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QUANDO IL CONFINE ERA A FIDENAE

la guerra a borgata Fidenae

nicola zotti


A me prendere l'autobus non fa bene. Ma qualche volta non me ne pento.

La ragazza, graziosa, uguale a tante ragazze della sua età, ride allegra con le sue nuove compagne di scuola. Al suono del riso delle ragazze (e delle donne) un uomo si sente sempre un po' escluso: ascoltare è un meccanismo biologico, una spontanea autodifesa.

La domanda della nuova compagna di tre quarti è innocente, ma fa cambiare espressione al volto della ragazza graziosa: «Dove abiti?».

La ragazza graziosa esita ma poi, come ammettendo una colpa, risponde: «Sto a Fidene».

E ce ne vuole perché il gruppetto si sciolga nuovamente nel riso.

L'esitazione della ragazza graziosa è assolutamente gratuita: Fidene non è peggio del resto della periferia romana, anzi, forse è meglio di altri posti, però posso capire che l'adolescenza non sappia ignorare occasione per mettersi a disagio.

In questo particolare caso, poi, la storia militare verrebbe in soccorso, perché Fidenae non è una borgata qualsiasi, ma fu la prima nemica di Roma, propaggine meridionale (a 9 Km. in linea d'aria dal Campidoglio) dell'insediamento etrusco che si appoggiava alla potente città di Veio.

Così Fidenae era una località strategica perché era la porta che dalla Salaria apriva le vie verso la Sabina e verso l'Etruria.

Fu proprio Romolo il primo a guidare Roma contro Fidenae circa nel 730 a. C.: organizzò una complessa operazione con la quale attirò i Fidenati fuori dalla loro città. I Romani si finsero esitanti e poi scapparono. I Fidenati li inseguirono e furono circondati in un'imboscata predisposta da Romolo fuori dalla vista delle mura di Fidenae.

Nel 650 Fidenae è alleata di Roma ma cerca comunque di riguadagnare la propria autonomia con l'aiuto di Veio e con le assicurazioni di Albalonga che, seppure anch'essa alleata di Roma, promette ai Fidenati di tradirla proprio nel corso della battaglia.

I Romani attraversano l'Aniene là dove si congiunge con il Tevere (ovvero dove è ora l'Aeroporto dell'Urbe) e si schierano davanti ai Veientini. A fianco dei romani, l'armata di Albalonga che invece fronteggia i Fidenati.

Le forze di Albalonga si ritirano subito dal combattimento, muovendo verso le colline circostati, probabilmente attendendo l'esito dello scontro prima di schierarsi effettivamente per l'uno o per l'altro. Allontanandosi, però, Mettius, re di Albalonga, grida a Tullo, re di Roma, per rassicurarlo sulle sue intenzioni, che intende aggirare il fianco dei Fidenati per prenderli alle spalle.

Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio: i Fidenati che ascoltano la conversazione a distanza e capiscono il latino, temono un doppio (o triplo? ho perso il conto) gioco di Albalonga e si ritirano precipitosamente verso la loro città, per non rischiare di esserne tagliati fuori.

I Romani, che non guardavano troppo per il sottile e dovevano avere una riserva a disposizione, inseguirono senza perdere tempo i Fidenati, trasformando la ritirata in rotta e quindi rovesciandosi sui Veientini. Questi, messi spalle al Tevere e completamente circondati, furono totalmente distrutti.

Vinta dai romani la battaglia, Mettius e la sua armata tornarono per unirsi agli "alleati". I romani, che già allora nelle cose di guerra non sapevano scherzare, presero prigioniero Mettius e i suoi, deportando questi ultimi e condannando Mettius a venire squartato dal tiro di quattro carri, così come durante la battaglia si era equamente "diviso" tra i due contendenti.

Un altro paio di battaglie alla fine del VI secolo e l'inizio del V si svolsero a nord di Fidenae, probabilmente nella zona di Castelgiubileo: entrambe videro protagonista Tarquinio il superbo: che nel primo caso respinse i Sabini e i Volsci, nel secondo fu lui ad essere respinto dai Romani nel suo tentativo di reimpadronirsi della città dalla quale era stato appena cacciato.

Per buona parte del IV secolo i romani sono sulla difensiva contro gli Etruschi, con Veio in prima linea e le altre città etrusche, la potentissima Chiusi tra le altre, a fornire un importante contributo. Si combatte in "territorio" romano e gli Etruschi si spingono fino al Gianicolo (che vedrà un paio di migliaia di anni dopo le gesta dei garibaldini) ma vengono respinti nel 476, e l'anno successivo sono i Romani ad arrivare alle porte di Veio e a sconfiggere i Veientini e i loro alleati Sabini.

Così tra il 437 e il 434 si ritornò a combattere sul "confine", attorno a Fidenae.

Fidenae era stata costretta ad allearsi con Roma, ma aveva defezionato per schierarsi con Larte Tolumnio, re di Veio. Come segno di buona volontà nel 437 aveva ucciso quattro legati romani: Roma, indignata, inviò le legioni al comando del dittatore Mamerco Emilio per fare giustizia .

Sotto Fidenae, però, Mamerco trovò anche Veientini e Falisci, che si erano coalizzati al comando di Larte Tolumnio.

I Falisci, lontani da casa (venivano da Civita Castellana...), desideravano chiudere la vicenda in fretta e avevano spinto fortemente per decidere la questione con un'immediata battaglia, contrariamente alle speranze di Fidenati e Veientini che avevano più familiarità coi Romani.

Larte Tolumnio per evitare che gli alleati Falisci abbandonassero la coalizione, si dispose per la battaglia, schierando i Fidenati al centro, le proprie truppe sulla destra e gli impazienti Falisci a sinistra. Poi mandò alcuni distaccamenti dietro i monti vicini, affinché attaccassero di sorpresa il campo romano.

I Romani si schierarono a loro volta con Mamerco sulla destra, la cavalleria agli ordini di Quinzio Cincinnato al centro (davanti alla fanteria), e alla sinistra Quinzio Capitolino con altra fanteria.

La battaglia fu iniziata dalla cavalleria romana che attaccò quella etrusca, ma tutta la linea romana seguì subito, riportando immediati successi contro i propri avversari.

La cavalleria romana, però, si trovò in difficoltà, in particolare per la presenza di Larte Tolumnio, che interveniva con grande energia laddove era necessario ribaltando l'esito degli scontri a favore dei propri uomini, tanto che tutta la linea romana si trovò in crisi.

L'attacco al campo non ebbe un grande effetto: gli attaccanti si attardarono a saccheggiarlo e furono sconfitti dalla terza linea romana.

Decise la battaglia l'intervento del tribuno Cornelio Casso, che si precipitò contro il re di Veio abbattendolo con la propria lancia. Sgomenti, gli alleati si sbandarono, riuscendo comunque a riparare a Fidene.

La resa dei conti era solo posticipata.

I Romani, infatti, assediarono immediatamente la città, Nel 434 finalmente la presero scavando una galleria che li fece entrare direttamente al suo interno: Fidenae fu la prima città etrusca ad essere conquistata da Roma.

Un successo effimero, però, perché i Romani provarono poco dopo, nel 426, ad attaccare addirittura Veio: i tre generali romani in comando diedero ciascuno tre ordini diversi e al suono delle buccine successe lo sfacelo che potete immaginare e del quale i Veientini approfittarono, facendo fuggire i Romani.

Un anno dopo, nel 425, Veio
cercò di riprendersi Fidenae. Ancora una volta dovette affrontare Roma da sola, senza che le altre città etrusche intervenissero al suo fianco. Poté contare solo sull'aiuto di volontari etruschi (forse mercenari, forse dei nazionalisti antelitteram) e dei Fidenati, che nuovamente sfidarono Roma uccidendone i coloni che vi si erano stabiliti dopo la recente conquista della città.

L'armata alleata si concentrò nuovamente a Fidenae e questa volta furono i Romani a tentare un attacco di sorpresa occultando truppe al comando di Quinzio Penno sulle colline prospicenti al campo di battaglia.

Al segnale del dittatore Mamerco Emilio i Romani attaccarono respingendo gli Etruschi su tutta la linea, ma proprio quando la vittoria sembrava a portata di mano, i i Fidenati uscirono improvvisamente dalla città con un'arma segreta: torce e altri materiali incendiari con i quali si gettarono esaltati contro i Romani.

In un primo momento i Romani dell'ala sinistra furono sorpresi e fuggirono. Solo l'energico intervento di Mamerco Emilio, che inviò la cavalleria agli ordini di Aulo Cornelio Casso, riuscì a fermarli e a riportarli in combattimento: "spentosi" l'attacco a sorpresa dei Fidenati, fu semplice per i Romani farne strage.

A completare l'opera intervenne Quinzio Penno che gettò nella costernanzione i Fidenati: iniziarono a scappare verso la loro città, mentre i Veientini fuggirono in direzione del Tevere.

La confusione è tale che le schiere si mischiano e gli inseguitori entrano in città con gli inseguiti: la città è aperta e Mamerco Emilio vi fa ingresso con il resto dei Romani.

La strage non si arresta davanti a nulla, la città è conquistata e verrà distrutta.

La storia di Fidenae finisce qua. E per aggiungere al danno l'umiliazione, Fidenae oggi è solo il nome di una borgata della sua mortale nemica.