Tra i futuri e sempre rimandati progetti di rinnovamento di Warfare.it uno mi sta particolarmente a cuore: una nuova sezione dedicata al rapporto tra arte e guerra, che vorrei chiamare "la guerra dell'arte" o "Guerra e Bellezza.
Mi riesce difficile immaginare due attività più distanti tra loro di quella del militare e dell'artista.
Il primo "lavora" in mezzo agli altri, a volte moltitudini di altri, deve prendere decisioni rapide e praticamente impossibili da modificare, l'ambiente in cui opera è caotico, rumoroso, confuso. Soprattutto contempla la morte come parte integrante del proprio orizzonte.
L'artista invece è essenzialmente un solitario, in molti casi può correggere e rivedere il proprio lavoro, in un processo iterativo spesso addirittura senza conclusione, e il silenzio e la tranquillità sono una condizione necessaria a concentrarsi sulla sua opera: che non ha nulla a che vedere con l'uccidere o l'essere ucciso.
Mondi che non potrebbero essere più diversi e che pure hanno comunicato e comunicano.
La guerra ha cercato nell'arte un modello: ha compreso l'esigenza di dovere e di potere esprimere genio artistico, l'intelligenza nella sua forma più sublime, in ciò che pure è orrido.
Ma non più di questo, perché l'arte non ha mai plasmato la guerra, non certo nella misura in cui la guerra ha avuto influenza e ha ispirato l'arte.
L'arte, infatti, ha subito la fascinazione fortissima per la guerra, proprio esprimendo bellezza là dove c'è orrore.
Quest'ultimo aspetto ha una radicalità difficile da accettare. Come può il più tragico degli eventi umani essere "bello"?
C'è una risposta ideologica. L'artista può asservirsi a un potere e mettere a disposizione di questo e dei suoi scopi il proprio genio. Oltre il ruolo celebrativo e propagandistico, però, in questa risposta c'è anche il riflesso di un agire decisamente malvagio. L'arte sarebbe anche un'ingannatrice di massa, capace di rendere bello ciò che è brutto, ma purtroppo anche con il potere di farlo diventare desiderabile.
Un'operazione non solo cosmetica, dunque, ma metamorfica, un ribaltamento totale dei valori umani: esistono il bene e il male, poi c'è chi è malignamente interessato a confonderli nella testa dell'uomo.
Una possibilità ben più tremenda e sconcertante, però, è che bene e male, bellezza e orrore, arte e guerra siano già confusi e indistinguibili nella testa dell'uomo, e non ci sia bisogno di un qualche demone che dall'esterno induca artificialmente questa inversione semantica.
Arte e conflitto sono entità antiche, forse universali, certo umane nel profondo, e anche quel demone è dentro l'uomo, e sono l'uno e l'altro identitari, bisogni primitivi.
Ma è lungi da me negare l'uso ideologico dell'arte, e tanto meno scivolare pericolosamente verso il relativismo morale.
Voglio escludere dai miei intendimenti un'altra possibilità di indagine, quella dell'arte "nella" storia: ovvero la fedeltà con la quale l'arte ha rappresentato gli eventi storici.
Certo questo mi interessa come studioso dell'arte militare, sempre alle prese col dubbio che quella tale rappresentazione sia infedele, e indulga nella licenza poetica, nella rappresentazione del mito, pura opera di fantasia.
Questo, però, porterebbe sia me che voi in un territorio conosciuto e rassicurante, mentre ci attende uno spazio di indagine più misterioso e incerto: la mente e l'opera dell'artista che si è lasciato influenzare e ispirare dalla guerra: quindi non tanto la guerra, quanto l'arte.
L'estetica, non l'etica o la politica.
So che i cambi di prospettiva sono in sé pericolosi, ma vanno almeno tentati.
E vorrei cominciare con la più classica delle metafore del conflitto: Davide contro Golia, e con uno dei suoi più famosi interpreti, Donatello.
Come è noto, Donatello rappresentò questo mito biblico in due sculture, realizzate a più di trent'anni l'una dall'altra.
La prima in marmo, creata nel 1408-9, la seconda, più famosa, in bronzo, viene datata agli anni '40 del secolo.
Stesso racconto, stessi soggetti, stesso autore, eppure opere molto diverse.
In entrambe il "conflitto" si è già risolto in favore di Davide e la testa di Golia giace mozzata ai suoi piedi, dominata dalla figura eretta dell'eroe biblico.
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