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UN VASO DI PANDORA

I gas bellici nella Grande Guerra


nicola zotti




La Grande guerra è indissolubilmente associata all’uso dei gas e tale fu lo sdegno e l’orrore suscitato dai loro effetti letali e incapacitanti, che in poche altre occasioni essi furono usati nelle guerre successive, e solo quando si aveva la sicurezza che il nemico non potesse impiegarli a sua volta per rappresaglia.

La guerra chimica però, aveva secoli e secoli di storia alle spalle: fumi tossici erano stati usati dagli Spartani nella Guerra del Peloponneso contro Atene e ancora prima dai Cinesi.

Nell’Ottocento i progressi della chimica avevano individuato nuovi e più letali composti e procedimenti più efficienti per la loro realizzazione, mentre lo sviluppo dell’industria metteva a disposizione i suoi potenti mezzi per produrne quantità prima impensabili.
La consapevolezza del potenziale distruttivo delle armi chimiche portò nel 1899 le nazioni firmatarie della convenzione dell’Aia a bandirle dai campi di battaglia.

Promessa che sarebbe stata disattesa appena la guerra impose le proprie logiche.
L’ingresso delle armi chimiche nella Grande guerra ebbe una sua ipocrita gradualità.

Le ostilità erano appena cominciate, quando i francesi spararono i proiettili di gas lacrimogeno in uso alla loro polizia sui tedeschi. Questi a malapena se ne accorsero, tanto era minima la quantità del composto contenuto nei proiettili e le munizioni disponibili, ma ormai il tabù era caduto. Nessuno aveva idea di quanto i gas sarebbero stati efficienti, anzi, gli stessi tedeschi erano così scettici sulla loro reale utilità bellica da permettere che le truppe previste per sfruttare il successo dell’attacco di Ypres del 22 aprile 1915, fossero dirottate sul fronte russo.

Il cloro si rivelò invece micidiale, anche se diffuso con il rudimentale e aleatorio metodo che contava solo sulla favorevole direzione del vento. La reazione degli uomini agli effetti di quella nuvola giallo-verdastra era spontanea: la fuga. Ma era la risposta sbagliata, a meno che si riuscisse, letteralmente, a correre più veloci del vento.

Altrettanto inadeguata l’imposizione che giungeva dagli alti comandi di rimanere a ogni costo nella trincea, perché questa si riempiva ben presto del gas, due volte e mezza più pesante dell’aria. Se morire si doveva, pensavano i soldati, meglio farlo con l’arma in pugno andando contro al nemico. Così, incidentalmente, si sarebbe usciti più rapidamente dalla nuvola tossica. Invece si schiumava di rabbia nelle trincee, mentre i polmoni, irritati dal cloro, iniziavano a riempirsi di liquidi, fino a soffocare il malcapitato come affogandolo.

Questo letale vaso di Pandora era definitivamente spalancato e gli scienziati parteciparono all’impegno della propria nazione, affinché ne uscisse il peggio possibile.

La corsa per rendere sempre più letali i gas, infatti, consisteva non solo nell’individuare sostanze mortali a percentuali di concentrazione nell’aria sempre più bassa, ma anche nel renderle più persistenti, nell’aromatizzarle se si voleva nasconderne l’odore troppo caratteristico, nel colorarle per renderle visibili, nell’individuare forme di produzione sempre più efficienti e, infine, nel miscelarle con altri gas per combinarne e moltiplicarne gli effetti nocivi.

La prima volta che noi italiani subimmo gli effetti dei gas fu 29 giugno 1916, durante l’offensiva austriaca contro monte San Michele, sul Carso. Gli austriaci riversarono sui nostri soldati da ben 6.000 bombole un composto di cloro e fosgene, quest’ultimo 10 volte più tossico del cloro e più subdolo perché non provocava spasmi ma poteva uccidere anche giorni dopo l’esposizione. L’occupazione delle trincee avvenne a opera di battaglioni ungheresi che finirono gli agonizzanti a colpi di mazza ferrata.

Anche a Caporetto, il 24 ottobre 1917, l’offensiva austro-tedesca fu preceduta da un intenso bombardamento con proiettili caricati a gas, ma non fu possibile stabilire con precisione con che tipo di composto: forse si trattò di acido cianidrico per il caratteristico odore di mandorle amare tipico del cianuro che impregnò l’aria.
Dopo i gas di tipo lacrimogeno e quelli irritanti, erano giunti quelli dichiaratamente classificabili come tossici, tra gli altri appunto l’acido cianidrico.

In ordine di tempo si sarebbero aggiunti, nel 1917, gli “starnutenti”, come la difenilcloroarsina: una polvere finissima capace di penetrare nelle maschere antigas provocando starnuti e vomito e, nello stesso anno, dagli “ulceranti” o “vescicanti”: l’Iprite. Impregnando i vestiti con estrema tenacia ed entrando a contatto con la pelle, questa sostanza provocava orribili vesciche che letteralmente la staccavano dal corpo tra dolori terribili. Gli effetti erano quelli di ustioni di primo, secondo e persino terzo grado, ma se inalata era capace di provocare edemi polmonari ed emorragie dell’apparato respiratorio.

Le sostanze chimiche studiate per uso militare durante la Prima guerra mondiale furono complessivamente migliaia. Solo poche decine vennero però effettivamente impiegate: eccone alcune tra le più importanti.

Lacrimogeni
Bromoacetone: usato da alleati e austriaci; moderatamente persistente; asfissiante in concentrazione elevata; introdotto nel 1916
Bromuro di benzile: tedesco; primo uso marzo 1915.

Starnutenti
Difenilcloroarsina: tedesco; consisteva in una polvere finissima capace di penetrare le maschere antigas, dispersa tramite proiettili di artiglieria; in concentrazione provocava conati di vomito e vomito, e potenti mal di testa; noto come "Croce Blu", introdotto nel 1917.
Difenilcianarsina: tedesco; potentissimo; identiche caratteristiche rispetto al precedente, che sostituì all'interno dei proiettili "Croce Blu".
Etildicloroarsina: tedesco; noto come "Croce Gialla I" e più tardi come "Croce Verde III", introdotto nel marzo 1918.

Irritanti dell'apparato respiratorio
Cloro: usato sia da alleati che da tedeschi; irrorato tramite bombole; con l'umidità formava acido cloridrico; causava vomito e se concentrato poteva provocare la morte per spasmi della laringe; introdotto nel 1915.
Cloroderivati dell’etere metilcloroformico: impiegato da alleati e tedeschi; disperso da proiettili di artiglieria; introdotto nel 1915.
Cloropicrina: usato sia da alleati che da tedeschi; potentissimo; utilizzabile sia tramite bombole che tramite proiettili, ma in particolare con questi ultimi in congiunzione con altri gas; noto come "Croce Verde I", introdotto nel 1916.
Bromuro di cianogeno: austriaco; miscela basata sul cianogeno; immediatamente mortale se concentrata, altrimenti incapacitante; causa vertigini, mal di testa, dolori polmonari, ma nessun effetto permanente; introdotto nel 1916.
Acido cianidrico: alleato; composto basato sul cianogeno; immediatamente mortale se concentrato, altrimenti incapacitante; causa vertigini, mal di testa, dolori polmonari, ma nessun effetto permanente; disperso tramite proiettili d'artiglieria; introdotto nel 1916.
Fosgene (Ossicloruro di carbonio): usato da alleati e tedeschi; potentissimo; pericoloso in particolare per i suoi effetti ritardati che causavano una morte improvvisa anche 48 ore dopo l'esposizione e spesso la vittima non realizzava neppure di essere stata sottoposta al gas; irrorato da bombole in congiunzione con il cloro e da proiettili d'artiglieria da solo; introdotto nel 1915.
Cloroformiato di triclorometile (Difosgene): alleato e tedesco; stessi effetti del fosgene; disperso da proiettili d'artiglieria di solito in combinazione con altri gas; introdotto nel 1916.

Ulceranti
Solfuro di etile biclorurato (Iprite): usato da alleati, tedeschi e austriaci; noto anche come "Croce Gialla" e “Gas mostarda” per il caratteristico odore di mostarda; uno dei gas più efficaci, benché ufficialmente i suoi effetti non venissero considerati letali; provocava vesciche e ustioni sulla pelle, anche attraverso i vestiti, causando cecità (normalmente temporanea) e se inalato la morte, bruciando l'apparato respiratorio; diffuso tramite proiettili d'artiglieria; persisteva anche diversi giorni in ideali condizioni climatiche; introdotto nel 1917.
Clorovinildicloroarsina: americano, una nave carica di 180 tonnellate di questo composto organico dell’arsenico era ancora in viaggio nell’Atlantico quando la guerra arrivò a conclusione. Fu usato dai giapponesi in Cina e presentò effetti persino peggiori dell’Iprite, soprattutto a lunga scadenza.