torna alla homepagetorna alla homepage
storia militare e cultura strategica
torna alla homepage
 
dalle discussioni
dell'area Warfare di MClink,
a cura di Nicola Zotti
 
home > campi di battaglia d'Italia > Marengo 14 giugno 1800


ricognizioni
in territorio ostile


recce team

storie
strategia
tattica
what if?
vocabolario
documenti
segnalazioni
link
scrivici


quelle piccole sciabole incrociate

quelle piccole spade incrociate

Viaggi nei
campi di battaglia d'Italia
sulle carte del Tci

 


NAPOLEONE IN ITALIA PER UNA SECONDA VOLTA

Marengo 14 giugno 1800


nicola zotti



Il 9 novembre 1799, con il colpo di stato del “18 brumaio”, Napoleone aveva assunto il titolo di Primo console, raggiungendo un potere “quasi” dittatoriale. La formula dubitativa è d’obbligo perché il suo predominio era troppo fresco per essere ancora assoluto, e il clima politico in Francia troppo instabile per non consigliare cautela. Il paese era esaurito dalle guerre rivoluzionarie e contemporaneamente ferito per l’infelice andamento di quell’anno di guerra, durante il quale le nazioni europee riunite nella Seconda coalizione – Russia, Inghilterra, Austria, Portogallo, Napoli, il Vaticano e l'Impero Ottomano – avevano strappato alla Francia tutte le conquiste che proprio Napoleone, con le sue fulminee vittorie degli anni precedent,i le aveva portato in dote, ad eccezione di Svizzera e Liguria.

Date le circostanze, il Primo console provò ad offrire con sincerità la pace agli avversari, ma ottenne uno sdegnato rifiuto. I dissapori interni alla coalizione avevano, infatti, portato ad una vittoria incompleta e insoddisfacente, e causato la pesante defezione della Russia. Nei coalizzati rimasti si era consolidata la convinzione che si fosse persa un’occasione e si aspettava solo il momento per coglierla nuovamente, questa volta in modo definitivo.

A Napoleone non restava quindi che prepararsi a una nuova guerra, compito che assolse con la sua proverbiale alacrità e sagacia, a cominciare dalle necessità essenziali – le truppe ricominciarono a ricevere paga e rifornimenti con regolarità – per proseguire con misure strutturali. La guerra civile nella Vandea si era finalmente conclusa con una prudente amnistia, rendendo disponibili un gran numero di uomini che Napoleone riunì a Digione come nucleo iniziale di una nuova formazione, l’Armata di Riserva, per la quale prevedeva un ruolo da protagonista nel conflitto che si stava riaccendendo.

Seguì la generale adozione organizzativa del corpo d'armata, che divenne un fatto compiuto, benché ancora non ufficiale, e si rivelerà preziosissima per la gestione della campagna.

Nel frattempo, il principale avversario della Francia, l’Impero austriaco, era pronto a riprendere l’offensiva sia dalla Foresta Nera, con i 100.000 uomini al comando del generale Kray, che dal Piemonte con gli 85.000 uomini dell’anziano generale Melas. Kray e Melas, però, erano separati dalla Svizzera e il genio di Napoleone aveva colto l’opportunità di sfruttare questo cuneo geografico a proprio vantaggio. ideando un brillante piano strategico. Progettò di insinuare tra i due Corpi nemici la Riserva per poi guidarla con una rapida marcia aggirante da Sud le spalle dell’armata di Kray.

Questa brillante manovra per linee centrali era però destinata ad essere scartata per l’opposizione del generale Moreau, che secondo le intenzioni di Napoleone avrebbe dovuto sostenere con i 120.000 uomini della sua Armata del Reno l’attacco frontale contro Kray nella Foresta Nera. Moreau era un generale cauto ma abile e molto stimato, e nonostante avesse appoggiato Napoleone al momento del colpo di stato, la sua sincera fede repubblicana aveva catalizzato attorno a lui critici ed oppositori. Napoleone trovò quindi politicamente opportuno cambiare strada: Moreau avrebbe attaccato la Germania, libero di cercarsi gloria personale, mentre i 60.000 uomini della Riserva, attraversata la Svizzera, sarebbero calati in Italia alle spalle di Melas varcando i valichi alpini. Il ruolo di diversivo sarebbe spettato al generale Massena, con i 40.000 dell’Armata d’Italia che occupavano la Liguria. Un piano di ripiego sul secondario teatro italiano, dal quale la Francia non avrebbe potuto guadagnare una vittoria risolutiva, ma era quanto di meglio potesse escogitare.

Il Consiglio Aulico imperiale nel frattempo aveva deciso di riprendere le ostilità contro l’unico fronte dove avrebbe potuto contare sull’appoggio britannico, la Liguria: a vantaggio degli alleati pesava la circostanza che i passi appenninici sarebbero stati percorribili con 6 settimane di anticipo rispetto a quelli alpini, ritardando quindi di altrettanti giorni il prevedibile intervento francese.

Il 6 aprile i reggimenti austriaci penetrarono in Liguria da più punti, sorprendendo le forze di Massena e dividendole in tronconi impossibilitati a collaborare tra loro: dopo 2 settimane di operazioni il generale francese era stretto d’assedio nelle fortificazioni di Genova con meno di 10.000 uomini, bombardato dal mare da Britannici e Napoletani e da terra dai 20.000 uomini del generale austriaco Ott, mentre il resto del suo esercito veniva respinto oltre Nizza, o combatteva una disperata e isolata resistenza locale.
Anche Napoleone fu colto di sorpresa e costretto ad anticipare la partenza. Nonostante ogni sforzo, però la Riserva raggiunse i passi alpini solo il 15 maggio, quando la situazione a Genova era ormai disperata, i cavalli degli ufficiali erano già stati macellati e anche i topi cominciavano a scarseggiare.

Napoleone fece giungere a Massena la richiesta di resistere almeno fino al 4 giugno, ma la sua intenzione non era quella di accorrere in suo soccorso, bensì di guadagnare il tempo necessario per completare la prevista manovra di aggiramento.
L’attraversata delle Alpi, date le circostanze, fu abbastanza agevole, soprattutto in virtù degli accorgimenti adottati: marce solo nelle ore più fredde per evitare valanghe, e il trasporto dei cannoni su slitte improvvisate con mezzi tronchi incavati. La parte principale dell’Armata transitò per il passo del Gran San Bernardo, mentre altri due valichi, Moncenisio e Piccolo San Bernardo, furono utilizzati da forze minori per confondere le idee agli austriaci. L’unico vero contrattempo fu incontrato il 19 maggio alla fortezza di Bard (sita a 18 km a nord di Ivrea), all'imbocco della gola dalla quale parte la Valle d'Aosta, che dovette essere scavalcata alla spicciolata, rallentando notevolmente la tabella di marcia e soprattutto impedendo il passaggio di gran parte dei cannoni (lo raggiunsero solo il 12 giugno, due giorni prima della battaglia).

Ma per Napoleone erano solo dettagli, perché Melas si era convinto che il suo obiettivo fosse Genova e decise di attenderlo a Torino, mentre sulla capitale piemontese puntava solo la forza diversiva proveniente dal Moncenisio: il grosso deiFfrancesi, via Ivrea e Vercelli, dopo aver disperso disorganizzati tentativi di tagliargli la strada, faceva tappa a Milano, puntando sulla località strategica di Stradella, dove il collegamento di Melas con Vienna si riduceva ad un imbuto tra Appennini e Po, nel quale la superiore cavalleria austriaca non avrebbe potuto decidere le sorti di una battaglia.

Il 2 giugno Napoleone entrò a Milano per la seconda volta, trionfalmente accolto dalla popolazione.

Pochi italiani combatterono a Marengo nonostante la posta in gioco fosse proprio il destino della nostra Penisola: due reggimenti veneti tra gli Austriaci e pochi artiglieri della Legione italica con Napoleone. Il vento rivoluzionario era giunto in Italia nel 1796, quando Napoleone, entrando a Milano per la prima volta, si era rivolto a tutto il “popolo italiano” annunciando che l’esercito francese veniva per “spezzare le vostre catene”. L’idea della lotta alla tirannide, nella prospettiva di un progetto di unità nazionale, aveva però già radici in Italia: nel 1796 era anche sventolato per la prima volta il tricolore, alla testa proprio della Legione italica, e intellettuali come il drammaturgo Vittorio Alfieri, per citare il nome più noto, nei loro scritti politici avevano da tempo espresso sentimenti anti-austriaci e la speranza e la convinzione che l’Italia sarebbe stata “libera e una”. L’arrivo di Napoleone catalizzò queste energie, e se ne avvalse per guadagnare consenso e, non ultimo, reclute per i propri eserciti: fu proprio combattendo per una causa altrui, che il sentimento di italianità si consolidò su base più ampia e programmatica, preparando il terreno al movimento risorgimentale.

In quello stesso 2 giugno era caduta la fortezza di Bard, dando il via libera ai cannoni di Napoleone, ma aveva anche capitolato, con l’onore delle armi, la guarnigione di Genova, che si era avviata verso il confine francese, ansiosa di riprendere i combattimenti. La situazione stava rapidamente precipitando per Melas che era a rischio di accerchiamento e ormai poteva solo ripiegare su Genova o aprirsi una via a est: entrambe queste opzioni partivano da Alessandria e il 6 giugno fu ordinato a tutte le forze austriache di concentrarsi verso questa destinazione. Forse era già troppo tardi per sfuggire dalla trappola di Napoleone, tanto più che Massena, ricostituita l’Armata d’’Italia, era di nuovo in campo e risaliva energicamente la Bormida puntando proprio su Alessandria.

In realtà, però, era come se quella trappola si fosse aperta, e il primo ad accorgersene fu naturalmente Napoleone, quando, ancora a Milano, fu raggiunto l’8 giugno dalla notizia della caduta di Genova: comprese infatti che gli austriaci non erano più in gran parte bloccati dall’assedio, ma potevano addirittura sfruttare la città come rifugio. A questo punto non era più possibile aspettare gli Austriaci a Stradella, ma bisognava andarseli a cercare e costringerli a dare battaglia.

Uno scontro, avvenuto quel giorno tra Casteggio e Montebello tra le avanguardie francesi e una parte dell’armata del generale Ott, inviata verso Piacenza da Melas, si risolse in una vittoria francese, e confermò a Napoleone la convinzione che gli Austriaci stessero cercando di sfuggirgli. Nei giorni successivi, una serie di confuse notizie, alcune delle quali errate e altre addirittura false, fatte arrivare a Napoleone da una spia doppiogiochista al soldo degli Austriaci, costrinsero il Primo Console ad allargare la disposizione delle proprie truppe dislocandone 5.000 verso Sud, al comando del suo amico Desaix appena giunto dall’Egitto senza neppure l’uniforme, e 3.500 a Nord rispetto alla sua posizione centrale che ormai era arrivata a Marengo, ad appena 3 km da Alessandria: con lui ne erano rimasti circa 24.000. Essere riuscito a raggiungere questa città senza opposizioni era la cosa che più lo convinceva che gli Austriaci volessero ripiegare verso Genova: infatti a est di quella città si apriva una pianura nella quale la superiore cavalleria e la numerosa artiglieria austriache lo avrebbero messo in gravissima difficoltà.

Gli Austriaci, in realtà, non si erano resi conto che Napoleone fosse così vicino, ma ritenevano fosse collocato più a nord, per tagliare loro la strada verso Milano.
Così, all’alba del 14 giugno i 34.000 uomini dell’esercito austriaco iniziarono l’attraversamento della Bormida con una certa tranquillità, venendo però subito fermati dalla resistenza degli avamposti francesi. Le colonne austriache si aprirono subito a ventaglio, iniziando a premere con sempre maggiore forza sullo schieramento francese, cercando nel contempo di sfruttare la propria superiorità numerica con manovre di aggiramento: dopo due ore di combattimenti Napoleone comprese che quella non era una schermaglia di retroguardia, ma una battaglia decisiva e reagì con energia e la sagacia. Diede disposizioni per richiamare i contingenti che aveva avventatamente distaccato e nel contempo predispose una battaglia difensiva, cedendo terreno per guadagnare tempo.

Dopo circa sei ore dall'inizio dei combattimenti, le truppe francesi, schiacciate dal numero degli avversari e dalla loro superiore artiglieria, erano in piena crisi e minacciate di accerchiamento su entrambi i fianchi.

A sud la minaccia si fermò soprattutto a causa delle difficoltà del terreno, ma a nord lo spazio per l'aggiramento era ampio e pericolosissimo e Napoleone dovette impiegare la propria guardia.

Uno dei primi atti di Napoleone come Primo console fu quello di fondere due unità di élite, la “garde du Corps législatif” e la “Garde constitutionnelle du Directoire”, in un’unica formazione, la “Garde des consuls”: due battaglioni di granatieri e una compagnia di cacciatori a piedi, e due piccoli reggimenti di cavalleria, in tutto circa 2.000 veterani la cui missione era proteggere la sua persona, ma che a Marengo dovettero dimostrare tutto il proprio valore. Verso le 14 la Guardia consolare era sulla linea di battaglia, impegnata a distribuire munizioni alle esauste truppe francesi, quando gli austriaci minacciarono di aggiramento la destra dello schieramento di Napoleone. Non avendo niente altro per tamponare la falla nella sua linea, Napoleone giocò l'ultima carta a propria disposizione.

Gli 800 granatieri marciarono verso il nemico in quadrato, sostenendo cariche di cavalleria e tiro incrociato di artiglieria e fucileria: 260 uomini rimasero sul terreno, ma la Guardia fu salda in questo inferno di fuoco per mezz’ora – come una “colonna di granito”, ebbe a descriverla Napoleone – il tempo necessario a salvare la situazione, per poi ritirarsi in buon ordine con il resto delle truppe francesi e partecipare al successivo, vincente, contrattacco.

Non rimaneva che indietreggiare a est di Marengo dove però gli Austriaci sarebbero stati ancora più avvantaggiati dal terreno aperto e pianeggiante. Nonostante la prospettiva di un’inevitabile sconfitta, l’esercito francese mantenne la coesione necessaria a combattere una battaglia di retroguardia.

Ultima ad abbandonare Marengo la 43ª “mezza brigata” (un reggimento) che aveva difeso per tutto il corso della prima fase della battaglia un allevamento di bachi da seta (un edificio ancora oggi esistente). I Francesi continueranno a combattere indietreggiando per altre due ore arretrando di 3 km.


Così, anche se alle 15 la battaglia poteva dirsi persa per i Francesi, le loro forze, però, non erano in rotta, ma si ritiravano disciplinatamente e ordinatamente a est, con il morale ancora abbastanza integro da avere voglia di combattere ancora. E lo avrebbero fatto di lì a poco: Desaix, attirato dal tuono dei cannoni, aveva autonomamente deciso di tornare sui suoi passi. In abiti civili e completamente infangato, arrivò da Napoleone con la sua divisione di 5.000 soldati pronti al combattimento. «Questa battaglia è persa – fu il suo commento – ma c’è ancora tempo per vincerne un’altra”, e insieme programmarono un audace contrattacco radunando tutte le forze disponibili.

Alle 18, schierati al centro gli ultimi 16 cannoni rimasti e ai fianchi la propria fanteria, Desaix lanciò un travolgente attacco contro la testa della colonna degli inseguitori austriaci, che, guidati dal generale Zach, perché Melas convinto della vittoria acquisita era già tornato ad Alessandria, li inseguivano in colonna di marcia: l’effetto sorpresa fu totale e amplificato dall’esplosione di un carro di munizioni che scompaginò il centro della colonna proprio mentre veniva caricata da un reggimento di cavalleria. Il generale Kellerman, radunati appena 400 cavalieri superstiti, aveva infatti caricato di propria iniziativa il fianco della colonna austriaca, casualmente proprio nel momento in cui essa veniva sconvolta dall’esplosione di un carro di munizioni: il panico si trasmise, inarrestabile, da un’unità all’altra e la rotta austriaca fu completa.

Tra i primi a cadere nel furioso e vincente contrattacco, per un colpo di moschetto, proprio il coraggioso Desaix, vero artefice di quella insperata e preziosa vittoria.