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OLTRE MEZZO SECOLO DI DIBATTITO TATTICO

Tra ordine aperto e ordine chiuso: 1854-1914


nicola zotti




I sessanta anni che corrono tra la guerra di Crimea (1854) e lo scoppio della Prima guerra mondiale (1914) furono un momento complicato per le tattiche di fanteria, il più difficile da risolvere dall'introduzione della baionetta.

Prima di passare a raccontare devo fare una breve digressione che è anche una premessa. I fanti sono persone coi piedi per terra: non solo di fatto, ma anche metaforicamente. Sono individui concreti, che non abbracciano le novità alla leggera, per il gusto del nuovo. Potete definirli conservatori, ma per loro le "Lesson learned" sono frutti che devono essere fatti maturare sull'albero prima di essere consumati. Non nego che a volte possano essere lenti, alcuni, storicamente, anche troppo lenti nel comprendere la portata delle novità e recepirle negli ordinamenti della dottrina. [Già che ci sono due definizioni: le teorie militari sono tutte le idee che si esprimono sulla condotta della guerra a ogni livello; la dottrina, invece, sono le teorie recepite e trasferite in pratica negli eserciti]. Tuttavia in ogni decisione dei fanti c'è sempre una valutazione dei fatti attenta e scrupolosa, persino pignola nella misura dei dettagli.

Gli eserciti usciti dalle guerre napoleoniche come sapete impiegavano una quota dei loro uomini come schermagliatori, questi precedevano i battaglioni disturbando gli avversari con tiri mirati. I battaglioni avrebbero proseguito l'attacco con un fuoco a massa e quindi si sarebbero portati all'assalto per scacciare il nemico con una carica alla baionetta. Quest'ultima fase era decisiva: per quanto pochi scontri finissero in veri e propri corpo a corpo, la sola minaccia dello scontro fisico valeva a far sloggiare l'avversario. E se questo, invece, rimaneva sul posto, era l'assalitore spesso a perdere animo e a rinunciare.

Gli scontri a fuoco protratti nel tempo erano di norma inconclusivi.

Gli schermagliatori delle truppe leggere erano selezionati sulla base delle loro capacità di tiro, ma anche per la qualità caratteriali e umane specifiche, ovvero l'attitudine ad agire isolati dagli altri commilitoni e di fare fuoco indipendente.

Eccezioni, dunque, che venivano dotate di armi adeguate ai compiti: fucili a canna rigata con portata utile e precisione maggiore rispetto ai moschetti delle fanterie di linea, a scapito di una minore cadenza di tiro, dovuta al fatto che la palla doveva essere forzata nella canna affinché si deformasse per aderire alla rigatura.

Come è noto, poi, le truppe leggere più apprezzate (e anche le prime) erano quelle "etniche", ovvero provenienti da regioni dove le guerre di schermaglia erano il pane quotidiano.

Gli eserciti di massa composti da cittadini in armi introdotti dalla Rivoluzione francese si erano dimostrati competitivi sul campo di battaglia, soprattutto, non sembri una banalità, quando ben guidati e sorretti nel morale da comandanti capaci.

Durante la Restaurazione, però, di fronte al diffondersi delle idee liberali, un esercito numeroso di cittadini-soldati non era più tanto ben visto dalle monarchie. Per queste certo più desiderabile e utile era un affidabile corpo di professionisti che non avesse remore nello sparare su eventuali rivoluzionari o sediziosi.

Un esercito professionale era costoso e ingombrante, necessitava caserme, invecchiava, creava una casta professionale, e non poteva essere numericamente paragonabili agli eserciti di popolo. Laddove ci fosse necessità di adeguati numeri, però, si poteva ricorrere a sistemi misti, come quello della Landwehr tedesca: un sistema caro ai liberali, nel quale la leva dei cittadini si affiancava all'armata regolare secondo un sistema di ferme e di classi di età.

La società si evolveva rapidamente. Scoperte scientifiche e tecnologiche davano impulso allo sviluppo industriale: ferrovie e telegrafo furono le innovazioni che più direttamente ebbero influenza sulla condotta della guerra. Ma non solo. Sul campo delle armi portatili della fanteria, infatti, si ebbero conseguenze altrettanto significative. Concentriamoci su uno solo: l'evoluzione dei fucili. Anche l'artiglieria fece enormi progressi, e riconosciuta origine di molte vittorie. Ma nei fatti l'opinione prevalente era che la fanteria era la vera regina delle battaglie e su di essa si concentrò l'attenzione degli studi dottrinari.

Come anticipato, il difetto delle armi a canna rigata consisteva nel fatto che fossero più lente da ricaricare. Dopo svariati tentativi, a metà del secolo il capitano francese Ètienne-Claude Minié inventò la soluzione più pratica: un proiettile cilindrico a punta conica con la base rientrante a formare una cavità. La funzione di questo spazio vuoto era quella di espandersi sotto l'effetto dello scoppio in modo da aderire alle pareti rigate della canna e prendere il giro. La velocità della palla era molto maggiore e il tiro per effetto della migliore penetrazione nell'aria dell'avvitamento del proiettile, era più teso e affidabile. La distanza utile superava i mille metri.

Contemporaneamente in Prussia si sviluppava un'altra arma che, a differenza dei fucili Minié, ancora caricati dalla bocca, era a retrocarica mediante un sistema a chiavistello: il fucile ad ago Dreyse.

Meno preciso del Minié e con un raggio di tiro più corto di quasi la metà, era però enormemente più veloce da ricaricare, permettendo anche 10-12 colpi al minuto, contro i 2-3 del Minié.

Il Dreyse si manifestò sui campi di battaglia molti anni dopo la sua introduzione in Prussia: entrato in servizio nel 1841, venne impiegato per sedare una rivolta, ma mantenuto come segreto militare fino alla Seconda guerra dello Schleswig nel 1864 contro la Danimarca.

Il primo effetto percepito per entrambe le armi fu che tutti i soldati potevano diventare degli schermagliatori tirando da distanze molto più lunghe rispetto al passato e, di conseguenza, l'attaccante avrebbe dovuto coprire un terreno letale molto più ampio prima di poter giungere a portata di baionetta del nemico e decidere la battaglia.

Non era un problema facile da risolvere per i fanti. Ovvio che di fronte ad un potere di fuoco tanto aumentato le masse di battaglioni che avevano risolto le battaglie fino a quel momento non erano più proponibili. L'unità base della manovra divenne la compagnia e i campi di battaglia si dilatarono in larghezza e non solo in profondità.

Le compagnie schieravano gli uomini in modo che plotoni di quelli che un tempo venivano considerati schermagliatori sostenessero l'attacco, seguiti da rincalzi che alimentavano la linea di fuoco e poi ancora da altri plotoni incolonnati con la funzione di ulteriore appoggio.

Il potere di fuoco di una linea era tale che la si poteva assottigliare (come in Crimea) anche ad un solo rango, e l'ordine "chiuso" non era più spalla contro spalla, ma con un uomo ad un metro dall'altro, mentre in quello "aperto" poteva arrivare a 5-10 metri.

Il difetto principale di queste linee "aperte" di schermagliatori era la difficoltà di dare impulso all'azione: anche così distanziati l'uno dall'altro era troppo rischioso attraversare il terreno battuto dalle pallottole, e preferibile prendere posizione occultati e sparare da lontano, magari senza neppure mirare.

Un secondo difetto da considerare era, inizialmente solo per il Dreyse, ovviamente, poi per tutti gli altri fucili a retrocarica, era la cadenza di tiro che poteva portare in pochi minuti gli uomini ad esaurire le munizioni che avevano con sé. La cosa preoccupò il Tesoro prussiano non meno che gli Alti comandi, seppure per ragioni diverse, e la cosa naturalmente divenne patrimonio comune di tutti gli eserciti. La logistica diventava un problema serio.

Se si voleva o si doveva a tutti i costi avanzare ci si sentiva però più sicuri ripiegando sull'ordine "chiuso", sfidando in questo modo il fuoco nemico e la punizione che era in grado di infliggere, magari puntando sull'aumento della velocità di approccio e sull'addestramento delle truppe che, adeguatamente motivate, potevano essere spinte a balzi contro il nemico, fermandosi dietro un riparo, sparando, ma riprendendo l'avanzata al momento opportuno. A Solferino questa tattica funzionò, e Zuavi e Bersaglieri se la cavarono abbastanza bene contro gli Austriaci, costituendo per decenni l'esempio più lampante dell'immutata efficacia della carica alla baionetta.

Un altro problema che i sostenitori dell'ordine aperto dovevano affrontare era il controllo del campo di battaglia. Servivano ufficiali e sottufficiali in grado di gestire con efficacia truppe così disperse, con un aumento non indifferente delle loro competenze e della loro autonomia.

Questi due sistemi vennero contemporaneamente messi a confronto nella guerra Franco-prussiana. I Francesi si erano dotati di un fucile a retrocarica persino migliore del Dreyse, lo Chassepot, e non persero la guerra certo per uno svantaggio tecnologico in questo campo. Tanto più che anche i Prussiani mischiavano all'occorrenza le due tattiche: il principe Augusto di Württemberg fece decimare in ordine chiuso la Guardia prussiana a Gravelotte-St Privat. E incidentalmente un successo locale della loro cavalleria in una carica a Mars-la Tour, servì anche a confermarne la validità di questo uso.

Ma anche a Grande Guerra già iniziata non c'era soluzione che convincesse tutti.

Le guerre che si erano succedute avevano dato risultati non in linea con i successi di Solferino: a Plevna i Russi avevano subito perdite terribili contro i Turchi asserragliati dentro trincee improvvisate nel fango.

I Britannici avevano avuto la stessa esperienza contro i Boeri in Sudafrica: una sconfitta tanto eclatante da portare nuova linfa a favore dei sostenitori dell'ordine aperto e a spingere l'Esercito britannico a trasformarsi in un circolo di tiro.

In Oriente, i Giapponesi, sempre contro i Russi, avevano però vinto muovendo in battaglia grandi masse di uomini prendendo d'assalto le trincee nel 1905 a Mukden.

Il punto della questione sembrava psicologico più che tattico: per rendere una battaglia decisiva gli uomini andavano incentivati a procedere, con l'addestramento o con qualsiasi altro mezzo, compresi i bei pantaloni rossi con i quali i Francesi affrontarono la guerra nel 1914. Circa la metà delle perdite francesi durante la Prima guerra mondiale si concentrarono nei primi 15 mesi del conflitto. Un aiuto psicologico serviva comunque la si pensasse riguardo la questione degli ordini. La società industriale aveva infatti fortemente modificato la base sociale, inurbando la popolazione in grandi conglomerati, e, come aveva spiegato Gustav Le Bon nel suo "Psicologia delle folle" del 1895 l'uomo «nella folla diviene "barbaro" in preda all'istinto. Possiede la spontaneità, la violenza, la ferocità, e l'entusiasmo e l'eroismo dei primitivi». Tutto stava a risvegliare inelle masse queste energie distruttive.

L'attacco in ordine chiuso a massa rimaneva la soluzione a portata di mano dei comandanti per risolvere le battaglie soprattutto quando pensavano di avere truppe così combattive e addestrate da poterlo fare: così i tedeschi il 9 settembre 1914 a Gerdauen sacrificarono una brigata che per errore non si era schierata in ordine aperto secondo dottrina: ovvero dai 5 ai 10 passi tra ciascun uomo e 300 metri tra ciascuna sezione. E ancora una volta la Guardia prussiana subì gravi perdite, sempre contro i Russi a Gorlice Tarnow nel maggio 1915.

Tra le due scuole litiganti doveva vincere, per un breve periodo, una terza scuola che sosteneva l'esatto contrario di quanto si era sostenuto con forza e convinzione fino a quel momento: lo scettro di regina delle battaglie venne preso dall'artiglieria e il dogma divenne "l'artiglieria distrugge, la fanteria occupa". Sarebbe durato poco, perché dopo gli insuccessi degli esempi più sintomatici di questa tattica, ad esempio a Verdun, doveva emergere un'altra soluzione: le Stosstruppen.