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GUERRE DI GOVERNO: PARERI TECNICI

Guerra: "fredda" o "civile"?

nicola zotti

Nel mese di settembre 2008 il governo italiano ha affrontato, tra gli altri, due problemi, uno di politica estera e uno di politica interna, incentrati in entrambi i casi sul concetto di "guerra": e si è trattato di questioni strategiche non di breve respiro.

Nel primo caso, il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, riferendosi alla crisi russo-georgiana, si è ascritto il merito di aver scongiurato il pericolo di una "nuova guerra fredda".

Nel secondo, invece, abbiamo assistito ad un acceso scambio polemico tra il ministro degli Interni, Maroni, e quello della Difesa, La Russa: di fronte ai 6 cadaveri di altrettanti immigrati nigeriani uccisi dalla camorra, Roberto Maroni ha parlato di "guerra civile", subito contraddetto da Ignazio La Russa, che ha ridotto la questione a "guerra tra bande rivali".

Su entrambe le questioni mi sento di esprimere un parere tecnico.

Per quanto riguarda il presidente Berlusconi vorrei notare che l'orologio della storia non si è fermato venti anni fa, ma ha proseguito la sua corsa.

Tra il 1945 e il 1989 i sistemi socio-politico-economici che si confrontavano nella "guerra fredda" erano profondamente divisi e diversi.

Oggi non è più così, e qualcuno dovrà informarne il presidente Berlusconi: la CSI fa parte integrante del sistema capitalistico, ne condivide ideologia e regole, e il confltto al quale egli fa riferimento è tutto interno a quel sistema.

Certo Putin ne ha costruito una propria versione, ad uso e consumo degli ex funzionari del KGB, dalle cui fila proviene, ma parlare di guerra fredda è un grave errore concettuale che ci porta a ritenere che Berlusconi veda (o riveda) nella Russia di oggi l'URSS di ieri, e nel conflitto tra Russia e Georgia una questione interna all'Unione Sovietica o dell'adesione della Polonia alla Nato una violazione del Patto di Varsavia, commettendo un dilettantesco e catastrofico errore di prospettiva.

Per fortuna che la politica estera non interessa a nessuno in Italia, tanto meno al ministro Frattini, e che il nostro peso sullle questioni internazionali è nullo, perché con queste basi si fanno solo danni.

Sulla polemica Maroni-La Russa "tecnicamente" dobbiamo innanzitutto fare una premessa e quindi chiarire due punti.

Va infatti premesso che un governo il quale annunci lo stato di guerra civile automaticamente la dichiara e la crea. In effetti è prassi comune che un governo al contrario non ne riconosca mai l'esistenza, ma affermi, con pervicacia che supera ogni evidenza, i suoi nemici essere solo dei "banditi" e dei "briganti".

Nello specifico, poi, è sufficiente che la sovranità nazionale italiana sia limitata in alcuni territori? Che viga in questi territori una legge, diversa dalla nostra, amministrata da altri (nella fattispecie la criminalità organizzata), per affermare la presenza di uno stato di guerra civile?

No, è necessaria anche una volontà secessionista, che si ponga come obiettivo la sostituzione di una sovranità con un'altra, se inevitabile con l'uso della forza.

Solo in presenza di quest'ultima condizione si può parlare di "guerra civile", come ha fatto il ministro Maroni, tra lo stato italiano ed un altro incompatibile potere politico che agisce nei suoi confini.

Se di "Vandea" si tratta allora, capirete, che la questione si fa dura. Al momento la polemica si è chiusa nel silenzio di entrambi i ministri contendenti, ma se sarà ripresa e approfondita nei contenuti, credo assisteremo ad un inedito dibattito strategico-militare interno al governo: e forse, se prevarrà un'opinione "secessionista" vedremo in un futuro prossimo i nostri militari rastrellare "vandeani" per le strade delle città italiane, anziché pattugliare annoiati -- pur con la consueta professionalità ed efficienza -- le ambasciate.