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IL CASO DELLA GUERRA CIVILE AMERICANA

La retorica della "causa persa"

Nicola Zotti

 

Poche cose tolgono equilibrio all'analisi strategica quanto la pesante ipoteca di una visione romantica della guerra.

È ammissibile che un quadro dirigente decida di sacrificare vite umane e beni sapendo che si combatterà per una causa persa? Che non sussiste alcuna possibilità di vittoria?

Ovviamente no, e in effetti la retorica della "causa persa", degli eroi romantici che combattono per un ideale fino all'estremo sacrificio è sempre successiva alla fine della guerra stessa e spesso determinata dalla necessità di motivare una sconfitta ritenuta e dichiarata impossibile fino all'infelice epilogo.

Prendiamo il caso della Guerra civile americana.

Si era appena conclusa Appomattox che già nasceva e si diffondeva una tradizione romantica che cercava di giustificare, più che spiegare, la sconfitta del Sud. La confederazione era una "causa persa", il sogno di una generazione di uomini appartenenti ad un'altra epoca. Una guerra che andava combattuta, ma non poteva in alcun modo essere vinta.

La tradizione della sconfitta inevitabile sostiene che troppa era la sproporzione tra le risorse del Nord e quelle del Sud perché quest'ultimo potesse vincere.

È una convinzione consolidata e ancora oggi molto diffusa: ad esempio lo storico Shelby Foote, citato da James M. McPherson nel suo libro "Drawn With a Sword", si è spinto a sostenere, con un'immagine molto felice, che "Il Nord ha combattuto la guerra con un braccio legato dietro la schiena. Se la necessità si fosse presentata, avrebbe semplicemente tirato fuori l'altro braccio e lo avrebbe usato".

Per quanto consolatoria la tesi della causa persa ha ben più di qualche falla e conduce a conclusioni che dovremmo per lo meno considerare bizzarre.

Non ci sono dubbi che la disparità in uomini e materiali fosse nota alla classe dirigente meridionale: Jefferson Davies era stato Segretario alla guerra sotto il presidente Pierce e Lee era un ufficiale superiore dell'Esercito degli Stati Uniti. Molti altri ufficiali sudisti vantavano una considerevole esperienza militare e la disparità tra Nord e Sud in fatto di capacità produttive e di risorse umane era un dato di fatto per le leadership di entrambe le parti.

Dal primo degli ufficiali superiori fino all'ultimo rappresentante dell'opinione pubblica, nessuno si poteva dire all'oscuro della situazione, per cui prendere in esame la tesi della causa persa significa ritenere che un'intera classe dirigente fosse composta da pazzi, disposti a sacrificare un'intera generazione senza alcuno scopo né alcuna prospettiva.

Una specie di suicidio collettivo attuato nel modo più autodistruttivo possibile.

Se però escludiamo questa tesi, siamo chiamati a dare un'altra risposta: come avrebbe potuto fare il Sud per vincere la guerra? Perché dobbiamo ritenere che la leadership militare sudista prima di intraprendere la guerra debba aver individuato ragionevoli possibilità di vittoria.

In realtà i sudisti avevano le idee abbastanza chiare al riguardo. Il generale Edward Porter Alexander (che tra l'altro era presente a Gettysburgh e coordinò l'artiglieria durante la carica di Pickett) ne fa una sintesi nel suo "Fighting for the Confederacy: The Personal Recollections of General Edward Porter Alexander" (1989 University of North Carolina Press pag. 415)

«Quando il Sud entrò in guerra contro una potenza così immensamente ad essa superiore in uomini e denaro, e in ogni ricchezza delle moderne risorse in macchinari e mezzi di trasporto per terra e mare, esso poteva contare su nient'altro che una singola speranza di successo finale. Questa era che la sua disperata resistenza costasse alla fine al nostro avversario un tale prezzo in sangue e patrimoni da esaurire l'entusiasmo della sua popolazione per i motivi della guerra. Non potevamo sperare di conquistare il Nord: l'unica nostra possibilità era consumarlo».

In questa mirabile analisi il generale Alexander ci spiega che l'unica strada percorribile era quella politica: infliggere al Nord tali perdite umane e materiali, da esaurirne gradualmente ma inesorabilmente la volontà di guerra.

Alexander esclude, ovviamente, a priori la possibilità di "conquistare" il Nord: ciò che del territorio nordista era alla portata delle capacità logistiche sudiste era un'infinitesima parte della sua estensione e soprattutto della sua potenzialità produttiva.

Neppure citata è l'eventualità di un intervento diplomatico o militare estero a favore del Sud, che nessuno ha mai spiegato come, perché e da chi avrebbe dovuto essere effettuato. Senza contare poi che la proclamazione dell'emancipazione lo rese comunque inattuabile.

L'unica possibilità era dunque quella di convincere il Nord che la coercizione non avrebbe funzionato e che non ne sarebbe valsa la pena: un obiettivo realizzabile mantenendo le proprie armate in campo il tempo necessario ad erodere la volontà bellicistica nordista. il Sud sarebbe sopravvissuto finché fossero esistite le proprie armate: finite queste, finita la Confederazione (una considerazione che dovrebbe farci esprimere più di una riserva sulla conduzione della guerra da parte del generale Robert Edward Lee).

Di fatto, ma questo a priori non era prevedibile, la Confederazione non perse nessuna importante battaglia per carenza di uomini, munizioni o rifornimenti, perché il suo apparato industriale e le importazioni riuscirono a mantenere sul campo le armate sudiste almeno fino al 1865, quando le carenze si fecero sensibili e generalizzate, ma quando ormai anche il destino della Confederazione era già segnato.

L'Unione dovette sempre confrontarsi con questa sfida: la Confederazione doveva essere domata prima che la popolazione e soprattutto gli elettori degli stati del Nord fossero stanchi della guerra e compissero la fatale scelta di abbandonare il Sud al proprio destino. Questo era il rischio che aleggiava costantemente sull'Unione: che il peso dei costi umani, emotivi e finanziari della guerra divenisse insopportabile per la maggioranza della propria popolazione, convincendola a votare per la propria sconfitta.

La campagna per le elezioni presidenziali del 1864 portò al calor bianco il dibattito politico, con i cosiddetti "copperheads" democratici, una strana, santa -- e "velenosa" come il serpente da cui prese il nome -- alleanza tra cattolici irlandesi, razzisti e pacifisti, che chiedevano il cessate il fuoco immediato e l'inizio di trattative con il Sud per la sua indipendenza. Con un candidato democratico formalmente pro guerra come il generale George B. McClellan a fare da testa di ariete, lo stesso Lincoln non nutriva grandi speranze nella propria rielezione.

Fu la vittoriosa e fulminea discesa di Sherman verso Atlanta e i successi di Grant contro Lee a Richmond a fare la differenza e a far comprendere che la vittoria nordista era ormai a portata di mano.

Al di là di quante risorse ha una nazione, infatti, di quanti uomini, di quanti mezzi, non sono solo questi che devono esaurirsi perché si decida un conflitto: può esaurirsi molto prima che questo accada la sua volontà di combattere.