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L'ULTIMA CAMPAGNA DI SOLIMANO IL MAGNIFICO

L'assedio di Szigetvar

nicola zotti

 



Nel 1566 Solimano il Magnifico era l’uomo più potente della terra. In cifre: 72 anni, dei quali 46 di regno, 12 campagne militari guidate, un impero che si estendeva su oltre 1.400.000 chilometri quadrati in tre continenti, un erede strangolato quando sospettava stesse cercando di accelerare i tempi della successione. E uno scopo: espandere ad Occidente i propri possedimenti per ripetere, marciando da Oriente, le imprese di Alessandro Magno. Una tredicesima campagna condotta ancora una volta personalmente doveva avvicinare questo obiettivo contando su un esercito di 100.000 turchi e 90.000 alleati rumeni.

La marcia verso il confine imperiale fu lentissima, perché la salute del sultano era così malferma da costringerlo a viaggiare cautamente in una carrozza dorata.

Tra Solimano e il suo ambizioso obiettivo, però, non solo i malanni dell’età, ma soprattutto una piccola spina nel fianco: la fortezza di Szigetvàr, in territorio ungherese, feudo del “ban” croato Nikola Subic Zrinski. Già assediata senza esito, da lì partivano ricorrenti incursioni che provocavano l’ira di Solimano.

Ultima vittima di Zrinski un piccolo contingente che fiancheggiava l’imponente colonna turca in movimento verso Vienna. Solimano dimenticò immediatamente ogni disegno strategico e ogni ambizioso progetto: abbandonò la strada fino ad allora percorsa, per punire l’insolente croato.

Zrniski chiese aiuto all’imperatore Massimiliano II ma non lo ottenne. Avrebbe dovuto difendere la città solo con i suoi 2.300 uomini, perché gli Asburgo la ritenevano ormai già persa.

Zrinski si rinchiuse nella fortezza e la riempì di munizioni, viveri e polvere da sparo: le famiglie del ban e dei soldati non vollero abbandonarli e decisero di condividerne il destino.

Il 5 agosto 1566 Solimano giunse a Szigetvàr. Zrinski aveva preparato per lui uno spettacolare ricevimento: le mura della città erano coperte di panno rosso e quelle della fortezza rivestite di peltro luccicante. Per tradizione il rosso indicava che non si sarebbe dato né si chiedeva quartiere. Una precauzione inutile visto l’umore di Solimano: due giorni prima di arrivare a Szigetvàr, aveva dato prova che la sua ira senile non era sfumata facendo strangolare il Pascià di Buda, Mohammedbeg Arslan, un soldato valoroso e leale, che gli aveva comunicato di essere stato sconfitto dalle forze imperiali.

La posizione della città era forte. Divisa in tre parti, ciascuna completamente circondata dall’acqua del fiume Almas e da paludi: la fortezza sorgeva su un isolotto poco più elevato degli altri al centro di un lago e assalirla sarebbe stato molto laborioso.

Ma non era però la manodopera a mancare all’esercito turco: mentre alcuni assalivano la fortezza, altri dirottavano il corso del fiume e ne riempivano il letto.

Dopo due settimane di sanguinosi inutili assalti, Solimano, ammirato per l’ostinato coraggio dei difensori, in un ritrovato barlume di lucidità politica, offrì a Zrinski di arrendersi onorevolmente, ma questi rifiutò e l’assedio riprese più violento di prima. A fine agosto i difensori si erano ridotti a 600 ed erano prossimi a capitolare.

Il 29 agosto, Solimano volle assistere all’ultimo definitivo attacco e venne issato sul suo cavallo, pallido simulacro del grande condottiero che era stato. I giannizzeri schiera dopo schiera si gettarono in una breccia guidati personalmente dai più alti dignitari ottomani. Incredibilmente i difensori li respinsero ancora una volta. Solimano piangente di rabbia fu fatto scendere da cavallo: un colpo apopletico lo condusse alla morte all’alba del 7 settembre.

Ma non poteva finire così: per nascondere l’avvenimento, il cadavere  venne posto seduto sotto un baldacchino, e il medico del sultano strangolato per assicurarsene la discrezione.

Grazie alla macabra messa in scena l’armata rimase unita e fu programmato ancora un assalto per il giorno successivo: proprio quell’8 settembre Zrinski con gli ultimi 300 compagni decise di suicidarsi in una disperata sortita. Fu tra i primi a morire, seguito presto dagli altri. I turchi penetrarono nella fortezza ebbri di vittoria per saccheggiarla: uno di essi entrò con una torcia accesa in una buia cantina: era la polveriera. Altre centinaia di turchi morirono nell’immane scoppio portando a 25.000 il conto complessivo delle perdite.

Il più importante tra i caduti di Szigetvar giunse però “vivo” fino a Belgrado: fu solo allora che Solimano il Magnifico poté finalmente, e definitivamente, morire.