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"Una guerra anche la più vittoriosa è una sciagura nazionale".
Helmuth Graf von Moltke, Lettera 1880..


LE INCOGNITE CONSEGUENZE DELLA GUERRA

Conseguenze

nicola zotti



Dopo ogni guerra, piccola o grande che fosse, una domanda è sempre stata inevitabile: "a che cosa è servita?".
Chi aveva perso i propri cari, e sofferto per le distruzioni e i dolori che ogni guerra porta con sé, aveva infatti un'amara, inevitabile risposta.
Non così gli storici. Tra i loro compiti più difficili e controversi è invece proprio quello di cercare di rispondere a questa domanda, che viene riformulata, senza perdere di significato, in "quali sono state le sue conseguenze?".

Oltre ad indagare le cause di un conflitto e illustrarne il corso, allo storico spetta anche l'onere di spiegare se, in che misura e in che modo una guerra abbia influito sul corso degli avvenimenti che l'hanno seguita.

In fondo chiediamo allo storico di illuminare uno scopo che provi a bilanciare ognuna di quelle morti e ogni singola lacrima che la guerra ha fatto scendere. E non conforta la circostanza che le guerre catalizzino energie intellettuali e risorse economiche nella ricerca scientifica e tecnologica: è infatti sempre il pensiero umano e non la guerra l'origine di questi progressi.

Per lo stesso motivo e con la stessa domanda ci appelliamo ai filosofi – e al filosofo che è in ciascuno di noi – per ricondurre le guerre ad un disegno razionale, o per lo meno ad una minima scintilla di senso: ma l'indagine filosofica ha dato risposte molto diverse tra loro.

Ha definito la guerra un'esigenza ineluttabile della "Storia" o "scritta da Dio", giudice delle cose degli uomini. La manifestazione, non diversamente da catastrofi ed epidemie, di una volontà superiore alla quale l'Umanità non può opporsi ma solo riconoscerla e inchinarsi. In modo simile altri, come il futurista Tommaso Marinetti, definiscono la guerra la "sola igiene del mondo": una medicina necessaria, e per Marinetti persino dolce, con la quale l'Umanità viene purificata dai suoi mali. La guerra farebbe così parte delle leggi della natura e, come le teorie dell'evoluzione darwiniana definiscono la specie animale più adatta, la guerra determinerebbe la comunità o, senza mezzi termini, la "razza" destinata al dominio.

Che la guerra sia frutto, per quanto tragico, di una legge storica o di natura, o della volontà di Dio, all'uomo non resta dunque altra scelta che essere interprete di questa forza, schierandosi con tutte le sue energie dalla parte della Storia, della Natura o di Dio. La domanda posta all'inizio – "a che cosa è servita?" – ha dunque sola una risposta possibile: la guerra ha realizzato la volontà della Storia, della Natura, di Dio, e quindi deve sempre essere considerata un evento "positivo", anche se l'uomo può non essere in grado di comprenderlo.

La filosofia ha anche offerto, però, una linea di pensiero diametralmente opposta a queste. Se Dio ha lasciato all'uomo il libero arbitrio, permettendogli di scegliere tra il Bene e il Male, la guerra non può più essere considerata un giudizio divino, ma diventa una responsabilità esclusivamente umana.

A questa stessa conclusione giunge l'analisi storica quando non trova alcuna ineluttabile legge che determini o permetta di prevedere il corso della Storia stessa, o la ricerca scientifica quando nega teorie suprematiste nella selezione della specie umana. Di questa opinione è anche Carl von Clausewitz, autore della più importante opera dedicata alla guerra, il "Della Guerra", il quale non solo delinea la catena di responsabilità che coinvolge tutta la comunità politica – popolo, militari, governo – ma aggiunge che la guerra è governata anche dal caso, da imprevisti, da limiti umani. Nessuna guerra, dunque, è "inevitabile", ma solo uno degli strumenti a disposizione di una comunità politica per tutelare i propri interessi vitali. E neppure è vinta o persa a priori: non vi può essere una "scienza" ma solo un'"arte" della Guerra. Chi subisce una prepotenza o viene aggredito, anche se è in partenza la parte più debole, ha la facoltà di decidere di resistere, di opporsi, di combattere, perché una speranza di vincere la possiede sempre.

Anzi, alcune tra le più significative svolte della Storia, quelle più gravide di conseguenze durature, sono venute quando la parte più debole, quella che "razionalmente" doveva uscire sconfitta, è invece risultata vincitrice contro ogni previsione: rompendo equilibri consolidati e costruendone altri prima impensabili. Riportiamo una rassegna di alcuni di questi esempi, non gli unici, che sottoponiamo al giudizio del lettore: se queste svolte siano da considerare positive per la storia dell'Umanità, o al contrario abbiano peggiorato il Mondo, sta alle sensibilità e al giudizio di ciascuno di noi stabilirlo. Un'altra responsabilità, questa, che la Storia ci lascia.

Le Guerre greco-persiane
Il sociologo e filosofo tedesco Max Weber (1864-1920) individuò nelle Guerre greco-persiane e in particolare nella battaglia navale di Salamina il singolo evento al quale si potesse far risalire la fondazione della cultura e della società occidentale. In caso di sconfitta la libertà individuale, il razionalismo, il libero pensiero, il diritto alla critica che videro la luce in Grecia sarebbero stati soffocati sul nascere dal dispotismo imperiale. Scienziati, filosofi e artisti avrebbero lasciato il posto agli astrologi e ai divinatori persiani, la libera iniziativa si sarebbe concentrata nei bazar controllati dalle onnipresenti guardie dell'imperatore. Platone, tuttavia, ha un'opinione diversa. Il filosofo greco distingue tra l'influenza positiva delle vittorie terrestri e quella negativa delle vittorie navali: queste ultime, infatti, avevano promosso la classe sociale dei marinai permettendole di contestare il potere tradizionale dei proprietari terrieri, i quali invece costituivano i ranghi serrati degli opliti che avevano vinto le battaglie terrestri. Il conservatore Platone non poteva tollerare le ambizioni politiche dei nuovi ceti, il loro dinamismo modernizzatore spinto dai commerci, che invece Weber, venticinque secoli dopo, avrebbe considerato una preziosa conquista dell'Umanità.

La grandezza di Roma
Il lascito di Roma nella storia del Mondo è incalcolabile: nel diritto, nell'arte, nell'architettura, nella diffusione del Cristianesimo, nella scienza, nella filosofia, nella idea di Stato. Dobbiamo il valore stesso della cultura a come venne coltivato ed esaltato nei centri di eccellenza di Atene, Alessandria e Pergamo. Eppure non possiamo ignorare che il percorso verso questa grandezza è stato lastricato con milioni di morti e costruito con la sofferenza di un numero ancora maggiore di schiavi. Non fu comunque un cammino lineare e senza ostacoli, anzi in più di un'occasione Roma rischiò di interromperlo e di comprometterlo. Gli esempi sono troppi per ricordarli tutti. Nel 295 a.C. durante la Terza guerra sannitica una grande coalizione di Etruschi, Umbri, Sanniti e Galli senoni arrivò vicina a questo obiettivo, ma venne fermata e sconfitta a Sentinum perché i nemici di Roma giunsero disuniti alla battaglia. Il comandante romano Publio Decio Mure fu comunque costretto a galvanizzare le sue truppe che stavano per essere sconfitte con il rito della "devotio": sacrificando la sua vita e dedicando la sua anima agli inferi in cambio della vittoria. Altrettanto vicina alla sconfitta Roma giunse durante la Seconda guerra punica, contro il genio militare di Annibale. Il successo finale contro Cartagine, che guadagnò a Roma il Mediterraneo, arrivò con la spedizione in terra d'Africa di Publio Cornelio Scipione Africano: un'impresa alla quale nella stessa Roma nessuno dava la minima speranza di riuscita. La conquista della Gallia da parte di Giulio Cesare portò la civiltà romana sulle rive dell'Atlantico ed ebbe un'enorme rilevanza nella storia d'Europa. Eppure gli avversari politici di Cesare lo avevano destinato a quello scacchiere strategico proprio nella convinzione che vi trovasse la sua rovina. E come lo stesso Cesare non ha difficoltà ad ammettere ci andò vicinissimo in molte occasioni, affrontando rischi enormi e salvandosi spesso per pura fortuna. E probabilmente l'Impero romano non sarebbe mai neppure nato se il 2 settembre del 31 a.C. nel mare di Azio Marco Antonio avesse sfruttato meglio la sua grande flotta di 290 navi, in massima parte imponenti quinquireme, contro le sole 250 di Ottaviano, per altro soprattutto liburne biremi.

La Guerra anglo-francese 1202-1214
Il 27 luglio 1214 presso il piccolo villaggio di Bouvines, nel nord della Francia, si risolse una questione dinastica tra il re di Francia Filippo Augusto e il re di Inghilterra Giovanni, fratello di Riccardo Cuor di Leone, che ricordiamo per un soprannome molto meno prestigioso: il "senza terra". In inferiorità numerica e costretto alla battaglia in condizioni anche di svantaggio tattico, Filippo Augusto riuscì a vincere grazie all'abilità del comandante della sua retroguardia, Guerin de Senlis, e al suo impegno personale, rischiando la vita al fianco dei suoi uomini e incitandoli col proprio esempio. Parigi divenne la capitale del suo regno e da allora della Francia. Il mondo, però, era destinato a un'altra conquista: la "Magna Carta Libertatum", primo esempio di tutela della libertà degli individui contro l'autoritarismo dei despoti e fondamento delle moderne costituzioni, che Giovanni, indebolito dalla sconfitta, fu costretto a concedere al suo popolo.

La Guerra della Grande Alleanza
Nel VI secolo a.C. Ciro il Grande, imperatore di Persia, ordinava: "Oggi annuncio che ciascuno è libero di scegliere la propria religione". Questo principio di civiltà, seppure così antico e ribadito più volte nel corso della Storia, non ha mai avuto vita facile. Nonostante oggi sia accolto anche nella Dichiarazione universale dei diritti umani, le persecuzioni e le discriminazioni sulle minoranze religiose proseguono, spesso accompagnate da feroci atti di violenza. In Italia un importante passo verso l'affermazione di questo diritto avvenne proprio a causa di una guerra: la Guerra della Grande Alleanza del 1688-1697 che contrappose la Francia praticamente al resto dell'Europa. Il duca di Savoia Vittorio Amedeo II abbandonò l'alleanza con la Francia e si schierò con i suoi avversari, riuniti nella Lega di Augusta a maggioranza protestante. Il duca, per convenienza politica e militare, emanò l'Editto di tolleranza per guadagnarsi l'appoggio della minoranza protestante valdese, fino ad allora perseguitata. Il diritto di professare liberamente la propria religione divenne così patrimonio del Regno di Sardegna e di quello d'Italia.

La Guerra della Prima coalizione
La Rivoluzione francese è considerata l'evento più importante della modernità, vero spartiacque tra il passato e il nostro presente. Eppure anche in un evento di così grande portata molti sono stati gli eventi casuali e improbabili che l'hanno reso possibile, e tra gli altri anche una guerra. Nell'estate del 1792 appariva senza speranza la capacità della Francia rivoluzionaria di resistere all'attacco di una coalizione di eserciti europei fermamente intenzionati a restaurare l'ordine "naturale". Le disorganizzate formazioni di sanculotti scappavano di fronte all'avanzata delle disciplinate linee nemiche, occasionalmente uccidendo anche i propri comandanti accusandoli di tradimento. Ma il 20 settembre a Valmy le truppe prussiane del duca di Brunswick si scontrarono contro quel poco di esercito regolare che era rimasto alla Francia: qualche reggimento di fanteria e alcune batterie di artiglieria, accompagnate dalle assai poco affidabili milizie rivoluzionarie. Sotto l'intenso cannoneggiamento francese Brunswick esitò e interruppe l'attacco, nonostante la battaglia fosse praticamente ancora da cominciare, e si ritirò. Niente di particolarmente significativo dal punto di vista militare, ma a Parigi fu esaltata come una grande vittoria e il morale dei rivoluzionari salì alle stelle: due giorni dopo fu proclamata la Repubblica e da allora in poi le truppe francesi furono molto meno arrendevoli, e anzi cariche di ardore rivoluzionario.

L'impresa dei Mille 1860
Comunque la si pensi sulle modalità in cui si realizzò l'Unità d'Italia, e sull'Unità d'Italia stessa, l'Impresa dei Mille deve essere considerata comunque straordinaria. Non sarebbe potuta riuscire a nessun altro uomo tranne che a Giuseppe Garibaldi: solo lui possedeva il carisma e la necessaria presa sui suoi uomini per spingerli ad affrontare un esercito regolare più numeroso e meglio armato. E nel giorno più critico, sul campo di battaglia di Calatafimi, il 15 maggio 1860, Garibaldi dimostrò anche la freddezza e l'energia per risolverlo con una decisiva vittoria.

La crisi del Gabinetto di guerra del maggio 1940
Non c'è dubbio che la Seconda guerra mondiale abbia rappresentato una svolta sostanziale nella storia del Mondo. Un evento di natura così gigantesca ha conosciuto molti momenti decisivi, alcuni ancora oggi celebrati, altri praticamente dimenticati. Tra questi ultimi forse il più importante è la "crisi del Gabinetto di guerra" che vide protagonisti Winston Churchill e il segretario agli Esteri Edward Wood, Lord Halifax.
Churchill era stato nominato Primo ministro il 10 maggio 1940, lo stesso giorno in cui le truppe tedesche avevano varcato i confini di Olanda, Belgio e Francia. Appena cinque giorni dopo il Primo ministro francese Paul Reynaud comunicava a Churchill che la Francia era già sconfitta, ponendo i britannici di fronte ad un terribile dilemma che venne affrontato nel Gabinetto di guerra, tra un ristretto numero di responsabili politici: proseguire la guerra contro la Germania nazista in totale solitudine o cercare di addivenire ad una pace onorevole con Hitler, grazie anche alla mediazione di Benito Mussolini. Halifax, appoggiato dal re Giorgio VI, sostenne con forza quest'ultima ipotesi e lo stesso Churchill fu sul punto di convincersi che questa decisione fosse ineluttabile. Nessuno poteva infatti dire quanto la Gran Bretagna avrebbe potuto resistere, visto anche il perdurare della neutralità americana, tanto più che proseguire la guerra avrebbe sicuramente provocato altre innumerevoli morti e sofferenze. Tuttavia alla fine Churchill si assunse di fronte alla Storia la responsabilità di continuare la guerra, nella consapevolezza che il pericolo rappresentato dal nazismo fosse troppo grande e per scongiurarlo nessun sacrificio sarebbe mai stato troppo grande.