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RUBANO I LIBRI: MOLTO PEGGIO CHE LA CORRUZIONE

Il nostro passato di grande potenza


Nicola Zotti




Nei giorni scorsi sono rimasto colpito da questa notizia o, piu recentemente, da questa inchiesta, (si parla degli enorme furti di antichi libri italiani dalle nostre biblioteche) e dalla scarsa eco avuta nel nostro Paese.

Poi siccome nelle teste le cose si sommano e si moltiplicano, si collegano e si trasformano, vanno e ritornano più grandi e mature, eccomi qui a raccontarvele.

Studiando di qua e di là ci formiamo delle opinioni vaghe e tutto sommato inutili, che rimangono tali finché, di qua o di là, ogni tanto troviamo inaspettatamente una conferma, oltre ogni speranza, di quelle intuizioni. Di punto in bianco, quell'intuizione diventa conoscenza, e utile.

Non dico nulla di nuovo ricordando che quella italiana è la terza letteratura classica dell'Occidente, dopo il Greco e il Latino.

Però forse non siete a conoscenza del fatto che l'Italiano fino alla metà dell'Ottocento è stata anche la lingua "comune" del Mediterraneo.

Così ad esempio scriveva da Genova il 12 maggio 1823 Lord Byron a Mr Bowring, rappresentante del comitato filo ellenico a Londra, elencando i rinforzi di cui avevano necessità gli insorti Greci.

«Officers, also, who had previously served in the Mediterranean would be preferable, as some knowledge of Italian is nearly indispensable.»

(Ufficiali, anche, che abbiano in passato servito nel Mediterraneo sarebbero preferibili, come qualche conoscenza dell'italiano è praticamente indispensabile)

[Letters and journals of Lord Byron: with notices of his life, Lettera 520, Volume 3, Baron George Noël Gordon Byron,Thomas Moore, pag. 416].

Ma c'è dell'altro: l'Italiano in particolare nel Mediterraneo Orientale era anche la lingua della diplomazia: nel 1774 una della varie guerre tra Imperi Russo e Ottomano si era conclusa con il Trattato di Küçük Kaynarca (21 luglio 1774), un accordo destinato ad avere ripercussioni profondissime nell'area balcanica e non solo, nei secoli a venire.

Ebbene il testo di transizione, tra le versioni in Russo e in Turco, fu scritto in Italiano. [G. G. de Martens Recueil de Traités, vol IV, supplemento 1761-1790, n. 71, pp. 606-638].

L'Italiano, allora, non era solo una lingua "diffusa", ma soprattutto una lingua "alta", un idioma adatto a parlare di cose complesse, perché aveva un vocabolario giuridico e filosofico ricco e profondo.

Insomma allora, come oggi, non eravamo certo una potenza militare, e e non eravamo più una potenza economica: ma una potenza culturale quello sì, senza mezzi termini, perché quei diplomatici si erano formati anche sui nostri testi, quando non nelle nostre università.

Non è un caso che il primo grande diplomatico Turco, Ahmed Resmî Efendi, plenipotenziario ottomano a Küçük Kaynarca, fosse un Greco di Creta di famiglia convertita, nato pochi decenni dopo che l'isola venisse strappata dai Turchi ai Veneziani.

Mi è sembrato necessario scriverlo, con amarezza per come è ridotta oggi la nostra Cultura, e per la fine che fanno i libri che essa ha prodotto nei secoli.

Il furto di libri antichi di cui parla l'articolo citato in apertura e il disinteresse generale in cui è caduta questa vicenda, va di pari passo con la tanta retorica che si spende sul nostro patrimonio culturale: unica "spesa" che siamo disposti a fare per preservare questa nostra sola ricchezza.