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"CONTRACTORS" ANTE LITTERAM

Condottieri


nicola zotti




"Contractor": non è la traduzione letterale inglese della parola "condottiere", perché il nostro termine deriva da "condurre", ma ci si avvicina non poco. La "condotta", infatti, non era solo la compagnia di armati che il capitano di ventura guidava in battaglia, ma era chiamato così anche il contratto che questi stipulava con il proprio cliente, comune o signore che fosse. Non ci spingiamo oltre nell'analogia tra i moderni "contractor" e i condottieri medievali, anche perché i primi sono avvolti da un mistero un po' fosco, mentre dei secondi il minimo che si può dire è che vivessero la loro professione alla luce del sole.

Di più. Nella storia vecchia come il mondo dei soldati mercenari, nessuno come i condottieri italiani ha lasciato una traccia più ricca e orgogliosa della propria vita terrena, o ricevuto omaggi e riconoscimenti più prestigiosi di quelli che le popolazioni italiane dedicarono ai loro condottieri. E grazie ai migliori artisti del Medioevo e del Rinascimento italiano i volti, le gesta e lo spirito di questi uomini sono giunti fino a noi, vivi e pronti a stupirci.

Forse, anzi, l'efficacia mirabile delle opere d'arte che hanno protagonisti i condottieri deriva proprio da come essi incarnavano un'epoca percorsa da passioni e da conflitti violenti, eppure capace di concepire e di coltivare la bellezza in modo incomparabile.
Nella seconda metà del Trecento la nostra penisola attraversava un periodo di grande sviluppo economico, ma era al contempo percorsa da una sanguinosa, endemica conflittualità. Proprio in quegli anni si era chiusa una fase della Guerra dei Cent'anni tra Francia e Inghilterra, e molti di quei combattenti rimasti disoccupati trovarono nuovi impieghi ben retribuiti nelle rissose città italiane. Ricorrere a mercenari per integrare e potenziare la propria forza militare non è un fenomeno nuovo. L'elemento distintivo che prende gradatamente forma sempre più definita e diffusa è proprio la figura del condottiere: un imprenditore della guerra che riunisce "lance" di cavalieri in un'unità più grande, la organizza, la rappresenta nel rapporto col committente e la guida in battaglia.

L'unità di base di una compagnia di ventura era chiamata "lancia", ma anche "barbuta" (un tipo di elmo), o "corazza", perché incentrata su un cavaliere pesante corazzato. Orientativamente, infatti, una lancia era costituita da un cavaliere e dal suo seguito, rappresentato normalmente da un sergente a cavallo, un paggio e due o tre arcieri o fanti, ma che poteva anche essere di soli due elementi, il cavaliere e un suo accompagnatore. Il condottiere riuniva diverse centinaia di queste lance, sia di singoli, e sia già organizzate da altri condottieri, e quindi stipulava il contratto di condotta sulla base della forza complessiva che era capace di mettere a disposizione del contraente. Cavalieri con un proprio seguito potevano però stringere accordi direttamente con i contraenti, senza l'intermediazione di un condottiere. Comunemente note come "lance spezzate", oltre a costituire per comuni e signorie un significativo risparmio economico, erano anche molto più controllabili politicamente e alla lunga minarono il ruolo di "impresario" militare del condottiere.

La prima ondata di condottieri è costituita, quindi, da lavoratori specializzati nella guerra provenienti un po' da tutta Europa: francesi, tedeschi, svizzeri e inglesi monopolizzavano il mercato e i casi di condottieri italiani sono rari. Un precursore fu il fondatore della Compagnia catalana Ruggero da Fior (1267-1305), che però era italiano solo da parte di madre e conquistò la sua fama fuori d'Italia. Il primato dunque ci sentiamo di consegnarlo a Castruccio Castracani degli Antelminelli (1281-1238), non fosse altro perché anche il primo a poter vantare il doppio successo di raggiungere il dominio della sua città, Lucca, e di essere (forse) anche ritratto in un affresco del Campo Santo di Pisa, per non parlare poi dell'onore di avere come biografo una personalità del calibro di Niccolò Machiavelli. Castruccio è un modello, ma il percorso dei suoi epigoni a cavallo tra Trecento e Quattrocento è diverso. Si sono aggregati da giovani alle compagnie straniere nei ruoli più umili, come paggi di un cavaliere o come stalliere, e si sono fatti tenacemente strada. Oppure sono figli della piccola nobiltà in cerca di fortuna, avviati al mestiere delle armi per attitudine e per addestramento specifico: il condottiere li assume volentieri perché sono lance già "professionali", e che possono rendere da subito. Forse non sono tutti fini letterati come pare fosse Castruccio, ma certo sono uomini ai quali il mestiere chiede di coniugare pensiero e azione, e di eccellere nell'uno come nell'altra.

Un condottiere di successo, infatti, non poteva essere solo un buon soldato, con un sufficiente numero di armati alle sue dipendenze. Altrettanto importanti erano qualità molto meno intuitive, prima fra tutte una solida cultura giuridica e amministrativa. Nell'Italia del tardo medioevo i conti e i contratti si sapevano fare e, come abbiamo anticipato, la condotta era un contratto, nel quale, senza risparmio di clausole e di codicilli, veniva regolata una materia tanto importante come la sicurezza di una comunità dai pericoli esterni. Nacquero professionisti chiamati "collaterali" che assistevano le due parti in questo genere di contratti e vigilavano sulla loro correttezza: contavano gli uomini, verificavano l'armamento corrispondesse a quello pattuito, controllavano la regolarità dei pagamenti. Era soprattutto interesse della parte più debole, il committente, chiedere che ogni eventualità fosse definita con precisione: a partire certo dal costo mensile dei servizi offerti dal condottiere, ma anche il numero esatto di uomini che offriva e di quale tipo, alle indennità in caso di "infortunio" sul lavoro, alla qualità e la quantità di generi di sostentamento che doveva essere loro fornita dal cliente e al prezzo che i mercenari avrebbero dovuto pagare per questi beni.
Il condottiere e i suoi uomini si stabilivano a stretto contatto con la popolazione che dovevano difendere e quindi era necessario prevedere anche una giurisdizione in caso di attriti.

L'accampamento della condotta divenne un elemento del panorama urbano dei maggiori centri italiani, almeno nella bella stagione, perché in inverno se il contratto era ancora in vigore, poteva essere previsto un acquartieramento più confortevole in città.

La compagnia di ventura, comunque, tendeva ad essere autosufficiente, almeno per i servizi essenziali, e quindi i rapporti con la cittadinanza non erano necessariamente frequenti.

Nelle tende della condotta, infatti, vivevano una moltitudine di non combattenti, che superavano di gran lunga il numero degli uomini in arme: artigiani, mogli, figli, chirurghi, servitori e persino sacerdoti per l'assistenza spirituale, costituivano una componente essenziale nell'economia della condotta e ne seguivano i destini, i cambi di contraente, la buona e la cattiva sorte in battaglia.

Sotto questo aspetto, in particolare, si registra una prima significativa differenza tra il condottiere italiano e il suo predecessore straniero.

Quest'ultimo e anche gli uomini alle sue dipendenze erano in Italia per motivi strettamente economici. Non dobbiamo stupirci, dunque, se la lealtà interna ed esterna in queste formazioni fosse ispirata a criteri di cinico interesse personale, quando non di mera sopravvivenza. Molto concretamente, maggiore il successo di un condottiere, e quindi il lucro dei suoi contratti, maggiore anche la fedeltà delle sue lance. Altrettanto dicasi per i rapporti con il contraente: meglio questi pagava e più poteva contare sulla lealtà di quelle truppe e sul rispetto delle norme del contratto di condotta. Perché se l'avversario lo superava in generosità, il vincolo poteva spezzarsi.
Emblematico il caso della guerra tra Firenze e Pisa del 1364, che si concluse a vantaggio di Firenze il 28 luglio di quell'anno con la battaglia di Cascina.

Giovanni Acuto – italianizzazione dell'inglese John Hawkwood – condottiere tra i più famosi, guidava con successo al servizio di Pisa un'armata di oltre 12.000 uomini composta da truppe tedesche, inglesi e svizzere, e con un contingente di milizie pisane. Di vittoria in vittoria, Acuto giunse alle porte di Firenze, bloccando la città e saccheggiandone i dintorni. I fiorentini, ai quali le risorse non mancavano, radunarono un'armata di pari entità, e, a ulteriore garanzia di successo, non badarono a spese e comprarono il tradimento delle condotte nemiche. Acuto e la sua compagnia, 800 uomini, e qualche migliaio di pisani, rimasti da soli, provarono a sganciarsi con un attacco di sorpresa all'accampamento dell'esercito fiorentino presso Cascina, ma il tentativo fallì. Il condottiere inglese visto l'insuccesso non esitò a portare in salvo se stesso e i suoi, abbandonando i pisani al loro destino.

Quando la componente di condottieri italiani iniziò a farsi più consistente, però, il rapporto tra questi e le loro truppe iniziò ad evolvere verso forme di appartenenza meno volatili.

Se la nazionalità straniera dei primi condottieri aveva avuto connotati marcatamente "mercenari", gli italiani, com'è abbastanza logico aspettarsi, furono molto più coinvolti nelle vicende politiche locali. Con un'armata pronta e fedele si potevano effettivamente seguire le orme di Castruccio, guadagnare o ampliare un dominio, dare inizio a una dinastia.

In una sorta di colpo di coda del feudalesimo, i maggiori condottieri riunirono attorno alla propria persona una "casa", ovvero un sodalizio di famigliari e clienti stretti da un vincolo di solidarietà più forte del mero interesse economico, o che almeno andava a saldarsi su questo. E, parallelamente, quanti già potevano vantare un piccolo dominio con la relativa "casa" trovarono nella professione di condottiere un nuovo strumento politico oltre che una risorsa economica.

E questo il caso, ad esempio, della famiglia dei Malatesta, signori di Rimini per oltre due secoli, che produsse generazioni di ottimi condottieri, riuscendo a svolgere un ruolo di primo piano nelle vicende politiche italiane tra Trecento e Quattrocento.

Le vicende di Giacomo Attendolo, invece, illustrano la potenzialità di impetuoso ascensore sociale connesse alla professione di condottiere. Entrato giovanissimo da umile contadino nella compagnia del condottiere Alberico da Barbiano, si guadagnò il soprannome "Sforza", con il quale diede vita ad una propria "casa": numerosa, grazie anche all'impegno personale dell'Attendolo che ebbe almeno 16 figli riconosciuti da 5 donne diverse, e con fondamenta così solide che suo figlio Francesco Sforza si guadagnò il ducato di Milano, mentre agli altri figli furono garantiti signorie, incarichi, buoni matrimoni, ampliando la rete di relazioni e di potere.

Entrare in politica per un condottiere aveva però un lato negativo. Il loro mestiere, già intrinsecamente pericoloso, diventava ancora più rischioso quando, alle alterne fortune della guerra e ai tradimenti "normali" dell'attività militare, si aggiungevano quelli di un'attività subdola, spietata e infida come solo la politica sa essere.
Male fece, ad esempio, il condottiere Gian Battista da Montesecco a farsi coinvolgere nel 1478 nella congiura dei Pazzi contro Lorenzo de Medici. La congiura fallì: Giuliano de Medici venne assassinato, ma Lorenzo si salvò, montando poi una terribile rappresaglia, che non lasciò vivo (e intero) nessuno dei congiurati, compreso ovviamente Gian Battista da Montesecco che venne torturato affinché spiegasse nel dettaglio la trama del complotto, e poi giustiziato.

Ancora più significativa l'esperienza del condottiere Biordo Michelotti che nel 1393 divenne signore della sua nativa Perugia sollevandola da un lungo periodo di sanguinosa instabilità politica. Animato dalle migliori intenzioni, Biordo pacificò la città, ma entrò in contrasto con papa Bonifacio IX, che proprio da un arbitrato tra le fazioni in conflitto a Perugia sperava di ottenere un importante dividendo politico.
L'emissario del papa, Francesco Guidalotti, abate della Basilica di San Pietro a Perugia, fu pronto a levare di mezzo questo ostacolo organizzando il più classico ed emblematico degli assassini politici. Recatosi in visita a casa di Biordo con il suo seguito, per l'occasione composto da sicari, abbracciò e baciò l'ospite: era il segnale convenuto, un vero e proprio bacio di Giuda, per l'entrata in azione dei pugnali dei sicari. Per sicurezza le lame di quelle armi erano state avvelenate, ma i loro colpi furono sufficienti a completare l'opera omicida.

La politica, però, congiurava contro i condottieri e le compagnie di ventura soprattutto come ceto professionale nel suo complesso. Il potere politico pretende il monopolio dell'esercizio dell'uso della forza militare. Niccolò Machiavelli lo comprese meglio e prima di ogni altro nella sua epoca, ed espresse nei confronti dei condottieri giudizi spietati, e perfino ingenerosi, di grande influenza tanto sull'opinione verso di loro dei suoi contemporanei, che su quella degli storici. Con l'ascesa degli stati nazionali il tempo dei condottieri era scaduto. Non erano solo un pericoloso intermediario della forza militare, ma la loro professionalità iniziava anche a essere superflua: la diffusione di massa delle armi da fuoco permetteva ai sovrani di allestire grande armate di sudditi, tanto efficaci sul campo contro le corazze dei condottieri, quanto economiche da armare e addestrare. La fine del feudalesimo e la nascita degli stati assolutisti aveva fatto la sua prima vittima.