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IL TRIONFO DELLA REALPOLITIK

La strategia dell'impero ottomano

Nicola Zotti

 

I motivi strategici del conflitto tra l’Europa e l’impero ottomano sorsero durante i 18 anni del regno del sultano Selim I, dal 1512 al 1520.

Paradossalmente, egli aveva stretto ottimi rapporti con i suoi vicini occidentali, in particolare Venezia e Ungheria, e concentrato le sue ambizioni espansive verso Oriente, Medio Oriente e Africa.

Dopo aver sconfitto i persiani Safavidi di religione sciita nel 1514 nella battaglia di Chaldiran, ed esteso i confini del suo impero all’attuale Iraq, Selim attaccò il regno mamelucco conquistando Siria, Palestina ed Egitto, e incorporando anche nei suoi territori le città sante di Mecca e Medina.

In circa 8 anni l’impero Ottomano aveva accresciuto la sua superficie da 2,5 a 6,5 milioni di km2. Così facendo, però, aveva raggiunto un limite sul fronte orientale, territori inospitali nei quali era impossibile condurre impegnative campagne militari, creato nel Mediterraneo una rovente area di conflitto con l’Occidente e preso su di sé, con la custodia dei luoghi santi della religione islamica, l’immenso prestigio, ma anche l’onere, di protettore della fede.

Il suo successore, Solimano I il Magnifico (sultano dal 1520 al 1566), trovò questa nuova situazione geostrategica e le inedite sfide che comportava, ed entrò prepotentemente nella storia europea: incontrando sul suo cammino l'impero asburgico e soprattutto la città di Vienna.

I romani, estesi i confini dell’Impero fino al Danubio, individuarono subito l’importanza strategica di Vienna, allora chiamata Vindobona.

Vi stabilirono, infatti, la base principale della flottiglia fluviale di sorveglianza e la sede del campo militare della Pannonia superiore.

A Vienna confluiscono due importanti rotte commerciali: quella danubiana, dal Mar Nero all’Europa occidentale, e quella che unisce l’Adriatico, e quindi il Mediterraneo, alla Germania.

Nei secoli questa sua collocazione strategica le era valsa la feroce attenzione, tra gli altri, di Unni, Slavi e Magiari, divenendo, anche dal punto di vista simbolico, il baluardo orientale dell’Europa cristiana, una specie di avamposto dell’Occidente proiettato verso quelle terre da cui provenivano continue minacce.

Questa identificazione, vale ricordarlo oggi, era soprattutto propaganda, argomento buono per le masse, ma non per le classi dirigenti: l'obiettivo degli ottomani era il nemico al loro confine occidentale e non i cristiani. Con i cattollici francesi strinsero nel 1536 una formale e proficua alleanza, e siccome l'ascesa degli ottomani coincise con l'insorgere della riforma protestante e la nascita della comunione anglicana, tutti i popoli "cristiani" che avevano un contenzioso con i "cattolici" austriaci o spagnoli non disdegnarono affatto intrattenere rapporti di collaborazione anche militare con gli "infedeli" turchi, fossero inglesi, olandesi o ungheresi: con ottimi risultati e reciproca soddisfazione, va aggiunto, per il trionfo di quel comune terreno di incontro che è la Realpolitik.

L’impero ottomano vide quindi in Vienna il suo principale obiettivo di espansione strategica, divenendo una specie di ossessione per i suoi sultani, a cominciare dal più illuminato e vincente tra loro, il già citato Solimano I il Magnifico, che qui conobbe nel 1529 la sua prima e più cocente sconfitta: e per successivi 150 anni Vienna rappresentò lo scoglio contro il quale si infranse l’espansionismo verso Occidente delle armate turche.