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LA RIFORMA MILITARE ROMANA NEL TARDO IMPERO

L'esercito romano da Costantino a Valentiniano I

nicola zotti


L’esercito tardo-imperiale romano sorse da un adeguamento evolutivo alle minacce rivolte contro Roma, una brillante rivoluzione strategica condotta inizialmente da Costantino e proseguita da altri imperatori, seppure con diverse fortune fino alla morte di Valentiniano I.

Qual era questa intuizione? Laddove Diocleziano rappresenta l’apice della cultura difensivista che era incominciata con Augusto, Costantino aumentà considerevolmente la potenza e gli effettivi dell’esercito mobile. Se infatti Diocleziano si era preoccupato di concentrare alle frontiere, al limes, la maggior parte delle truppe, Costantino sgancia e libera da questi compiti sedentari le truppe migliori, aumenta gli organici di cavalleria, e quindi costituisce le premesse per una difesa elastica e reattiva.

I nemici di Roma dopo anni di lassismo difensivista si erano fortemente imbaldanziti: i Sasanidi ai confini asiatici dopo aver umiliato Traiano (NOTA MIA: il 16 11 2005 mi scrive il giornalista della RAI sig. Fabrizio Noli: "Magari Valeriano, catturato da Shapur I nel 260 DC...grave errore, tanto piu' se si pensa che proprio Traiano nel 115-117 (qui sbaglia il sig. Noli: si tratta del 116) sbraglio' i Parti costituendo le tre province di Assiria, Mesopotamia e Armenia e forse, non fosse morto, si sarebbe potuto spingere fino al cuore della Persia...Non scrivete cazzate!": ha ragione lui , ho scambiato i nomi: leggete Valeriano e non Traiano) erano sempre più sicuri della propria forza, mentre le tribù germaniche (Alamanni, Franchi, Rugi, Burgundi, ecc. ecc.) lungo i confini nord-orientali sembravano ormai incontenibili, perché avevano mano a mano acquistato confidenza e accumulato vittoriose incursioni entro i confini dell’Impero.

Dalla riforma di Costantino vengono vittorie chiare e ineluttabili contro nemici molto più pericolosi di quelli che avevano minacciato le frontiere nelle epoche precedenti, e che sono decisive per prolungare la resistenza di Roma.

In particolare i Sasanidi subiscono sconfitte che sarebbero definitive ed inappellabili se non intervenisse il caso a chiudere in modo drammatico e prematuro l’eccezionale esistenza di Giuliano.

Dopo la riforma di Costantino, l’esercito romano da campagna si divide in Domestici, Scholae, Vexillationes, Legiones, Auxilia: questi ultimi tre corpi, inoltre si distinguono in Palatina e Comitatensis. La consistenza delle unità si riduce a 500-1000 effettivi.

I Domestici e le “Scholae“ costituiscono le unità di Guardia, praticamente tutte di cavalleria tranne i Domestici Pedites, e hanno materiali di una bellezza e di una praticità stupefacenti.

Le Vexillationes sono formazioni di cavalleria, mentre Legiones e Auxilia sono unità di fanteria: pesante la prima, leggera la seconda.

Le truppe “Palatinae“ (l’élite dell’armata) sono equipaggiate con materiali ottimi, che non hanno nulla da invidiare a quelli in dotazione ai loro predecessori, ma anche le “Comitatensis“ sono assai bene armate anche se a volte usavano materiali dismessi dalle precedenti.

Peggio equipaggiati erano i cosiddetti limitanei, ripenses o castellani, che non costituivano esercito da campagna.

Le armi in dotazione alle truppe romane si moltiplicano e di conseguenza diventa maggiore anche l’addestramento necessario per farne uso in modo proprio. In particolare il pilum viene sostituito dallo Spiculum, dal Verutum e dal Martiobarbolus o Plumbata, incrementando vistosamente il potenziale offensivo a distanza.

Quest’ultima arma, in particolare, aveva una gittata di circa 80 metri e quindi uguagliava in pratica quella utile dell’arco, permettendo ai fanti di ridurre a puntaspilli i nemici prima che giungessero a contatto. Certo l’arco consentiva di detenere un numero maggiore di proiettili, ma la plumbata poteva essere tirata mantenendo la copertura dello scudo.

Come arma da fianco il gladium venne sotituito dalla Spatha, che era un’ottima arma studiata per colpire sia di punta che di taglio.

Le fanterie dunque diventano degli istrici pericolosissimi con un potenziale offensivo a distanza, assolutamente unico nel suo genere e che nessuna legione aveva mai avuto prima.

Un discorso non meno complesso riguarda la cavalleria che si distingue in specializzazioni altrettanto raffinate quanto quelle della fanteria.

Nel dettaglio abbiamo lancieri con scudo, Catafractii con uomo e cavallo completamente corazzati e con cavaliere armato di lancia ma senza scudo; Clibanarii all’uso sasanide con arco e lancia e corazza parziale a coprire solo il busto del cavallo; Sagittarii; Equites tra i quali si distinguono Illyricani, promoti, scutarii, dalmatae e mauri armati di scudo e giavellotto, che possono essere sia pesanti che leggeri.

Insomma un vero incubo di quantità di armi ed armature diverse studiate per fronteggiare qualsiasi situazione, con rapidità ed efficienza.

Gli scudi sono in prevalenza ovali ma anche clipei tondi compaiono tra le fila romane: sono infatti in dotazione di alcune unità di Auxilia comitatensis, i cosiddetti lanciarii, e di altre fanterie specializzate nelle armi da tiro: in particolare sagittarii e funditores. Sull’arco di Costantino sono perfettamente visibili e distinguibili tra loro: i legionari e gli auxilia “da mischia“ con scudi ovali e i tiratori con scudi tondi.

Non risulta che l’Esercito romano in epoca tardo-imperiale dipendesse da fornitori privati: al contrario era autosuffciente, potendo contare sui propri armaioli.

Verso il III-IV secolo vennero introdotte le “Fabricae“: ovvero una ventina di arsenali imperiali. Va specificato, però, che questi arsenali erano sottoposti a giurisdizione militare e vi vigeva la stessa ferrea disciplina che valeva per i soldati. La decisione era in qualche modo obbligata dalla riduzione degli effettivi di ciascuna unità che difficilmente avrebbe potuto destinare una parte dei propri effettivi ad un uso, si direbbe oggi, specialistico.

Un mistero sono le corazze indossate dai legionari di questa epoca: non siamo in grado di stabilire se avessero corazze di cuoio bollito come sostengono alcuni, oppure più tradizionali corazze a maglie di ferro o di bronzo come ritengono altri.

Nell’elenco delle Fabricae, però, non ce ne è nemmeno una specializzata in corazze di cuoio, mentre almeno una a Mantova si occupa di produrre corazze di bronzo: una pesante prova contro l’esistenza corazze di cuoio.

Delle altre fabricae, una era specializzata in archi, una in ballistae, una nelle corazze della cavalleria pesante (i Clibanari), due in spade, due in archi, sei in scudi, mentre le rimanenti non erano specializzate. Questo, almeno secondo la monumentale opera di A.H.M. Jones "Late Roman Empire", nella quale viene esaminata ogni singola fonte del periodo.

Il problema tattico posto dalle popolazioni tardo-germaniche è sostanzialmente diverso da quello dei Sasanidi.

Nel caso specifico, ad esempio, gli Alamanni sono privilegiatamente fanti, armati con giavellotti pesanti, detti bebrae, dotati di una penetratività pari al pilum romano. I Franchi, che hanno in dotazione gli angoni e le francische, hanno pressappoco le stesse caratteristiche.

I Sasanidi hanno nell’epoca considerata un’armata regolare di eccezionale forza ed addestramento, che riesce a combinare sul campo di battaglia Catafratti, Clibanarii, arcieri a cavallo e fanti.

I Sasanidi hanno una cavalleria fortissima e conscia dei propri mezzi: tra loro abbiamo i gurt (campioni) e i retak (paggi) testimonianza dell’esistenza di una tradizione cavalleresca prima che in occidente anche solo la si sognasse. Il potenziale di tiro dei Sasanidi è altissimo perché quasi ogni uomo è dotato di arma da lancio ed in particolare lo è il fulcro dell’esercito, i clibanarii: cavalieri corazzati armati di arco e di lancia.

La fanteria sasanide è di qualità e di affidabilità assai scarse: probabilmente falso, ma comunque indicativo, il dettaglio che a volte i fanti venissero incatenati tra loro per essere sicuri che non scappassero dal campo.

Da un lato quindi, minaccia Roma un nemico di prevalente fanteria, capace con la sua carica impetuosa accompagnata dal lancio delle armi pesanti da impatto di travolgere qualsiasi esercito che pensasse di operare una resistenza statica, dall’altro un pericolo ancora maggiore che coniuga la mobilità della cavalleria con la minaccia a distanza delle frecce e quella ravvicinata della lancia: un antenato delle Panzerdivion.

Ebbene l’esercito tardo-imperiale romano aveva una tattica tanto raffinata da riuscire a competere vittoriosamente con entrambi, nonostante la loro sostanziale diversità.

Questa tattica era basata sulla perfetta integrazione tra fanterie pesanti e leggere, tra cavallerie da schermaglia e da mischia, enfatizzando l’importanza delle armi da lancio e aumentando nel contempo la capacità penetrativa di quelle da mischia, riuscendo persino a copiare con successo la cavalleria clibanaria dei Sasanidi.

Combinare insieme in un unico schema tattico queste forze così diverse è un’impresa veramente notevole che riuscirà solo in epoca successiva ai bizantini.