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UN PROBLEMA A LUNGO TERMINE

Realpolitik o no?


nicola zotti


C'era una volta la Realpolitik.

Non è passato neppure troppo tempo da quando ne eravamo interpreti e cultori, per cui dovremmo ricordarcela.

Riempiva di così tanti scheletri i nostri armadi che avevamo rinunciato a chiuderli: sarebbe stata una fatica inutile.

Il suo principale vantaggio era la semplicità. Rendeva lineari le relazioni internazionali con alcuni paesi di importanza strategica, in particolare del Terzo Mondo: loro (più o meno) individuavano una Leadership con la nostra attiva complicità, e noi (uno dei due blocchi) li trattavamo da amici o da nemici di conseguenza.

"È un puzzone, ma è il nostro puzzone" era la chiave, esplicitata con sfrontata schiettezza, dei rapporti politici di alleanza.

Mi preme aggiungere che Realpolitik e cinismo non hanno niente in comune, perché il secondo ha bisogno di un relativismo morale che è moneta comune oggi, ma era sconosciuto quando si sapeva da che parte stare e che cos'era l'interessa nazionale.

Oggi la Realpolitik non è più cosa di questo mondo: c'è chi la rimpiange [non io e proprio per eccesso di realismo], c'è chi la rispolvera (senza esplicitamente rimpiangerla) come espediente dialettico per sottolineare come "si stesse meglio quando si stava peggio".

Meglio dei "puzzoni" (amici o nemici) che facciano il lavoro sporco di tenere a bada le loro popolazioni, disinfettandole dai germi che potrebbero infettarci, piuttosto di essere costretti a farlo noi in prima persona.

Meglio saziare loro e le loro inquietanti quanto voraci famiglie che dover trattare con un'interminabile fila di postulanti che si autoproclamano "Leader" come accade ora.

Perché questo, in fondo, è il punto: quello che abbiamo di fronte è un territorio inesplorato in cui chi può o deve, gioca d'azzardo e di fiuto: un tavolo di poker con troppi partecipanti che puntano pesante, tra bari, professionisti, dilettanti allo sbaraglio, che sembrano tutti uguali.

Com'era semplice fare politica estera un tempo: bastava una guida forte e chiara, il resto era esecuzione, mestiere, burocrazia, amministrazione.

In un panorama confuso e caotico come l'attuale al contrario è arte, e i suoi interpreti ne devono possedere l'estro non solo nelle due o tre sedi diplomatiche principali, ma in tante, tante di più.

Ed ecco spiegata la "caccia agli ambasciatori", promossa da al Qaeda: le sedi diplomatiche non vengono più prese di mira in quanto generiche rappresentanze di un nemico, come simboli di un paese verso il quale si nutre ostilità, ma in quanto sedi di possibili agenti politici attivi.

L'assassinio dell'ambasciatore Christopher Stevens, non è dunque casuale ed è un colpo difficile da recuperare, per le competenze, le esperienze e le qualità umane dell'uomo.

Tanto più quanto si ritiene necessario adottare politiche meno "realistiche" e più manovriere, più elastiche e meno meccaniche, soprattutto più di lungo periodo.

Quante generazioni di studenti dovranno uscire dalle nostre università per avere funzionari di ambasciata in grado di essere coerenti con questo genere di politica? Temo parecchie.

La speranza è che crescano assieme (e con un basso grado di mortalità prematura) con i processi di autonoma "democratizzazione" nelle aree calde del pianeta.

Se questa (doppia) speranza non è condivisa, meglio allora scegliere senza tentennamenti un ritorno alla Realpolitik, alle cannoniere, all'arruolamento massiccio di truppe nazionali per l'Oltremare e di unità coloniali fedeli.

E a riprenderci le colonie sul serio, finché siamo in tempo, facendo piazza pulita di chi rappresenta una "minaccia per la democrazia", la nostra ovviamente, e avviando un processo di liberalizzazione di lungo termine in quelle regioni, magari illuminato, ma solidamente paternalistico e diretto, e non per l'interposta persona dei pericolosi e tutto sommato controproducenti "puzzoni" di un tempo.

Non sarà una scelta indolore, perché le opinioni pubbliche e i cittadini-elettori al momento non sembrano molto propensi ad essere investiti delle responsabilità che quest'ultimo scenario comporta di fronte alla Storia.

Più facile, considerando l'antropologia delle nostre attuali classi dirigenti, forse, trovare dei nuovi Rodolfo Graziani, disposti ad assumersi l'incarico di "eseguire" con zelo non tanto gli ordini, che ovviamente non ci sono o sono vaghi e approssimativi, ma di interpretare secondo gli usi della Burocrazia l'ordinaria amministrazione.

Sempre meglio la Realpolitik di questo inconcludente cinismo senza etica nel quale siamo immersi senza più nemmeno accorgercene.