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E IL SUO IMPERO CONSOLIDATO DA CARANUS IL SAGGIO

l'Asia conquistata da Filippo Magno

Nicola Zotti



"Ci vollero appena sei anni, dal 336 al 330 a.C., perché Filippo II di Macedonia sottomettesse la gran parte dell'impero persiano, venendo ricordato dai posteri come Filippo il Grande o Filippo Magno.

La sua marcia nell'Asia Minore, inutilmente incontrastata da Dario III, è ancora oggi considerata una tra le più brillanti campagne militari della storia.

Il luminoso destino di questo uomo straordinario era già segnato dalla fortuna, quando il caso fece inciampare maldestramente il suo attentatore Pausania, inducendolo a sbagliare il colpo destinato ad ucciderlo: se fosse andato a segno, nessuno può immaginare quale sarebbe stato il corso della storia.

Invece i greci lessero in quell'avvenimento fortuito un ulteriore segno della benevolenza degli dei verso Filippo.

Alessandro III, figlio della epirota Olimpiade, seguì l'infausto destino della madre e, quando Pausania sotto tortura li accusò di essere ispiratori e complici del complotto, vennero assassinati entrambi, assieme ad altri congiurati."

Naturtalmente non è andata così.

Racconta, infatti, Diodoro (16.94.3-4):

"[Pausania] pose dei cavalli alle porte della città e si diresse all'entrata del teatro nascondendo una daga celtica sotto il suo mantello. Quando Filippo dispose che gli amici del suo seguito lo precedessero a teatro, mentre la guardia veniva tenuta a distanza, Pausania vide che il re era stato lasciato solo e si precipitò contro di lui, trafiggendolo al costato e stendendolo morto. Quindi corse alle porte e verso i cavalli che aveva preparato per la fuga.

Immediatamente una parte delle guardie del corpo si affrettò al corpo del re, mentre le altre si lanciarono all'inseguimento dell'assassino. Tra queste c'erano Leonnato, Perdicca e Attalo. Avendo un buon vantaggio, Pausania sarebbe riuscito a montare sul suo cavallo prima che avessero potuto catturarlo, se il suo stivale non fosse inciampato in una vite, cadendo. Mentre stava cercando di rimettersi in piedi, Perdicca e gli altri furono su di lui e lo uccisero con i propri giavellotti"

Accidente per accidente, se l'attentatore Pausania fosse inciampato "prima", la storia avrebbe potuto seguire il corso che ho descritto all'inizio.

Difficilmente l'impero persiano avrebbe resistito all'attacco di Filippo, così come non resisterà a quello di Alessandro.

Ma qualche differenza per la storia del mondo ci sarebbe stata.

Innanzitutto credo che Filippo avrebbe incontrato un'opposizione più dura: da quanto racconta Curzio Rufo nella "storia di Alessandro", 50.000 fuoriusciti greci avevano raggiunto la Persia per contrastare le ambizioni di Filippo. Di essi solo 20.000 combatterono poi effettivamente alla battaglia del fiume Granico contro Alessandro: gli altri erano rientrati in patria due anni prima alla notizia della morte di Filippo.

Anche solo per ragioni anagrafiche e di condizione fisica, per Filippo sarebbe stata già un'impresa fare anche solo la metà dello sforzo compiuto da Alessandro: assicuratasi Persepoli e le Porte persiane nel 330, morto Dario per mano di Besso, Satrapo della Battria, Filippo si sarebbe accontentato e avrebbe lasciato quest'ultimo alle prese con le distruttive spinte centrifughe delle varie residue regioni dell'impero persiano.

Da Pella, antica capitale della Macedonia, sarebbe stato un po' difficile amministrare un impero così vasto, e quindi Filippo avrebbe dovuto comunque affidarsi ad un sistema di "governatorati" semi indipendenti.

In Macedonia lo attendeva Caranus, il figlio avuto dalla macedone Cleopatra. Il ragazzo sarebbe stato educato per il compito che lo attendeva alla morte del padre, e attorno a lui si sarebbe raccolto il partito macedone di cui rappresentava la speranza. Forse lo ricorderemmo oggi come "il saggio": rappresentante di un'aristocrazia ambiziosa ma conservatrice, avrebbe amministrato e consolidato con oculatezza le conquiste del padre.

Una forte dinastia macedone avrebbe guidato in modo unitario un impero dall'Illiria alla Media, per generazioni, senza i conflitti che caratterizzarono i rapporti tra i litigiosi successori di Alessandro.

Che cosa avrebbe potuto essere raggiunto da questa dinastia, rimane tutto da ipotizzare e non mi voglio spingere oltre.

Molto più evidente mi appare, invece, l'effetto che avrebbe avuto nella storia della cultura occidentale la sostituzione del mito "giovanilista" di Alessandro, con quello "senilista" di Filippo.

Filippo alle soglie dei 50 anni, cieco da un occhio e zoppo, un maturo handicappato, che ha ferocemente lottato tutta la vita per i suoi obiettivi, riesce nel suo sogno più grande affrontandolo in età già avanzata, quando potrebbe rifugiarsi in un sereno e dorato pensionamento.

L'Occidente conoscerebbe l'esempio di un uomo che ha costruito il proprio successo dalle fondamenta, un pezzo dopo l'altro, con costanza e coerenza, e non ha esitato neppure di fronte agli ostacoli dell'età e della condizione fisica per intraprendere un'impresa più grande e difficile di quelle compiute quando gli anni e il corpo erano quelli della gioventù.

L'esatto opposto del mito romantico del giovane eroe di immensa ambizione e insuperabile talento al quale nessun traguardo è precluso, non in virtù di superiori capacità umane, ma per un dono "soprannaturale". Un totale cambiamento di prospettiva che aggiunge forza ai progetti degli uomini maturi sottraendone radicalmente a quelli dei giovani, che valorizza perseveranza e tenacia a scapito del genio superomistico.

Giulio Cesare ventenne non avrebbe avuto di che disperarsi, per non aver potuto emulare le gesta del coetaneo Alessandro, ma semmai avrebbe considerato scontata in età avanzata la possibilità di ripetere quelle di Filippo se, come lui, fosse riuscito a sopravvivere ad un letale complotto.

E forse i "giovani" Bruto e Cassio, memori del fallimento di Pausania, non avrebbero osato interporsi nel corso della storia per essere ricordati come tirannicidi e aprire a se stessi luminose carriere alessandrine.