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"Non accettare mai consigli dalle tue paure"
Luogotenente generale Thomas J, "Stonewall" Jackson
18 giugno 1862


VULNERABILI OVUNQUE

Sicurezza

nicola zotti



Ad Achille fu sufficiente essere vulnerabile in una minuscola porzione del suo corpo per essere ucciso da Paride con la complicità decisiva del dio Apollo, che sapientemente guidò la freccia del troiano proprio su quell'unico bersaglio.

Un arciere, Paride, in forza combinata con un dio potente e irato, Apollo: assai secondario il ruolo del primo se non per la sua emblematica inconsistenza di guerriero, che serve proprio a rendere ancora più evidente ai nostri occhi come circostanze forti quali un dio vendicativo, possano consentire anche ad un imbelle di sopraffare un eroe.

Una lezione di umiltà per i potenti, che suggerisce loro di non considerarsi invincibili e di guardarsi con attenzione le spalle. Nessuno è sicuro: tutti sono vulnerabili quel tanto che basta da essere distrutti.

Vero. Tuttavia con l'avvertenza che l'attenzione alla sicurezza delle moderne società post-industriali non è caratterizzata dall'arroganza del più forte, disposto a vendicare la minima offesa con l'uso non commensurato della propria forza -- perché in ciò consiste l'affernazione inequivocabile del proprio diritto a dominare -- ma semmai dall'atteggiamento opposto: innanzitutto la convinzione di una condizione di irrimediabile gracilità e di assoluta vulnerabilità.

La natura della nostra società è tale che un Paride qualsiasi non ha nemmeno bisogno dell'aiuto di un dio Apollo per ferirla: tipica in questo senso la minaccia terroristica che può essere messa in atto -- e lo è stata ad esempio in Italia -- da intelletti di terz'ordine con mezzi risibili e non particolarmente difficili da ottenere solo che si abbia la voglia e la pazienza di frequentare un po' il sottobosco criminale.

Più in generale, un sistema sofisticato e interdipendente come il nostro ha un equilibrio assai precario: destabilizzarlo è facile e le conseguenze delle retroazione imprevedibili. La risposta che un nodo del sistema produce a fronte allo shock che ne ha colpito un altro, e del quale gli è giunta magari solo un'eco, non è infatti facilmente prevedibile: può arginare il danno, per attrito o per reazione biologica, come può amplificarlo o trasformarlo e trasmetterlo ad altri nodi ancora.

Un errore comune che si compie ragionando sulla sicurezza o programmandone le politiche è infatti strutturale. Un errore che i nostri antenati, alle prese con un mondo più semplice, o forse invece più saggi, non compivano.

Ovvero non esistono "tante" sicurezze quanti sono gli aspetti della vita delle persone, ma una sola, da tutelare con un'unica strategia che pure si avvale, com'è logico, di strumenti diversificati. Non esistono la sicurezza economica, la sicurezza sul luogo di lavoro, la sicurezza dal terrorismo o dalla delinquenza comune: esiste un corpo, il nostro, con le sue espressioni fisiche e immateriali, e le minacce che contro di esse sono rivolte e che in ultima istanza feriscono il corpo stesso.

"Le paure" sono quindi in realtà "la paura", in senso assoluto e totalizzante, e questo aiuta a capire perché prevale, in tema di sicurezza, la soggettività della percezione: al di là infatti delle statistiche su questa o quella minaccia sociale, se il plafond di paura sociale è alto, anche eventuali eccellenze positive verranno nella percezione collettiva ad allinearsi alla media. In secondo luogo, una società -- o un esercito, che è la stessa cosa -- con il "morale" alto avrà un plafond di paure così basso che tenderà a minimizzare le minacce, a volte sottovalutandole.

Deve essere anche considerato un ulteriore effetto perverso che agisce da moltiplicatore delle minacce: se infatti la percezionedi sicurezza collettiva è bassa, ne consegue una "temerarietà" sociale elevata, un vivere di giorno in giorno senza progetti e strategie, un pernicioso abbandonarsi all'insicurezza.

Di allarme in allarme, di fibrillazione in fibrillazione, la società si mitridatizza e si indurisce, perde il senso del bene comune, dell'interesse collettivo, del ragionare condiviso, ritirandosi nell'ultimo ridotto: il clan, la famiglia, se stessi.

In questo senso -- facendo anche tesoro dell'infausto destino di Achille -- si può comprendere i limiti di una concezione di sicurezza intesa come "invulnerabilità": troppi i punti esposti e sensibili per intervenire proteggendoli tutti, sconfiggendo tutte le paure. Più utile, se se ne accetta l'eccentricità, è la definizione di "libertà di agire indisturbato ", ovvero di prendere decisioni e compiere azioni secondo processi autonomi, non influenzati da minacce esterne.

Là dove la concezione di sicurezza come invulnerabilità si traduce nella tardiva e inane otturazione di falle, quella di facoltà di agire si presta invece alla ricerca di strade attive e preventive.

Perché cambia radicalmente prospettiva, fa pensare in modo diverso, costringe ad una concezione complessiva e sistemica della sicurezza, favorendo sinergie ed economie nell'impiego delle risorse, in poche parole costringe ad agire strategicamente.

Non dipende dai singoli, ovviamente, che questa concezione "positiva" di sicurezza prevalga sull'altra: è un disegno politico alto, e non so se sia questa l'epoca e il luogo in grado di produrlo.