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QUANDO L'ITALIA CESSO' DI ESSERE UNA GRANDE POTENZA

La Guerra di Candia


nicola zotti



Anno 1645: in Europa la Guerra dei Trent'anni era alla fase conclusiva, promuovendo nuove gerarchie in un continente ormai avviato alla modernità. Un futuro che certificava il definitivo spostamento del baricentro strategico del Mondo verso le rotte oceaniche e sugli stati che si contendevano il loro controllo con politiche di dominio, per la prima volta nella storia, globali.

Per quanti venivano tagliati fuori da questo terremoto geostrategico il declino era ineluttabile, e non sarebbe stato indolore.

Proprio nel 1645 due di questi attori con un passato da protagonisti nello scenario politico europeo e un futuro, purtroppo per loro, da comparse, incominciarono una guerra periferica per aggrapparsi alla tenue speranza di contrastare questo orizzonte di cupo declino.

La Repubblica di Venezia e l'Impero Ottomano si erano combattuti per secoli, ma da oltre sessanta anni coltivavano relazioni pacifiche e reciprocamente vantaggiose.
Venezia nella Quinta guerra ottomano-veneziana (1570-1573) aveva perso Cipro, e ormai dei suoi importanti possedimenti nel Mediterraneo orientale le rimaneva solo la maggiore isola di quella regione, Creta. L'importante posizione strategica ne faceva un bersaglio naturale per l'espansione ottomana, mentre le sue dimensioni e il suo territorio fertile, unito allo stato di abbandono delle sue fortezze, la rendevano una preda molto più allettante di Malta, dove invece i cavalieri Ospitalieri avevano insediato una munitissima base navale e nel 1565 erano già riusciti a resistere con successo ad un assedio turco.

Dalla sua laguna la Serenissima aveva assunto il profilo più inoffensivo possibile, da qui la trascuratezza delle difese dell'isola, per evitare che qualsiasi ostentazione di forza venisse considerata provocatoria dagli Ottomani. Ma nonostante questo scrupolo, e lo zelo nel rispetto dei trattati, le occasioni per un conflitto non sarebbero mancate.

Venezia non aveva molte alternative a questo atteggiamento rinunciatario. Negli ultimi decenni la sua potenza era andata rapidamente evaporando: afflitta da una crisi economica strutturale dovuta alla perdita del controllo della rotta delle spezie, che ormai correva lungo vie commerciali oceaniche, era stata coinvolta nella Guerra dei trent'anni sia direttamente in una sua propaggine – la Guerra di Mantova nel 1629-31 – e sia indirettamente, per l'epidemia di peste (di Manzoniana memoria) che essa portò con sé, e per il crollo verticale dei commerci con i paesi nordici, devastati da quel conflitto.

Le ostilità tra Costantinopoli e Venezia covavano sotto le ceneri, attendendo solo una scintilla per divampare. Una prima occasione venne tempestivamente sopita da Venezia nel 1638, quando la sua Marina aveva attaccato e distrutto una flotta di pirati barbareschi, che aveva trovato rifugio nel porto ottomano di Valona. La città era stata bombardata, causando l'ira del sultano Murad IV che minacciò di consegnare al proprio boia tutti i Veneziani residenti nei suoi territori e di proibire ogni commercio con la Serenissima.

Il pericolo rientrò perché gli Ottomani erano al momento coinvolti in una guerra contro la Persia, e la Repubblica se la cavò pagando un indennizzo di 250.000 zecchini d'oro.
Un episodio analogo nel 1644 ebbe però esito diverso: il 28 settembre, i Cavalieri di Malta attaccarono e catturarono un convoglio di pellegrini musulmani destinati alla Mecca, tra i quali si trovavano dignitari e alte personalità turche. Durante il combattimento molti rimasero uccisi e i sopravvissuti destinati a essere venduti come schiavi.

Con la scusante della "guerra agli infedeli" era stato compiuto un vero e proprio atto di pirateria, un atto tutt'altro che infrequente, perché le Marine di ogni paese avevano libera licenza di attaccare navi ostili, per impossessarsi del "contenuto", marinai e viaggiatori compresi. Alleati degli Ottomani erano invece gli stati "pirata" della Costa dei Barbari (ovvero dei Berberi), che andavano dalla Libia al Marocco. Il Seicento fu il secolo del loro splendore e le loro incursioni tormentarono tutto il bacino del Mediterraneo e non solo: marinai straordinari, nel 1627 arrivarono fino in Islanda e nel 1631 presero prigionieri tutti gli abitanti di un villaggio nella Contea di Cork in Irlanda.

Una casuale sosta dei Cavalieri in un porto dell'isola di Creta, sollevò l'indignazione della Sublime Porta che accusò Venezia di collusione nell'atto di pirateria.
Il "casus belli" era servito: i tentativi veneziani di negare ogni responsabilità furono inutili e a Costantinopoli venne radunata un'armata di 50.000 uomini, tra i quali 7.000 Giannizzeri, e oltre 400 navi destinata alla conquista di Creta.


Guerra di Candia



Un'abile opera di disinformazione messa in atto dagli Ottomani, convinse Venezia che la vittima predestinata di quella spedizione fosse la reproba Malta, e quando il 23 giugno 1645, al contrario, essa comparve davanti alle coste occidentali di Creta, non distante dalla città di Canea, la sopresa fu totale.

Nei mesi precedenti Venezia aveva provveduto in via cautelare a rafforzare il presidio dell'isola e a incominciare la ristrutturazione delle sue difese, mentre nell'Arsenale si lavorava alacremente per rifornire la flotta di nuovi vascelli e per aggiornare quelli esistenti. Soprattutto, per finanziare quello sforzo, il Tesoro della Repubblica venne irrobustito con esazioni straordinarie nella "Terraferma".

Erano misure energiche, ma tanto i Veneziani quanto i loro avversari dovettero ben presto riconoscere che il fattore umano avrebbe avuto un peso altrettanto importante nel prosieguo del conflitto di quello materiale.

In primo luogo, nonostante il sultano regnante all'epoca fosse il mentalmente instabile Ibrahim I, il suo governo si mostrò ben informato degli umori che albergavano nelle regge europee e capace di sfruttarli a proprio vantaggio, in particolare nella scelta del momento per dare avvio alle ostilità: la soluzione di una guerra di religione (e non solo) tra cristiani sarebbe stata considerata più importante di una nuova crociata contro gli "infedeli".

Se ne resero ben presto conto i diplomatici veneziani quando si precipitarono nelle capitali europee (e non solo) alla ricerca di alleati, ottenendo attenzione solo dalla Santa Sede, Malta, Toscana e dagli Spagnoli di Napoli, e una serie di pesanti rifiuti da ben più potenti interlocutori. Il cardinale Mazarino in Francia, ad esempio, ritenne che la sua influenza nella penisola potesse solo beneficiare da un indebolimento della Repubblica, mentre alla corte degli Asburgo d'Austria, dove Venezia godeva di scarsissime simpatie, non si ritenne opportuno aprire un nuovo fronte di conflitto alle frontiere meridionali, quando quelle settentrionali erano ancora duramente impegnate nella Guerra dei trent'anni. Dinieghi, tra gli altri, anche da Polacchi, Moscoviti, Svedesi, Danesi e Persiani, mentre Inglesi e Olandesi, principali concorrenti di Venezia nei mercati d'Oriente, si accomodarono in una profittevole neutralità, permettendo però che i propri armatori noleggiassero a caro prezzo i loro moderni velieri all'uno o all'altro dei contendenti.

Altrettanto accorta era stata la valutazione ottomana degli umori della popolazione locale che mal sopportava il dominio veneziano.  La Serenissima aveva a lungo trascurato l'isola: i legami con la Madrepatria erano sempre più labili e persino il numero dei fedeli cattolici era in drastica diminuzione rispetto a quello, crescente, dei cristiani ortodossi. I Cretesi non tardarono a mostrare la loro disaffezione, inizialmente disertando i combattimenti, quindi, con il prolungarsi del conflitto, sostentando gli invasori con i prodotti dei propri campi.

Ma anche agli Ottomani era riservata una spiacevole sorpresa. Pur essendo riusciti a mettere saldamente piede nell'isola senza difficoltà, il primo incontro con una guarnigione veneziana diede loro la misura di ciò che li attendeva: Blasio Zulian, comandante della piccola fortezza di S. Todero, viste superate le sue difese e inevitabile la caduta della piazza, diede fuoco alla Santa Barbara, uccidendo se stesso, i 30 uomini che erano con lui e tutti gli assalitori. Agli Ottomani rimasero solo le macerie, ma furono sufficienti a dichiararsi vincitori. Relativamente più facile fu la presa di Canea, che cadde il 22 agosto, dopo 56 giorni di assedio, consegnando ai turchi un'importante base delle operazioni.

La reazione di Venezia fu rapida, ma non risoluta quanto avrebbe potuto e dovuto essere. La sua determinazione a resistere era incrollabile, molto meno ferma e soprattutto molto più incerta fu la gestione delle forze coalizzate che fallirono l'occasione di riconquistare immediatamente Canea con un attacco navale. La guida della flotta era stata affidata al nipote del papa Gregorio XV, Niccolò Ludovisi, che si dimostrò incapace di tenere unite le molte anime dell'alleanza e soprattutto di guidarle millitarmente.

Quello della leadership fu sicuramente il punto critico delle scelte strategiche veneziane e compromise in partenza le sorti del conflitto. Alla ricerca di un capo autorevole ed esperto, la Repubblica, oligarchica e aristocratica, non seppe far di meglio che ricordarsi di essere anche una gerontocrazia trovandone di decisamente troppo anziani per le fatiche della guerra: prima il doge ottantenne Francesco Erizzo e quindi, alla morte (quanto meno preventivabile) di questo, il settantatreenne Giovanni Cappello. Assunto il ruolo di Capitano generale del Mare nel 1646, Cappello, si dimostrò all'altezza della fama di uomo prudente per la quale era noto tra i suoi concittadini: evitò accuratamente ogni scontro con la flotta turca e trasformò ogni difficoltà in un buon motivo per non prendere iniziative di sorta, lasciando via libera ai convogli nemici e consentendo agli invasori di proseguire indisturbati l'occupazione dell'isola.

Molto più indovinata, quello stesso anno, fu la scelta del ventisettenne Francesco Morosini come comandante delle forze terrestri a Candia. Il suo carisma e la sua incrollabile tenacia furono essenziali per la difesa della città. Nel maggio 1648, infatti, i Turchi strinsero finalmente l'assedio a Candia: incominciava uno dei più lunghi assedi della storia chiuso ventitrè anni dopo dallo stesso Morosini con una resa onorevole.

I difensori della città diedero prova di una resistenza che è riduttivo definire straordinaria, respingendo continui assalti, sopportando un bombardamento incessante che ridusse la città di Candia in macerie assieme alle 80 mine fatte brillare dai Turchi.

Gli Ottomani aprirono anche un secondo fronte delle operazioni in Dalmazia catturando la fortezza di Novigrad, presso Zara, per indebolire la resistenza veneziana minacciando i suoi possedimenti nell’Adriatico. I Veneziani, però, non solo riuscirono a riconquistare la piazza, ma anche ad ampliare i propri possedimenti in Dalmazia.

La guerra di Creta venne combattuta con altrettanta asprezza anche sul mare. Troppo debole rispetto ai rivali in quanto a forze terrestri, Venezia era invece ancora una temibilissima potenza navale, con un chiaro obiettivo strategico: interrompere i rifornimenti all'esercito di occupazione turco. Con i mezzi dell'epoca un blocco navale di questa entità era un'impresa impossibile: l'estensione dell'impero ottomano era tale che i porti e le rotte dai quali potevano giungere uomini e mezzi agli aggressori di Candia erano troppi per poterli controllare tutti. Nonostante questo, la Serenissima ci provò, inanellando uno dietro l'altro grandi successi in tante battaglie navali: a cominciare da quello ottenuto da un altro Morosini, Tommaso, che il 27 gennaio del 1647 affrontò da solo 45 vascelli nemici al largo dell'isola di Eubea, rimanendo ucciso, ma al contempo imponendo alla marineria turca una superiorità morale e una soggezione nei confronti delle navi cristiane che influenzerà tutti i successivi scontri.

Con grande aggressività i Veneziani provarono a bloccare i Dardanelli, stabilendo anche una base permanente su un'isola proprio all'imbocco dello stretto, e ad attaccare la stessa Costantinopoli. Nei Dardanelli dal 1654 al 1657 vennero combattute battaglie cruente e la Marina ottomana venne più volte sconfitta, come il 26 giugno 1656 quando subì il suo rovescio più pesante dopo quello di Lepanto.

Flotte turche vennero intercettate ovunque: dalle coste della Turchia, come a Foja, il 12 maggio 1649, o nelle Cicladi, come a Naxos il 10 luglio 1651. Ma anche in presenza di velieri veneziani, era sufficiente un giorno di bonaccia perché essi venissero scavalcati dalle galee turche a remi acquisendo il vantaggio sufficiente per riuscire a raggiungere Creta. Sull'isola la popolazione locale si era schierata con gli invasori.

Non poteva rifornirli di armi, munizioni e polvere da sparo, non combatté al loro fianco, ma li nutrì nei lunghi periodi durante i quali il blocco navale veneziano riuscì ad esercitare tutta la sua efficacia. In questi momenti Venezia esitò o forse le mancò l'energia necessaria per assestare un colpo decisivo agli avversari.

Nel rattempo i contendenti dovettero ingegnarsi per trovare le straordinarie risorse economiche necessarie alla guerra. Poco assistita dalle nazioni cristiane, nonostante le ripetute sollecitazioni della Santa Sede, Venezia ricorse a continue gravose tassazioni e persino alla vendita per 60.000 ducati del titolo di “Nobil Homo”, con relativo automatico ingresso nel Gran Consiglio. In Turchia andò anche peggio: si ridussero privilegi e si alzarono le tasse provocando rivolte violentissime, venne interrotto per un anno il pagamento delle pensioni a 30.000 orfani e vedove, e la moneta venne svalutata addirittura a un terzo.

La caparbia fermezza della Serenissima restò immutata anno dopo anno, battaglia dopo battaglia. Il tempo trascorso si accumulò al punto da far maturare un nuovo scenario politico in Europa. Dagli anni Sessanta del secolo, l'afflusso di volontari dalle nazioni cattoliche si fece più consistente e il miglioramento dei rapporti tra il Vaticano e il re di Francia Luigi XIV fornirono le condizioni per l'intervento di un alleato tanto potente. Nel febbraio del 1667 i rinforzi francesi raggiunsero Candia, ma furono minori del previsto perché da lì a poco sarebbe scoppiata la prima di una lunga serie di guerre avviate dal re di Francia Luigi XIV, la Guerra di devoluzione (1667-68). Nel frattempo anche la presenza turca nell'isola non solo era incrementata ma soprattutto era stata posta al comando del Gran Visir Köprülü Faz?l Ahmed Pasha in persona: un uomo che per energia e abilità militare rivaleggiava con lo stesso Morosini.

Iniziava la fase più cruenta della guerra. Negli ultimi 28 mesi dell’assedio di Candia perirono 70.000 Turchi, 38.000 tra cittadini cretesi e schiavi impegnati nelle opere d’assedio, e 29.088 difensori della città, tra i quali 280 nobili veneziani, circa un quarto del Gran Consiglio.

Il Gran Visir galvanizzò le proprie truppe che respinsero ogni contrattacco, riuscendo persino a resistere a un lungo bombardamento dal mare durante il quale furono esplosi 15.000 colpi di cannone.

Molto più danno lo fece però l'esplosione accidentale di una grande nave francese, la Thérèse, il 24 luglio 1669: i Francesi, già ai ferri corti con Morosini, che ne contestava la pretesa di assumere il comando delle operazioni nell'isola, abbandonarono di lì a poco Creta al suo destino. Era un colpo troppo duro da sopportare anche per un uomo come Morosini: raggiunti i cinquanta anni (ben 17 dei quali trascorsi a combattere per difendere Candia), aveva ormai perso ogni fiducia nel successo della sua impresa e un mese dopo firmò di propria iniziativa la resa della città, ottenendo dagli Ottomani un lasciapassare che consentiva ai vinti di ritirarsi con tutti i loro beni mobili.

In patria il condottiero era atteso da un processo per codardia e tradimento, motivato più che altro dall'incredulità per la fine di una resistenza che si riteneva potesse durare in eterno, ma fu assolto. Tra la Serenissima e l'Impero ottomano lo stato di guerra sarebbe proseguito fino all'inizio del Settecento, quando, finalmente esauste, le due grandi potenze di un tempo si adattarono al loro ruolo marginale nella Storia d'Europa. E l'Italia, che aveva detenuto il maggior reddito pro capite nel mondo fin dai tempi dell'Impero romano, si vide per la prima volta superata dalle due nuove grandi potenze economiche, Gran Bretagna e Olanda: i commerci oceanici di quest'ultima le conferivano un reddito pro capite praticamente doppio rispetto a quello di qualsiasi altra nazione europea e l'Italia era ormai superata dalla Gran Bretagna e anche dal Belgio.

Rimanemmo ancora per altri due secoli una potenza culturale, ma questa è un'altra storia.