storia, con fedeltà estrema a se stessa e alla sua intima natura di unica e sola artefice del proprio destino. Ridurre la regina d'Egitto a una tragica eroina romantica, nasconde così la sua levatura politica, che non aveva nulla da invidiare a quella degli altri grandi protagonisti di questo travagliato periodo della storia di Roma.

E svolgere un ruolo nella politica romana negli ultimi decenni della Repubblica era un'impresa per spiriti forti. In molti si erano cimentati e fallito, e nessuno tra i vincitori era riuscito a consolidarsi al potere. Mario, Silla, Pompeo, Cesare: loro e i loro partigiani avevano raggiunto la vetta, ma da essa erano anche precipitati prima di riuscire a risolvere definitivamente la crisi di sistema in cui versava la Repubblica. Alla morte di Cesare, i suoi assassini, difensori della tradizione e della continuità repubblicana, si erano scontrati contro i Cesariani, venendone alla fine annientati. Ma lo stesso campo vincente era diviso da contrasti insanabili. Nel 43, con un "triumvirato" reso addirittura istituzionale per legge con poteri superiori a quelli dei consoli, si era cercato di conciliare inutilmente le tre personalità di maggiore spicco: l'erede designato di Cesare, Ottaviano, il curatore di quell'eredità e principale esponente del partito Cesariano, Marco Antonio, e un fedelissimo di quest'ultimo, Marco Emilio Lepido.

Nel 40, dopo la vittoria sugli avversari, con il patto di Brindisi, i territori di Roma venivano divisi in sfere di influenza tra i tre dittatori: ad Antonio l'Oriente, a Ottaviano l'Occidente, a Lepido l'Africa (in effetti praticamente solo la costa della Libia orientale e la Tunisia). Un'intesa suggellata quello stesso anno dal matrimonio tra Antonio e Ottavia, sorella di Ottaviano, dalla cui unione tutta la popolazione romana si augurava nascesse un fanciullo, secondo le parole del poeta Virgilio, "con cui finirà la generazione del ferro e in tutto il mondo sorgerà quella dell'oro". Per inciso si trattò di una bimba, Antonia, nata nell'Estate del 39, e sfortunatamente con lei non venne alla luce la sospirata pace: pochi mesi prima che nascesse, infatti, Antonio aveva già avuto due gemelli da Cleopatra, Alessandro Helios e Cleopatra Selene, rivelando, più che una tendenza all'infedeltà coniugale, ambiziosi progetti di primato.



azio


La posta in gioco era il dominio su Roma e sul Mondo, e il punto politico indicava come in Occidente Ottaviano sarebbe stato messo a dura prova dagli intrighi del Senato e da questioni spinose quali la delicatissima soluzione del problema dei compensi ai veterani di guerra e la ricomposizione del conflitto con Sesto Pompeo, il figlio del nemico di Cesare, che, forte di gran parte della flotta romana, aveva occupato Sicilia, Sardegna e Corsica, controllando l'afflusso di grano a Roma. In Oriente, al contrario, Antonio avrebbe avuto occasione di giocare contemporaneamente su due tavoli, quello delle ambizioni di Cleopatra e degli interessi di Roma, coprendosi di gloria con nuove conquiste.

E proprio in previsione di una campagna militare in Oriente contro i Parti, Antonio e Ottaviano compirono il loro ultimo importante atto comune, risolvendo almeno pro tempore il problema rappresentato da Sesto Pompeo: il matrimonio di Ottaviano con una nipote di questi non aveva migliorato di molto la situazione, e così nel 39 – dopo aver chiuso con un divorzio lampo l'inutile connubio – i due unirono le forze per stipulare una tregua con Sesto, a Miseno, in Sicilia, consentendo così di rendere disponibili le legioni necessarie alle programmate spedizioni di Antonio e contemporaneamente di agevolare l'approvvigionamento di Roma.

Ma era chiaro ad entrambi che la situazione era insostenibile ed ogni accordo tra loro era ormai solo la tappa di un raffinato gioco politico che doveva portarli alle migliori condizioni per affrontare l'inevitabile scontro finale: il Triumvirato, rinnovato nel 37 per altri 5 anni, era ormai solo il simulacro di unità di intenti.

Così Antonio inviò al collega navi per ricevere in cambio truppe, ma Ottaviano non rispettò il patto, rovinando definitivamente anche i rapporti tra Ottavia e il marito, che si separarono nel 36 per divorziare ufficialmente 4 anni dopo, quando la guerra era ormai imminente. D'altra parte Antonio un anno prima aveva sposato anche Cleopatra e Ottaviano non era tipo da lasciar correre la cosa.

Il 36 a.C. fu un anno impegnativo per entrambi: Ottaviano in un sol colpo si liberò di Sesto Pompeo e di Marco Lepido. Dopo una difficile campagna in Sicilia, Sesto fu sconfitto e posto in fuga da Marco Agrippa, amico d'infanzia di Ottaviano e militare di grandissimo valore. Il futuro imperatore, per parte sua, si occupò di Lepido con una mossa azzardata che rivelò però il suo grande coraggio personale: la Sicilia liberata era a buon diritto rivendica dal terzo triumviro e con essa le legioni che vi avevano combattuto su entrambi i fronti, ma Ottaviano entrò nel loro campo e convinse i legionari ad unirsi a lui. Lepido uscì di scena ottenendo in cambio la carica di Pontefice Massimo. Le guerre civili erano ipocritamente ma ufficialmente concluse.

Antonio negli stessi mesi comandava un'armata di 100.000 legionari prima alla conquista della Giudea, sul cui trono insediò re Erode, di evangelica memoria, quindi contro i Parti in una campagna militare che si rivelò poco meno disastrosa di quella che 16 anni prima era costata la vita a Marco Licinio Crasso, per poi indirizzarla contro l'Armenia dove ebbe maggior successo: nonostante le truppe fossero romane, la finanziatrice dell'impresa fu Cleopatra, che a questo punto stava iniziando a dimostrare a Roma quali fossero i suoi progetti. Nel 34 di ritorno dalla guerra, infatti, Antonio, ormai partner politico prima che sentimentale della regina, celebrò un simulacro di trionfo ad Alessandria, anziché a Roma, dove sarebbe stato giusto, fornendo ad Ottaviano un forte argomento per screditarlo.

Era un errore che mostrava i limiti di Antonio, incapace di sostenere il peso di una strategia complessa che prevedeva contemporaneamente il consolidamento in Oriente e il controllo del rivale in patria. Fosse tornato a Roma a ribadire la sua fedeltà alla Repubblica – e con l'occasione anche ad Ottavia – Antonio sarebbe stato inattaccabile. Invece, incurante delle conseguenze del suo gesto, egli si spinse oltre: divise tra i figli di Cleopatra e suoi (ai quali dopo i gemelli se ne era aggiunto un terzo, Tolomeo FIladelfo) gran parte dei territori orientali soggiogati dalle legioni romane e proclamò Cesarione "Re dei Re" e re d'Egitto assieme alla madre e soprattutto erede legittimo di Giulio Cesare, contestando in questo modo la condizione di Ottaviano. Era un vero e proprio invito a combattere, che Ottaviano non ignorò, dando avvio come il suo avversario, alle mosse preliminari. Il momento della decisione, infatti, non era ancora giunto: Antonio aveva potuto osare tanto perché nella lotta politica romana la sua posizione, nonostante tutto, era sempre forte, sostenuta tanto dall'oro egiziano quanto dal timore per le palesi intenzioni autocratiche di Ottaviano.

Per aiutarlo a vincere le residue resistenze del partito di Antonio a Roma occorreva un'ultima spallata. Il lavoro di un suo altro eccezionale amico d'infanzia, Gaio Mecenate, un vero genio nell'uso propagandistico del sapere intellettuale, aveva dato i suoi frutti allargando il consenso attorno a lui e costruendo dal nulla un intero retroterra ideologico e culturale all'autocrazia, ma fu un tradimento a riunire definitivamente il popolo romano attorno ad Ottaviano. Nelle sue mani infatti fu consegnato il testamento di Antonio, nel quale si poteva leggere come egli fosse intenzionato a farsi seppellire ad Alessandria. In un mondo ipersensibile verso il simbolico, era un atto di intollerabile fellonia e il casus belli che Ottaviano aspettava. La guerra poteva essere finalmente dichiarata e, come doveva essere, si trattava di un "justum bellum". La destinataria, però, sarebbe stata Cleopatra, la perfida orientale che aveva corrotto Antonio, perché un'appendice di questa portata delle guerre civili non sarebbe stata tollerata dal popolo romano.

La regina d'Egitto non si tirò indietro, anzi. Sfidando la misoginia della cultura romana, condivise con il marito le responsabilità e i pericoli della guerra. Possiamo solo immaginare il trasecolato imbarazzo dei luogotenenti di Antonio nel vederla partecipare ai consigli di guerra: ma era in gioco il destino del suo regno, ciò per cui aveva lottato tutta la vita, e il suo posto era là dove esso si decideva. Antonio arruolò legioni in Oriente, portandone con sé le 19 migliori (molte veterane seppure a ranghi ridotti), mentre Cleopatra contribuì con uomini, navi, e l'enorme tesoro reale: l'astronomica cifra di 20.000 talenti, oro col quale avrebbe potuto provvedere a qualcosa come 500 legioni.

Nell'Estate del 32 Antonio si arroccò sulle coste orientali del Mar Ionio, stabilendo il suo esercito a Patrasso e la sua flotta nell'ampio Golfo di Ambracia, presso Azio, l'attuale municipalità greca di Aktio-Vonitsa, disponendo una catena di presidi da nord, nell'isola di Corfù, a sud, a Modone, nel Peloponneso. Era un dispositivo troppo difensivista e incontrollabile, che lasciava aperta ad Ottaviano la via dei Balcani. Ma il primo attacco arrivò da sud, prendendo completamente di sorpresa Antonio: Agrippa, cui Ottaviano aveva delegato le operazioni militari, conquistò con la sua flotta Modone, minacciando i collegamenti con l'Egitto. Era l'Estate del 31 e flotta ed esercito di Antonio erano rimasti inattivi per un anno, logorandosi irrimediabilmente. Concentrare le forze ad Azio, contro l'avanzante Ottaviano era ormai un'opzione obbligata, ma niente affatto incoraggiante perché era quello che il futuro imperatore e il suo brillante generale avevano auspicato. Il Golfo di Ambracia da porto sicuro era diventato una trappola per le grandi quinquereme (con della flotta di Antonio e Cleopatra: pesanti, mal ridotte e soprattutto con equipaggi sotto organico e privi dell'addestramento e dell'esperienza di quelli della flotta di Ottaviano.

Ovvio a questo punto che Antonio preferisse rischiare la battaglia terrestre, anziché quella navale, ma nonostante i suoi tentativi di costringere Ottaviano alla battaglia, i due eserciti rimasero accampati a breve distanza tormentandosi a vicenda in incessanti scaramucce. Dopo una lunga attesa, Antonio fu quindi costretto a esporsi ai rischi di una battaglia navale. Numeri e grandezza delle navi erano in suo vantaggio – 290 imbarcazioni per Antonio, in massima parte quinquereme, 250 navigli, soprattutto liburne biremi per Ottaviano – ma l'esiguo spazio a disposizione non permetteva di farli valere e circa un quarto della flotta rimase arretrata in riserva con Cleopatra. Al contrario Ottaviano era in netto vantaggio per la qualità degli equipaggi, reduci vittoriosi dalla guerra contro Sesto Pompeo. Il 2 settembre del 31 a.C. la battaglia di Azio si svolse secondo il copione previsto dal piano di Agrippa: con le agili liburne che colpivano da lontano le pesanti quinquereme per poi velocemente portarsi fuori tiro, arrivando allo speronamento e all'abbordaggio solo in condizioni estremamente favorevoli. Cleopatra fu rapida a comprendere che non vi erano speranze di vittoria e appena il vento da nord fu sufficientemente a gonfiare le vele delle navi sotto il suo comando diede ordine di ritirarsi.

I cronisti dell'epoca descrissero questa sua decisione come un impulsivo tradimento femminile, ma in realtà si tratto più probabilmente dell'ultima possibilità per porre in salvo se stessa, i suoi figli e il suo immenso tesoro, uniche condizioni per continuare la lotta.

Ma con la sconfitta ad Azio il destino di Antonio e Cleopatra era segnato, così come quello del loro rivale, ormai non più Ottaviano, ma da allora e per sempre "Cesare Augusto".