3
torna alla homepagetorna alla homepage
storia militare e cultura strategica
torna alla homepage
 
dalle discussioni
dell'area Warfare di MClink,
a cura di Nicola Zotti
 
home > colonnina infame > Trattare con i terroristi nel modo sbagliato


ricognizioni
in territorio ostile


recce team

storie
strategia
tattica
what if?
vocabolario
documenti
segnalazioni
link
scrivici


quelle piccole sciabole incrociate

quelle piccole spade incrociate

Viaggi nei
campi di battaglia d'Italia
sulle carte del Tci

 


MI SPIEGO DI PIŁ...

Trattare con i terroristi nel modo sbagliato

Nicola Zotti

In uno dei primi articoli che ho pubblicato su Warfare.it ho esposto una tesi provocatoria: perché e come si può trattare con i terroristi.

Per chi non volesse andarsi a rileggere l'articolo al link qui sopra, sintetizzo l'idea di fondo che è riconducibile ad una sola e semplice affermazione: se non si hanno l'intenzione o i mezzi per combattere militarmente il terrorismo, allora è inutile ignorarlo rinunciando in questo modo a qualsiasi forma di tutela dalle sue aggressioni e minacce, ma al contrario opportuno cercare un accordo con esso per provare ad orientarne le dinamiche di sviluppo.

Devo notare che il governo italiano con il trattato con la Giamahiria araba libica ha adottato una linea che sembra rispecchiare questa analisi.

Umberto De Giovannangeli ne l'Unità del 27 ottobre 2008 riporta alcuni passaggi di questo accordo, denominato «Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione tra la Repubblica Italiana e la Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista».

Dei 23 articoli il giornalista riporta solo stralci e quindi è troppo poco per un'analisi vera e propria, ma quanto si può leggere è sufficiente per qualche considerazione.

Recita l'Articolo 2, Capo I, dal titolo "Uguaglianza sovrana":

«Le Parti rispettano reciprocamente la loro uguaglianza sovrana, nonché tutti i diritti ad essa inerenti compreso, in particolare, il diritto alla libertà ed all'indipendenza politica. Esse rispettano altresì il diritto di ciascuna delle Parti di scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico, sociale, economico e culturale».

All'inizio dell'articolo 4. inoltre si legge:

«Le Parti si astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell'altra Parte, attenendosi allo spirito di buon vicinato».

Ovvero, come spiega il secondo capoverso dello stesso articolo 4:

«Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l'Italia non userà, né permetterà l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l'Italia»

Sulla base di queste poche informazioni è possibile tracciare come detto qualche considerazione: l'Italia abbandona a se stessi i riformatori moderati libici e non interverrà per sostenere tramite loro un'evoluzione verso la democrazia dell'attuale regime dittatoriale libico. Benché la Libia sia uscita da due anni dalla lista dei paesi che sostengono il terrorismo, compilata dall'amministrazione americana, è evidente che il governo italiano ha compiuto questo passo senza un preventivo accordo con essa e ha, forse inconsapevolmente, lanciato, con quanto si afferma nell'articolo 4, un segnale tanto verso gli alleati americani quanto, implicitamente, verso i terroristi.

Si tratta infatti di una discontinuità nei confronti della strategia americana di lotta al terrorismo che apre una vera e propria falla nella compattezza dello schieramento occidentale: che cosa potrebbe accadere se al Qaeda stabilisse delle basi nel deserto libico? o se anche solo un terrorista piantasse una tenda per nascondersi tra le dune di quello stesso deserto?

Gli americani hanno dichiarato e dimostrato che non pongono vincoli territoriali alla caccia ai terroristi, per i quali non vogliono che esistano santuari intoccabili.

In un caso come quelli citati in ipotesi, l'attacco militare americano potrebbe partire dal nostro suolo e l'Italia sarebbe automaticamente divisa tra l'accordo appena sottoscritto con la Libia e i più antichi vincoli di solidarietà atlantici.

Al contempo i terroristi, basandosi sulla lettera e lo spirito di questo trattato, potrebbero non solo considerare l'ipotesi di stabilirsi a Tripoli, ma soprattutto valutare il fatto che l'Italia per prima ha scambiato la sicurezza del proprio territorio contro una non ingerenza complessiva nelle decisioni di uno stato arabo e sul territorio di uno stato arabo.

Insomma: lo scambio "mercantile" ideato dal governo italiano con lo spirito cialtronesco di chi crede di aver venduto perline di vetro all'indigeno in cambio di diamanti, crea un problema non da poco, proprio perché non calcola, nella sua estemporanea e dilettantesca struttura, le ripercussioni generali che potrebbe provocare. E che forse un leader abile come Gheddafi potrà per primo sfruttare ai propri scopi.

Non si tratta, infatti, di una programmata testa di ponte occidentale o anche solo europea, dell'avanguardia di una strategia coordinata occidentale, ma della decisione unilaterale e improvvisata -- e non so fino a che punto legittima -- di uno stato che ha altri trattati, alleanze e strategie da rispettare.

Un interessante problema per la prossima amministrazione americana che, appena insediatasi, senza la necessaria esperienza e probabilmente distratta da altre questioni che non la politica estera di un alleato di terz'ordine come l'Italia, potrebbe essere portata a sottovalutare.