torna alla homepagetorna alla homepage
storia militare e cultura strategica
torna alla homepage
 
dalle discussioni
dell'area Warfare di MClink,
a cura di Nicola Zotti
 
home > strategia> La "Grande strategia" dell'Impero romano


ricognizioni
in territorio ostile


recce team

storie
strategia
tattica
what if?
vocabolario
documenti
segnalazioni
link
scrivici


quelle piccole sciabole incrociate

quelle piccole spade incrociate

Viaggi nei
campi di battaglia d'Italia
sulle carte del Tci


SI' MA QUALE?

La "Grande strategia" dell'Impero romano


nicola zotti



Quarantadue anni fa, nel 1976, un libro aprì un campo di studi fino ad allora rimasto inesplorato nell’ambito della storia militare antica.

Il libro, uscito cinque anni dopo anche in Italia, si intitolava “La grande strategia dell’Impero romano”, ed era frutto degli studi di uno specialista di analisi strategica e di relazioni internazionali contemporanee, divenuto con gli anni molto noto anche in Italia: Edward Luttwak.

Il campo degli studi strategici dal quale proveniva Luttwak aveva da pochi decenni definito la “grande strategia”, come quell’ambito dell’attività di uno stato che si occupa in modo privilegiato dell’assegnazione di risorse statali tra i vari obiettivi politici e militari e coincide con la fase più alta della politica e delle questioni della pace e della guerra.

La strategia, senza aggettivi qualificativi, comprende i piani, le decisioni e le azioni intraprese prima e durante una campagna militare per il conseguimento degli obiettivi che i vertici politici hanno assegnato alle proprie Forze Armate. I commentatori moderni creando il termine “grande strategia” hanno voluto individuare e distinguere un livello decisionale più elevato, dove i capi di stato bilanciano iniziative politiche e azioni militari per sostenere i propri interessi nazionali a lungo termine. Questo può riguardare solo marginalmente la gestione di una guerra in particolare, e certamente ha poco a che fare con una specifica campagna militare, mentre ha più attinenza su come la politica risolve i vari conflitti combinando i propri strumenti diplomatici e militari per il raggiungimento delle ambizioni nazionali nelle relazioni internazionali. Le definiziioni dei termini “strategia e “grande strategia” così come vengono impiegati negli studi strategici contemporanei inevitabilmente danno per scontata l’esistenza di molte istituzioni dello stato-nazione che non hanno paralleli nel periodo romano: ma anche dal semplice punto di vista terminologico non si fa cenno in alcun testo greco-romano del concetto di grande strategia, e persino riguardo la strategia gli antichi ne avevano un’idea diversa dalla nostra, meno astratta e articolata, e più attinente alle attività concrete di un comandante in capo.

L’ipotesi avanzata da Luttwak non si limitava a sostenere che anche la Roma imperiale avesse una “grande strategia”: storicamente tutte le maggiori nazioni, infatti, si sono configurate come organismi complessi che si pongono obiettivi, li ordinano in una classifica di priorità, e in base a questa distribuiscono risorse per il loro raggiungimento, sia che abbiano sviluppato o si siano affidate o meno a piani sistematici di lungo periodo. Roma fu per secoli la più grande potenza mondiale e non poteva fare e non fece eccezione. Secondo lo studioso americano, agli imperatori romani poteva forse mancare un progetto consapevole ed esplicito di alta strategia, così come difettava loro un termine per definire questa attività, ma certamente raggiungere un ruolo egemone e mantenerlo per secoli comportava, almeno in linea teorica, la capacità di elaborare in modo coerente e continuativo un’efficace “grande strategia”, o qualcosa di molto vicino ad essa.

Seppure nessun ritrovamento di epoca imperiale possa avvalorare l’elaborazione di un progetto di questa natura, d’altra parte, secondo lo studioso americano, abbiamo sufficienti testimonianze per descrivere un grande e complesso apparato di sicurezza che integrava in un insieme coerente la dislocazione di truppe, difese fisse, un’efficiente rete stradale, e un sistema di segnalazione: tratti essenziali, seppure non unici, di una concreta grande strategia.

La tesi di Luttwak è che i Romani avessero sostanzialmente cessato la propria espansione incontrando popoli difficili da sconfiggere o da assorbire e quindi individua il loro obiettivo grande strategico nella volontà di “dare sicurezza alla società [romana], senza pregiudicare la vitalità delle sue basi economiche e senza compromettere la stabilità di un ordine politico in evoluzione”.

Dato questo scopo ultimo, Luttwak descrive il funzionamento del "sistema di sicurezza" romano durante tre differenti fasi del suo sviluppo, sostenendo che in ciascuna di esse “aveva lo scopo di realizzare una determinata serie di esigenze prioritarie, dove parimenti si riflettevano gli ideali successivamente concepiti dall’impero: l’espansionismo egemonico per il primo sistema; la sicurezza territoriale per il secondo, e infine, ormai in una situazione di decadenza, la semplice sopravvivenza dello stesso potere imperiale”.

Il primo sistema corrisponde alla fase iniziale del Principato, periodo che va da Augusto a Nerone (dal 31 a.C. al 68 d.C.), ed è caratterizzato secondo Luttwak da una rimarchevole efficacia nell’impiego delle forze militari. Gli imperatori giulio-claudi seppero mantenere un bilanciamento estremamente “economico” tra controllo diretto e indiretto sui vicini, così da rendere sicuri i propri territori. Appena 28 legioni, appoggiate dalle truppe ausiliarie, erano sufficienti a proteggere le province del regno di Augusto: un numero straordinariamente esiguo per un impero che si estendeva dalla Spagna all’Egitto.

Per Luttwak questa ammirevole economia di forze fu consentita da una politica che tendeva a coprire i confini imperiali con una cintura di stati clienti “cuscinetto”: le nazioni alleate sarebbero così state le prime ad affrontare eventuali minacce esterne dirette verso l’mpero, con le proprie sole forze o, se necessario, con l’aiuto di truppe romane.
Tra il 68 e la morte di Settimio Severo nel 211, i Romani svilupparono un secondo sistema per assicurarsi quella che Luttwak chiama “difesa di sbarramento”. Si spinsero a conquistare e ad annettere territori fino a raggiungere una frontiera esterna difendibile. Secondo il principio delle “frontiere scientifiche”, i tratti di confine che non disponevano di difese naturali (e anche alcuni di quelle che le avevano) vennero dotati di fortificazioni, stazionando quindi le truppe legionarie e ausiliarie in guarnigioni lungo tutta la loro estensione, in modo da proteggere le province imperiali dalle minacce a bassa intensità delle tribù barbare. A partire dal I secolo in varie province confinarie dell’impero romano iniziarono così a sorgere estesi approntamenti difensivi collegati tra loro anche fisicamente con strutture fisse come palizzate o mura fornite di camminamenti, integrando opere preesistenti con nuove costruzioni. Strutture campali dotate di torri di segnalazione e intervallate da forti capaci di ospitare guarnigioni stabili di varie dimensioni: da poche centinaia di uomini a legioni intere. Col passare del tempo questo sistema difensivo divenne quasi continuo, estendendosi per lunghi tratti dei circa 6.500 chilometri del perimetro dell’impero romano: il Limes, come noi lo chiamiamo oggi, probabilmente definito “Munimentum” dai Romani.

Questa difesa di sbarramento aveva un uso delle forze militari meno economico di quella precedente basata sul sistema degli stati clienti: i Romani dovevano confrontare ogni singola minaccia contando esclusivamente sulle proprie forze e sulle risorse finanziarie rese disponibili dalla tassazione, anziché proiettare il proprio potere al di là dei confini imperiali grazie al contributo degli alleati. Questo sistema, inoltre, non consentiva di disporre di sostanziali riserve strategiche con le quali affrontare minacce di grande entità, qualora si fossero presentate.

In questo periodo di tempo l’impero romano aveva modificato la propria struttura istituzionale: Marco Aurelio, alla sua morte avvenuta nel 180, aveva interrotto la tradizione degli imperatori “adottivi”, caratteristica del Principato per circa un secolo, riprendendo quella della successione dinastica, interrottasi con la dinastia dei Flavi (69-96), chiamando a succedergli il figlio Commodo. Il principato era stato instaurato nel 27 a.C. da Augusto, segnando il passaggio dalla forma repubblicana a quella autocratica dell'Impero: le istituzioni repubblicane non erano state formalmente abolite, ma il principe (in latino princeps) assumeva la guida dello stato e ne costituiva il vertice politico. La forma assolutistica inaugurata dai primi imperatori della dinastia Giulio-Claudia (27 a.C.-68 d.C.), culminò con l’ascesa al potere di Settimio Severo e della sua dinastia (193-235). La successiva anarchia militare (235-285) durante la crisi del III secolo condusse al definitivo affermarsi della forma imperiale dispotica del Dominato: l'imperatore, non più ristretto nei suoi poteri da quanto rimaneva delle antiche istituzioni della Repubblica romana, poteva disporre dell'Impero come sua proprietà privata, da padrone e signore, cioè dominus, da cui la definizione di dominatus.

Il caos provocato dalla crisi del III secolo vide l’insorgere quasi simultaneo di tutte le maggiori minacce esterne dell’impero romano, e secondo Luttwak innescò il collasso del sistema di difesa di sbarramento, minando alle fondamenta la sicurezza dello stato romano. La risposta fu un terzo e ultimo sistema difensivo, basato questa volta sulla “difesa in profondità”, caratterizzato da una nuova distribuzione delle forze e da un nuovo sistema di fortificazioni: queste ultime avrebbero avuto la funzione non solo di contenere le invasioni, ma soprattutto di indirizzarle lungo vie prestabilite. Una grande armata, appositamente tenuta come riserva centralizzata, avrebbe quindi potuto muovere contro il nemico per contrastarlo prima che penetrasse in profondità nel cuore dell’impero. Questa impostazione aveva il vantaggio di poter affrontare avversari provenienti da una molteplicità di direzioni differenti, consentendo al contempo di difendere il confine con un numero estremamente ridotto di truppe.

Il lavoro di Luttwak ebbe una grande risonanza sia nell’ambito degli analisti strategici che in quello degli storici-militari. Per i primi era un’inestimabile riflessione in un campo ancora in cerca di consolidamento, per i secondi fu l’occasione per aprire un dibattito che prosegue ancora oggi sul modello proposto dallo studioso americano. Dal punto di vista di questi ultimi, però, si sollevarono più critiche che consensi, soprattutto perché i sistemi difensivi proposti da Luttwak e la loro periodizzazione non sostennero positivamente un esame storico approfondito: non convinse l’ideologia difensivistica dell’impero romano proposta da Luttwak, e la politica militare che aveva individuato non risultò corrispondere alle fasi da lui delineate. Altri hanno sottolineato che lo stesso concetto di confine come noi lo intendiamo oggi e come Luttwak mostra nel suo lavoro sostanzialmente di condividere, mal si adatta alla cultura antica, per la quale non esistevano “territori” delimitati da confini, ma popoli, che incidentalmente abitavano una certa porzione di mondo. I Romani erano un popolo che conquistava altri popoli, non uno stato che si espandeva a spese di altri stati. Lo stesso limes, quindi, non può essere automaticamente considerato un “confine” tra territorio romano e territori non-romani, perché poteva svolgere una funzione di presidio e di controllo che si estendeva oltre la sua collocazione fisica, così come la cultura e la potenza romana pretendeva di estendersi su tutta la terra conosciuta. Un aspetto da non sottovalutare, perché la cognizione che i Romani avevano del mondo era ovviamente molto meno precisa della nostra: ad esempio credevano che il Mar Caspio conducesse all’Oceano Esterno – un grande mare che circondava le terre emerse – e quindi bagnasse l’India, e non avevano idea dell’esistenza della Russia. Immaginandosi un mondo molto più piccolo di quello reale, gli imperatori romani potevano effettivamente sostenere di averlo conquistato quasi tutto, e sulla parte rimanente avevano comunque proiettato l’influenza della cultura latina.

Lo schema proposto da Luttwak risulta troppo rigido anche riguardo la tripartizione dei modelli di difesa. Nel 14 d.C. Tacito ad esempio afferma che le 8 legioni di stanza sul Reno erano una riserva “sia contro i Germani che contro i Galli” e che le 2 legioni in Dalmazia erano di sostegno per le altre 4 che presidiavano il Danubio, pronte ad intervenire anche in “rapido aiuto”: un passaggio che non solo suggerisce quanto le legioni renane assolvessero una funzione contemporaneamente di presidio territoriale “interno” quanto di proiezione di forza “esterna”, ma che assieme alle legioni dalmatiche svolgessero già in epoca augustea compiti strategici di riserva mobile.

In realtà anche queste critiche – per quanto efficaci – al lavoro dello studioso americano hanno un loro punto debole: anziché rispondere alla domanda se i Romani avessero o meno una “grande strategia”, affrontano la questione, altrettanto interessante, ma diversa, del perché i Romani abbiano fermato le loro conquiste ad un certo “limite”. Un tema indubbiamente centrale anche nel lavoro di Luttwak, ma che lascia inevase altre domande sulla distribuzione delle risorse nazionali operata dagli imperatori per il raggiungimento di obiettivi di interesse collettivo di lungo periodo, su come essi prendessero decisioni grande strategiche e quali possiamo individuare come tali.
Durante la Repubblica, a Roma gli stati di guerra e di pace venivano legalmente ratificati dall’assemblea del popolo romano. I rapporti diplomatici con le potenze straniere, invece, erano prerogativa esclusiva del Senato, che riceveva e inviava ambascerie. Singoli senatori potevano essere investiti in modo non ufficiale di importanti incarichi e potevano anche patrocinare gli interessi di altre nazioni.

Durante il Principato, tutto questo cambiò. Le ambasciate erano inviate dall’imperatore ed erano dirette a lui. Il ruolo del Senato nelle questioni di politica estera venne fortemente ridimensionato, ma a discrezione dell’imperatore poteva occasionalmente ricevere l’incarico di occuparsi di questioni di politica estera.
Era l’imperatore a prendere l’ultima decisione: poteva avvalersi del “consilium”, un gruppo informale di consiglieri che egli invitava personalmente ad assisterlo, e che non avevano alcun ruolo istituzionale, ma meramente consultivo. In seguito, questo organismo venne affiancato dal Concistoro, una sorta di consiglio dei ministri, ma in generale il sistema amministrativo romano non fu mai particolarmente efficiente, né all’altezza dell’immane compito che doveva affrontare. La componente politica e progettuale della grande strategia dell’impero romano forse quindi fu debole e comunque è quella che abbiamo poche speranze di poter conoscere approfonditamente.

Purtroppo non ci sono pervenute le relazioni delle riunioni degli imperatori con i loro collaboratori, e scarse sono in generale le comunicazioni imperiali giunte fino a noi – lettere ai governatori provinciali, dichiarazioni ufficiali, leggi, iscrizioni – che si aggiungono alle narrazioni degli storici, e ad altre testimonianze dei contemporanei.
Gli imperatori romani, comunque prendessero le loro decisioni, agivano in un mondo complesso nel quale minacce e opportunità erano in continuo cambiamento, e, soprattutto, la pace era un’eccezione e lo stato di guerra la regola. Dovevano bilanciare l’esigenza (o il desiderio) di rendere disponibili risorse per le operazioni militari con l’arruolamento e il sostentamento delle truppe, considerando il carico fiscale che queste loro decisioni esercitavano sulla popolazione. I loro regni, per altro, potevano essere brevissimi e pochi furono così fortunati ad avvicinarsi alla metà dei 41 anni di quello di Augusto: qualora anche un imperatore avesse concepito una grande strategia poteva mancargli il tempo per metterla in pratica.

Individuare la grande strategia dell’impero romano, tuttavia, non è affatto un’impresa impossibile, perché abbiamo un ottimo indicatore per individuarla: lo schieramento delle legioni. Sulla allocazione di questa essenziale risorsa di ogni grande strategia abbiamo infatti tutte le informazioni che ci possono servire per dedurre almeno gli effetti delle loro decisioni grandi strategiche.

L’Esercito romano era in primo luogo la componente più efficiente dello stato romano ed anche la più preziosa: il numero delle legioni arruolate per gran parte dell’epoca imperiale fu sempre poco più o poco meno di 30 unità, un limite di sostenibilità economica che non venne mai superato.

L’imperatore doveva spostare queste poche pedine sull’immensa scacchiera dell’impero con grande oculatezza. Dato un numero così limitato di risorse a disposizione, infatti, muovere una legione e varie altre unità dalla Pannonia (le odierne Ungheria occidentale e Croazia) alla Numidia (tra Marocco e Tunisia) per contrastare la ribellione del condottiero numida Tacfarinas, come ad esempio fece Tiberio nel 19, era una decisione estremamente delicata e gravida di conseguenze, perché esponeva al pericolo altre province.

Seguendo la storia delle campagne militari sostenute dagli imperatori romani abbiamo chiaro il quadro della loro attenzione a contenere le crisi o a sostenere le proprie ambizioni senza mettere in pericolo la sicurezza complessiva e la stabilità dell’impero. Lo schema dei movimenti delle legioni e delle unità ausiliarie mostra inoltre chiaramente che i processi decisionali degli imperatori su questioni grandi strategiche non avevano bisogno di progetti a lungo periodo: gli imperatori, infatti, ristabilivano l’equilibrio di forze anche dopo che eventi come ribellioni, guerre o successioni imperiali le avevano alterate. Naturalmente fattori strutturali, come la sostenibilità della forza militare, agevolarono la persistenza di determinate guarnigioni, ma non di meno gli sviluppi di questi movimenti dimostrano anche che gli imperatori prendevano decisioni consapevoli e attentamente meditate riguardo alla distribuzione delle forze a loro disposizione. La rete stradale romana e il sistema di fortificazioni come il limes erano dunque strumenti infrastrutturali di una grande strategia che aveva concepito il proprio “limite” non in un confine fisico, ma nelle potenzialità economiche e demografiche dell’impero, e le legioni ne erano invece l’elemento attivo e dinamico.