torna alla homepagetorna alla homepage
storia militare e cultura strategica
torna alla homepage
 
dalle discussioni
dell'area Warfare di MClink,
a cura di Nicola Zotti
 
home > strategia > italiani: mercenari per l'Europa


ricognizioni
in territorio ostile


recce team

storie
strategia
tattica
what if?
vocabolario
documenti
segnalazioni
link
scrivici


quelle piccole sciabole incrociate

quelle piccole spade incrociate

Viaggi nei
campi di battaglia d'Italia
sulle carte del Tci


OPINIONE SUFFRAGATA DA ALTRE OPINIONI

Italiani: mercenari per l'Europa

Nicola Zotti

L'opinione pubblica sembra sorpresa: i nostri soldati, in una complicata situazione di non-guerra guerreggiata, dimostrano un'inattesa efficacia per essere un corpo dello Stato. Ma sono gli analisti militari di mezzo mondo a riconoscere la nostra particolare abilità nelle operazioni di peace-keeping.

"Italiani brava gente", ancora una volta, ma soprattutto italiani professionisti della guerra, senza altre aggiunte.

Merito, senza dubbio, di un lavoro che parte da lontano, svolto dai nostri vertici militari tra innumerevoli difficoltà, tagli di bilancio, pudori politici, cronica incapacità di programmare da parte dei governi che si sono succeduti nella nostra storia nazionale.

Gli alti ufficiali sono sempre stati il punto debole delle nostre forze armate: un coacervo di litigiosità, incompetenza, presunzione, arroganza, cieco conservatorismo, sostanziale subordinazione al potere politico.

Le qualità militari del soldato italiano nelle due guerre mondiali vanno lette alla luce di una duplice inadeguatezza: quella strategica della guida politica e quella operativa della guida militare. Sotto questa prospettiva le nostre quotazioni come soldati salgono alle stelle.

Sessant'anni di vita democratia hanno avuto un effetto benefico e i nostri vertici militari sono diventati uno straordinario e singolare ibrido tra tecnici della difesa e politici.

Le nostre Forze Armate sono profondamente politicizzate, ogni partito politico della repubblica ha i suoi protetti in seno alle gerarchie militari. Un intreccio capace di proficui scambi e che accontentava tutti.

La nuova generazione di alti ufficiali è fatta di leader accorti ed esperti, e non è un caso che quelli tra loro entrati in Parlamento o comunque visibili nel dibattito politico nazionale, si distinguano per autorevolezza e un sano pragmatismo

In questo organismo sviluppatosi con un saldo apprendistato politico, si ergono, come qualcosa di distinto eppure di integrato, i Carabinieri.

L'Arma (oggi, domani il nucleo fondante un Corpo di polizia europea), con la sua presenza nella società italiana e le sue "relazioni estere", la sua coscienza di sé, il suo potere autonomo eppure sciolto nel tessuto sociale, la sua capacità di dialogo con gli altri poteri, la sua autorevolezza, la sua intelligenza.

In questo intreccio di percorsi di leadership, le Forze Armate italiane sono diventate qualcosa di assolutamente unico nel panorama internazionale: una forza politicamente percettiva e comunicativa, capace di interpretare il terreno e la situazione militare dal primo all'ultimo uomo.

Come i nostri carabinieri, sanno parlare al parroco, al notaio e al farmacista del paese: ma quando serve li chiamano tutti in piazza e fanno l'appello.

Soldati che tengono alla vita propria e dei compagni più che alla carriera e non strafanno, ma hanno coscienza del proprio ruolo e quindi sanno contrattare con il potere politico e tenerlo a bada se è necessario.

La nostra tradizione cattolica, poi, mitiga la brutalità che i nostri soldati sono disposti ad impiegare. E un effetto calmieratore ancora più forte delle possibili reazioni dell'opinione pubblica -- con le conseguenti inevitabili censure, punizioni e rimozioni -- è il pensiero del ritorno a casa e del giudizio della propria comunità, dei propri parenti, dei propri amici.

Il nostro passato ci ricorda ogni giorno che chi tiene famiglia per tirare a campare può e deve accettare sacrifici: l'emigrazione, un lavoro precario, i viaggi in autostrada di un agente di commercio possono essere una prospettiva molto peggiore di una pallottola.

Così la crisi del nostro paese e la disoccupazione del Mezzogiorno portano il quadruplo delle domande di arruolamento rispetto ai posti disponibili: le Forze Armate hanno un certo agio nella scelta dei giovani migliori e possono contare sulla loro motivazione, sulla loro disponibilità a costruirsi una carriera e un futuro con la divisa. Un lavoro "socialmente utile", con crescente prestigio e una retribuzione sana.

Nei decenni a venire, le Forze Armate saranno sempre più il rifugio di giovani istruiti, solidi e coscienziosi, ma senza quei santi in paradiso che consentono un lavoro meno rischioso, eppure in realtà non solo effettivamente raro, ma anche meno "fisso" e tutelato di un tempo.

In questo periodo, l'Europa dovrà farsi carico di maggiori responsabilità internazionali: i pensierosi francesi, i miti tedeschi, i distratti spagnoli troveranno molto interessante avvalersi dei nostri soldati.

Sarà un po' più difficile per gli inglesi affidarci il rulo di principali difensori dell'Europa, ma anch'essi si adatteranno agli insostenibili costi crescenti del loro apparato militare.

Le economie di questi paesi europei navigano molto meglio della nostra: pagare i soldati italiani perché costituiscano il nerbo dell'esercito europeo sarà una scelta inevitabile e saggia assieme.

Meglio, molto meglio, che avvalersi dei tedeschi dell'Est, dei polacchi o del materiale umano proveniente dai paesi dell'ex-patto di Varsavia: al massimo questi potranno svolgere il ruolo di neo-Ghurka, per il terremoto sociale e morale che li ha travolti al momento non si può loro chiedere di più.

L'Italia rinverdirà la sua antica tradizione mercenaria, ma sotto la copertura ideologica e "nazionale" della bandiera con le stelle d'Europa, tra le quali più splendente di altre, mi auguro per le nostre donne e i nostri uomini in divisa, brilli lo stellone italico.