torna alla homepagetorna alla homepage
storia militare e cultura strategica
torna alla homepage
 
dalle discussioni
dell'area Warfare di MClink,
a cura di Nicola Zotti
 
home > vocabolario > Arte (e Guerra)


ricognizioni
in territorio ostile


recce team

storie
strategia
tattica
what if?
vocabolario
documenti
segnalazioni
link
scrivici

quelle piccole sciabole incrociate

quelle piccole spade incrociate

Viaggi nei
campi di battaglia d'Italia
sulle carte del Tci


"Il palco dove danza Ares".
Epaminonda, citato da Plutarco nella Vita di Marcello.


GUERRA E BELLEZZA

Arte (e Guerra)


nicola zotti




oplita danza


Tra i futuri e sempre rimandati progetti di rinnovamento di Warfare.it uno mi sta particolarmente a cuore: una nuova sezione dedicata al rapporto tra arte e guerra, che vorrei chiamare "la guerra dell'arte" o "Guerra e Bellezza.

Mi riesce difficile immaginare due attività più distanti tra loro di quella del militare e dell'artista.

Il primo "lavora" in mezzo agli altri, a volte moltitudini di altri, deve prendere decisioni rapide e praticamente impossibili da modificare, l'ambiente in cui opera è caotico, rumoroso, confuso. Soprattutto contempla la morte come parte integrante del proprio orizzonte.

L'artista invece è essenzialmente un solitario, in molti casi può correggere e rivedere il proprio lavoro, in un processo iterativo spesso addirittura senza conclusione, e il silenzio e la tranquillità sono una condizione necessaria a concentrarsi sulla sua opera: che non ha nulla a che vedere con l'uccidere o l'essere ucciso.

Mondi che non potrebbero essere più diversi e che pure hanno comunicato e comunicano.

La guerra ha cercato nell'arte un modello: ha compreso l'esigenza di dovere e di potere esprimere genio artistico, l'intelligenza nella sua forma più sublime, in ciò che pure è orrido.

Ma non più di questo, perché l'arte non ha mai plasmato la guerra, non certo nella misura in cui la guerra ha avuto influenza e ha ispirato l'arte.

L'arte, infatti, ha subito la fascinazione fortissima per la guerra, proprio esprimendo bellezza là dove c'è orrore.

Quest'ultimo aspetto ha una radicalità difficile da accettare. Come può il più tragico degli eventi umani essere "bello"?

C'è una risposta ideologica. L'artista può asservirsi a un potere e mettere a disposizione di questo e dei suoi scopi il proprio genio. Oltre il ruolo celebrativo e propagandistico, però, in questa risposta c'è anche il riflesso di un agire decisamente malvagio. L'arte sarebbe anche un'ingannatrice di massa, capace di rendere bello ciò che è brutto, ma purtroppo anche con il potere di farlo diventare desiderabile.

Un'operazione non solo cosmetica, dunque, ma metamorfica, un ribaltamento totale dei valori umani: esistono il bene e il male, poi c'è chi è malignamente interessato a confonderli nella testa dell'uomo.

Una possibilità ben più tremenda e sconcertante, però, è che bene e male, bellezza e orrore, arte e guerra siano già confusi e indistinguibili nella testa dell'uomo, e non ci sia bisogno di un qualche demone che dall'esterno induca artificialmente questa inversione semantica.

Arte e conflitto sono entità antiche, forse universali, certo umane nel profondo, e anche quel demone è dentro l'uomo, e sono l'uno e l'altro identitari, bisogni primitivi.

Ma è lungi da me negare l'uso ideologico dell'arte, e tanto meno scivolare pericolosamente verso il relativismo morale.

Voglio escludere dai miei intendimenti un'altra possibilità di indagine, quella dell'arte "nella" storia: ovvero la fedeltà con la quale l'arte ha rappresentato gli eventi storici.

Certo questo mi interessa come studioso dell'arte militare, sempre alle prese col dubbio che quella tale rappresentazione sia infedele, e indulga nella licenza poetica, nella rappresentazione del mito, pura opera di fantasia.

Questo, però, porterebbe sia me che voi in un territorio conosciuto e rassicurante, mentre ci attende uno spazio di indagine più misterioso e incerto: la mente e l'opera dell'artista che si è lasciato influenzare e ispirare dalla guerra: quindi non tanto la guerra, quanto l'arte.

L'estetica, non l'etica o la politica.

So che i cambi di prospettiva sono in sé pericolosi, ma vanno almeno tentati.

E vorrei cominciare con la più classica delle metafore del conflitto: Davide contro Golia, e con uno dei suoi più famosi interpreti, Donatello.

Come è noto, Donatello rappresentò questo mito biblico in due sculture, realizzate a più di trent'anni l'una dall'altra.

La prima in marmo, creata nel 1408-9, la seconda, più famosa, in bronzo, viene datata agli anni '40 del secolo.

Stesso racconto, stessi soggetti, stesso autore, eppure opere molto diverse.

In entrambe il "conflitto" si è già risolto in favore di Davide e la testa di Golia giace mozzata ai suoi piedi, dominata dalla figura eretta dell'eroe biblico.




david  di donatello marmo

ella prima scultura, l'Artista ci mostra un Davide sapiente e pensoso. In origine, nella mano sinistra dove vediamo la fionda, teneva invece un rotolo, simbolo della sua natura di salmista e profeta.

Un Davide adolescente, ma già re saggio, proteso al suo futuro e alle sue responsabilità. Di virile bellezza, un collo lungo e forte, una testa con ricci scompigliati che echeggiano lo scapigliato ardimento di Alessandro il Macedone.

È già oltre quella testa gigantesca che ha appena tagliato senza che una sola goccia di sangue contaminasse la sua tunica drappeggiata nello stile degli oratori classici.

Ai contemporanei l'opera piacque molto: i Fiorentini riconoscevano in essa se stessi, la grandezza nascosta nella solo apparente debolezza di un piccolo e giovane corpo.

Monito ai nemici e manifesto politico per se stessi, amplificato ma "volgarizzato", a scapito del suo valore metaforico, dall'iscrizione del basamento: «PRO PATRIA FORTITER DIMICANTIBUS ETIAM ADVERSUS TERRIBILISSIMOS HOSTES DII PRAESTANT AUXILIUM», ovvero "Gli dei danno sostegno per la patria ai combattenti arditi anche contro i nemici più temibili".

Frase di cui la parte più interessante è quel richiamo agli "dei" pagani, per una figura così saldata al monoteismo.



david di donatello bronzo


Controversa, invece, l'accoglienza del bronzo.

Controversa, invece, l'accoglienza del bronzo.

Troppo bello, semplicemente troppo bello. Troppo originale nella sua bellezza adolescenziale.

"Molle" è stato definito, ma è indubbiamente più intriso di violenza del precedente, con quella spada testimonianza feroce della macabra vittoria. E con quel piede che sembra giocare con quella testa, farla rotolare sotto la suola del sandalo come un certi virtuosi del calcio fanno con la palla.

Nudo e quieto, lo sguardo trasognato e indecifrabile, assorto in un pensiero contemplativo interiore. Forse più che la sua nudità esibita, ci inquieta quello sguardo misterioso.

Richiami classici raffinatissimi il cappello di Hermes e soprattutto quei fiori di Amaranto che lo ornano: eccolo finalmente il sangue in quei fiori rossi, ma anche molto di più.

L'Amaranto che rifiorisce perennemente, sempre vivo, copriva la tomba di Achille per preservarne la memoria. L'Amaranto descritto da Plinio come un fiore la cui bellezza sempre rinasce: "renasci" è la parola usata da Plinio e un richiamo al Rinascimento non poteva essere più esplicito: Davide, dunque, simbolo incarnato di Firenze: valorosa e rinascente, bellissima e crudele assieme.

L'estetica di Donatello non poteva essere più innovativa, ma la glorificazione della guerra non poteva essere più tradizionale.




testa golia 1 testa golia 2


Ma lo sconfitto? Chi è Golia? Donatello sa esprimere in quelle teste gigantesche tutta la potenza del caduto.

Orridamente fissato nello stupore della morte inaspettata, quella in marmo, con il dettaglio iperrealistico del sasso conficcato nella fronte di quella testa di brutale forza barbarica.

Dormiente invece il bronzo, e ricco, potente in un elmo di fattura finissima, ha perso il suo furore violento, ma tributa da morto il proprio rassegnato omaggio al futuro che lo ha ucciso perché interpreta la vita stessa, nella sua forma genuinamente, intimamente e inevitabilmente crudele.