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IL TRIONFO DI COSTANTINO

La battaglia di Ponte Milvio (28 ottobre 312)

nicola zotti



Quattro imperatori: due “Augusti”, uno in Oriente e uno in Occidente, e due “Cesari” loro sottoposti, ma anche destinati dopo dieci anni alla successione: ciascuno avrebbe regnato entro precisi confini. Questa la complessa ingegneria istituzionale elaborata dall’imperatore Diocleziano per dare stabilità di governo all’impero. Le pressioni interne ed esterne a cui esso era sottoposto, superavano la capacità di controllo di un uomo solo fin dalle sue origini, e gli imperatori avevano spesso associato al potere altre personalità. Con questa ambiziosa struttura istituzionale, però, si cercava anche di concatenare tra loro le leadership per garantire successioni preordinate, fluide e dotate di sufficiente esperienza.

A testimonianza del proprio coerente impegno, Diocleziano nel 305 abdicò, chiedendo e ottenendo che il suo co-imperatore Massimiano facesse lo stesso. Il potere venne ceduto a Galerio, in Oriente, e a Costanzo per l’Occidente. I due Augusti sarebbero stati assistiti rispettivamente dai “Cesari” Massimino e Severo.

Ma già un anno dopo il sistema era in crisi. La prematura morte di Costanzo avrebbe dovuto aprire la strada a Severo, ma al contrario le legioni nominarono successore Costantino, figlio di Costanzo. Costantino fu indubbiamente uno dei più importanti imperatori romani. Nato nel 274 a Naissus, l’odierna NIs in Serbia, figlio dell’imperatore Costanzo, era un uomo di statura imponente e dotato di una personalità altrettanto notevole. Intimamente convinto di essere destinato a lasciare un segno nella storia come strumento del volere divino nutrì sempre una fede incrollabile nel proprio successo, come dimostrò proprio nella campagna militare contro Massenzio e nella battaglia di ponte Milvio, affrontate in condizioni di grande difficoltà.

Come era avvenuto per Costantino, a Roma anche i pretoriani ripristinarono il principio dinastico, sostenendo l’ascesa al trono di Massenzio, figlio di Massimiano.
Diocleziano, ritiratosi malato nella natìa Dalmazia, tentò inutilmente di ricomporre il proprio disegno, ma la guerra civile era ormai in pieno corso.

Alla sua morte, avvenuta nel 311, Il confronto si era circoscritto a Licinio, neo nominato Augusto di Oriente, dopo la morte di Galerio (anch’essa avvenuta nel 311), ma al potere solo in Illiria, Massimino, Augusto sulla restante parte dell’impero orientale, Costantino, Augusto nelle Gallie, e Massenzio al potere su Italia e Africa.

La storia non ci ha tramandato una buona immagine di Massenzio, e non tanto per la “damnatio memoriae” cui lo condannò Costantino, quanto per le opere degli autori dei panegirici e per gli storici cristiani che, nell’intenzione di esaltare l’imperatore, si sentirono in dovere di enfatizzare difetti e vizi del suo avversario. Nato nel 278, Massenzio durante i suoi sei anni di regno si distinse per un vasto programma di costruzioni a Roma, parte essenziale del suo progetto di restituire alla città il ruolo centrale nell’impero ormai lontano nel tempo. Un progetto condiviso dai più conservatori, incarnati dalla guardia pretoriana che lo sollevò alla porpora imperiale, ma era un sogno romantico perdente in partenza, perché le dinamiche strategiche dell’impero romano ormai avevano promosso altre capitali: Treviri, Milano, Nicomedia e Antiochia.

Era Proprio Massenzio a essere considerato il più abusivo sulla scena, e contro di lui si coalizzarono gli altri 3, lasciando a Costantino il compito di riconquistare i territori usurpatigli. Roma non era più la capitale dell’Impero, ma aveva mantenuto intatto il suo valore simbolico e Costantino considerò liberarla dal “tiranno” un compito assegnatogli da una volontà superiore, il segno incontrovertibile di un grande destino.
L’impresa però non era delle più semplici, perché Massenzio aveva radunato in Italia, con ogni mezzo, compresa la corruzione, un esercito sproporzionato rispetto alle esigenze belliche e alle risorse economiche del territorio: quasi 190.000 uomini tra i quali 10.000 pretoriani, che non erano più il fior fiore dell’esercito romano, ma che comunque incutevano sempre rispetto, soprattutto per la facilità con la quale manovravano gli imperatori. Dislocato per la maggior parte nel Nord Italia, forse un terzo di esso doveva essere a guarnigione di Roma, all’interno delle possenti Mura Aureliane, che lo stesso Massenzio aveva rinforzato.

Costantino disponeva di un esercito molto inferiore nei numeri, meno di 100.000 uomini, ma di questi ne poté condurre con sé al massimo un quarto: le sue province di competenza, infatti, erano le più turbolente, e soprattutto quelle dove correva una lunga porzione del “limes”, il confine fortificato che separava l’impero dai territori dei “barbari”. Sguarnire quel confine avrebbe significato dare campo libero agli invasori e per questo motivo Costantino lasciò nelle loro guarnigioni fortificate tutti i “limitanei”, le truppe stanziali, e prese con sé solo unità scelte di “comitatenses”, le mobili truppe di intervento.

Costantino era comunque convinto di essere destinato a un’ineluttabile vittoria e seppe comunicare questa certezza ai propri uomini: per quanto pochi fossero quei veterani britanni, galli e germanici, avevano combattuto al suo fianco in numerose battaglie e nutrivano totale fiducia nell’uomo che essi stessi avevano eletto al soglio imperiale e che ora, nella Primavera del 312, li conduceva verso una delle imprese militari che più avrebbero influenzato il corso della storia.

La parte iniziale della campagna fu favorevole a Costantino. Uno dopo l’altro sconfisse gli eserciti che Massenzio aveva inviato contro di lui, il primo a Torino e il secondo a Verona, dove la cavalleria di Costantino sbaragliò anche i catafratti di Massenzio, una potente cavalleria completamente corazzata ispirata ai cavalieri orientali. Costantino si distinse per la clemenza con la quale trattò le città conquistate e i suoi eserciti si dimostrarono estremamente disciplinati, rinunciando al diritto di saccheggio per la volontà del loro comandante.

Ormai nessun ostacolo si frapponeva tra Costantino e Roma, né eserciti nemici minacciavano le sue retrovie. Eppure la parte più difficile dell’impresa incominciava ora. Giunti in Autunno inoltrato, la stagione utile per la guerra era ormai agli sgoccioli e Roma non era una città facilmente assediabile, tanto meno da un esercito così poco numeroso.

Costantino, accampato a Nord di Roma sulla via Flaminia nella località di Malborghetto a 15 km. dalle porte della città, si era infilato in un vicolo cieco ed era costretto ad attendere le decisioni del proprio avversario. Questi, per parte sua, era preda di ancora maggiore incertezza. Compiva riti magici e divinazioni cercando di influenzare il proprio destino e di anticiparne il corso, ma come misura precauzionale provvide a far tagliare ponte MIlvio, per impedire che Costantino potesse tentare un assalto da Nord.

Il tempo scorreva a suo vantaggio, ma non senza controindicazioni: per quanto tempo la popolazione di Roma avrebbe sostenuto la pressione di un assedio? Per quanto ancora, soprattutto, poteva fidarsi di quell’esercito così numeroso? Ne era la guida o l’ostaggio?



battagali di ponte Milvio


Confortato da oracoli favorevoli, Massenzio decise una mossa a sorpresa: il 28 ottobre, ricorrenza dei 6 anni della sua nomina ad imperatore, dopo aver fatto disporre un ponte di barche nei pressi di ponte MIlvio, ordinò all’esercito di attraversare il Tevere e offrire battaglia a Costantino. Secondo l’opinione dei contemporanei fu Dio stesso a trascinare il tiranno “come con catene” fuori dalla protezione delle mura di Roma, che nessun’altra spiegazione sembrava plausibile per un gesto così avventato.

Un intervento altrettanto decisivo quanto quello più noto che si narra Dio riservò a Costantino il giorno prima della battaglia, confermandogli la propria protezione e il simbolo che doveva suggellarla: le lettere greche X e P sovrapposte da apporre ai vessilli e agli scudi dei soldati.

Man mano che attraversavano il Tevere, le truppe di Massenzio si allineavano sulla riva opposta per poter avanzare a schiere complete. L’operazione fu però così laboriosa da consentire a Costantino, già allertato dalla costruzione del ponte di barche, di proiettare in avanti le proprie truppe fino a pressare l’avversario lì dove si trovava. In spazi tanto angusti, la superiorità numerica forse 2 a 1 dell’esercito di Massenzio non poteva dispiegarsi e Costantino ne approfittò. La battaglia fu comunque molto incerta: le ali di cavalleria iniziarono lo scontro seguite delle fanterie al centro. Lo stesso Costantino combatté in prima linea con la propria cavalleria: un rischio che si rivelò decisivo perché quando la cavalleria di Massenzio cedette, collassò anche la parte meno affidabile della sua fanteria iniziando una fuga di massa verso il ponte di barche. Tra i primi a fuggire lo stesso Massenzio che fu travolto dalla ressa e cadde nel fiume, dove il peso della sua armatura lo trascinò a fondo, seguito da tanti altri suoi uomini nella stessa condizione: il ponte di barche non sopportò il peso dei fuggitivi e crollò, mentre altri furono sospinti in acqua dalla pressione delle truppe di Costantino. La stessa sorte toccò ai pretoriani, gli ultimi a cedere, che furono massacrati fino all’ultimo uomo.

Si era così conclusa una delle battaglie più decisive della storia. Costantino era atteso da altri 12 anni di guerre prima di poter assumere il completo controllo dell’Impero, ma il suo progetto aveva posto basi solidissime e su di esso si fonderà anche la cristianizzazione dell’Europa, che proprio a Ponte Milvio pose la sua prima pietra miliare.