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IL TRISTE DESTINO DEL KINGMAKER

Richard Neville conte di Warwick, il Kingmaker (1428– 1471)

nicola zotti


Richard Neville, conte di Warwick, è passato alla storia come il “Kingmaker”: per lui fu coniato questo termine e del suo significato è e rimarrà il più completo interprete.

Kingmaker, però, è una di quelle parole “anguilla”, il cui senso vero sfugge, nelle frasi scivola via, andando a perdersi nei fondali più scuri della storia: e inevitabilmente, ai precisi contenuti che questa gli ha conferito, se ne sono sostituiti altri, residui galleggianti che invocano al non detto, senza in realtà voler dire nulla.

La semantica quotidiana le assegna, così, solo un mozzicone di senso: la suggestione di un potere capace di nominare “re”, e quindi, si sottintende, di condizionarli come marionette: il più sfacciato, celebrato e invidiato tra i poteri dei retrobottega della politica, l’argomento con il quale suggerire dietrologie e scenari machiavellici. Un potere che, oltretutto, viene esercitato invariabilmente rivendicandolo con compiacimento, a ulteriore dimostrazione di quanto disordine vi sia in giro.

Una definizione solo un po’ più attenta e meno superficiale, e già sufficientemente in contrasto con la precedente tanto da essere utile a qualcosa, è quella della politologia, che identifica il Kingmaker con un individuo che, pur non essendo un candidato “presentabile” alla carica più alta, è in grado di esercitare potere o influenza tali da contribuire in modo sostanziale a determinarne il prescelto, o ad essere in questo almeno strumentale.

A corollario di questa definizione, si pone quella della teoria dei giochi, per la quale in un confronto plurimo il Kingmaker è colui che sacrifica se stesso e le proprie risorse per determinare il vincitore: il Kingmaker è il giocatore che, scegliendo tra due avversari quello contro il quale immolarsi, lo indebolisce (o indebolisce se stesso) a tal punto da renderlo (o rendersi), inevitabilmente, facile vittima del terzo, ultimo e vincente sopravvissuto.

Ci sono delle sottigliezze nel ruolo e nel destino del Kingmaker che nessuna delle defininizioni che ho presentato riesce ad illustrare. E siccome siamo nel campo della politica degli uomini più che delle logiche, delle poltrone prima (molto prima) che delle idee, la personalizzazione non può che far parte integrante della definizione, e allora, per capire, personalizziamo fino in fondo, e risaliamo alla persona di Richard Neville e alle guerre delle rose di cui egli fu, per quasi metà del loro corso, un protagonista assoluto.

Richard Neville nacque il 22 novembre del 1428 da una famiglia di nobiltà relativamente recente, i cui avi, dopo aver guadagnato lustro nelle guerre contro gli scozzesi avevano ricevuto il titolo di conti di Westmorland. Da Ralph Neville, primo conte di Westmorland, nacque Richard Neville che non aveva diritto al titolo e divenne “jure uxoris” conte di Salisbury, ovvero sposò Alice Montacute, erede unica del titolo, e lo assunse tramite lei. In modo identico il suo omonimo figlio, il nostro Kingmaker, promesso sposo all’età di sei anni di Anne Beauchamp, figlia di Richard de Beauchamp, 13o conte di Warwick, e di Isabel Despenser, divenne nel 1449 per un complesso intreccio di successioni il 14o conte di Warwick, concentrando nella sua persona una parte sostanziale delle eredità delle famiglie Neville, Montacute, Beauchamp e Despenser. Così al titolo di conte di Salisbury sostituì quello più prestigioso di conte di Warwick, e con questo è ricordato ancora oggi.

Tanto Ralph che Richard Neville padre avevano avuto famiglie numerose con una ventina di figli il primo e una decina il secondo ed erano riusciti ad intrecciare il proprio sangue con le più importanti famiglie d’Inghilterra: ad esempio una zia di Warwick, Cecily Neville, sposando Richard Plantagenet, III duca di York, diventerà madre di ben due re, Edoardo IV e Riccardo III.

Warwick si trovò così non solo ad essere l’uomo più ricco d’Inghilterra dopo il re, ma anche uno dei più influenti, al centro tanto di un’estesa e solida rete di relazioni sociali e politiche interne, la cosiddetta “affinity”, quanto di rapporti autorevoli con le nazioni del continente.

Le relazioni di affinity, tipiche del periodo che gli inglesi definiscono spregiativamente “feudalesimo bastardo”, non erano più semplici dipendenze feudali, ma non erano ancora organizzazioni, diremmo oggi, “partitiche”: si erano configurate come fazioni basate su patti di scambio di servizi, dove il magnate, che aveva bisogno soprattutto di uomini d’arme e di denaro, li otteneva dalla piccola nobiltà locale, remunerandola con incarichi, tra quelli assegnatigli dal re o da quelli propri, e protezione in un mondo dove il concetto di giustizia si confondeva con quello di prepotenza. Portare l’insegna di Warwick, l’orso domato, era una bella assicurazione sulle proprie proprietà e sulla propria vita, almeno all’interno dei vasti confini dove egli esercitava il proprio potere.

Sulle affinity si regolavano, però, anche i rapporti di forza della politica, intrecciata saldamente con faide familiari di cui si era persa memoria dei motivi.

Una di esse, la faida tra i Neville e i Percy, famiglie i cui interessi gravitavano per entrambe nel nord dell’Inghilterra, fu una delle cause scatenanti le guerre delle rose, e se i Percy avevano trovato il favore del re Enrico VI, i Neville non potevano che schierarsi con il suo rivale Riccardo duca di York.

Alla battaglia di St. Albans, il 22 maggio 1455, la prima delle guerre delle rose, Warwick non poteva mancare e qui si guadagnò una notevole fama militare, per altro non molto fondata, ma che lo proiettò in modo ancora più prepotentemente alla ribalta politica.

La carriera politica di Warwick prese il volo fino a guadagnarsi, con le guerre e l’azione politica, il ruolo che gli valse l’appellativo col quale lo ricordiamo, e che però, come cercherò di spiegare, è assolutamente fuorviante.

Il primo autore a definire Warwick un “kingmaker”, seppure nella formulazione latina “regum creator”, fu John Mair nel 1521, mentre chi coniò la parola in inglese fu Samuel Daniel nel 1609. Al pensiero illuminista di David Hume nel Settecento va invece fatta risalire la popolarizzazione del termine.

In realtà si tratta di un vero e proprio equivoco, perché Warwick non creò affatto dei re, ma semmai partecipò e contribuì soltanto alla loro deposizione: prima di Enrico VI e quindi di Edoardo IV. E anche nel breve periodo di sei mesi tra l’inverno del 1470 e la primavera del 1471, in cui Warwick effetivamente riportò Enrico VI al trono e ne sorresse la gracile mente, detenendo il potere di fatto, non si può sostenere in senso politico che egli creò un re: nella contesa dinastica delle guerre delle rose, la legittimità a governare se la disputeranno esclusivamente le due famiglie reali, e Warwick, anche se avesse voluto, poteva solo schierarsi per l’una o per l’altra.

Per inciso in quei sei mesi Warwick prese la decisione che ne decretò la fine: riallacciò alleanza con la Francia e dichiarò addirittura guerra alla Borgogna, che si affrettò a sostenere Edoardo IV nel suo tentativo di riprendersi il trono.

Questa è la prima lezione per aspiranti “Kingmaker”: la scelta alla quale questi è vincolato è quella di schierarsi per qualcuno che è già re in pectore. Una volta scelto il partito, si può essere importanti e perfino decisivi, ma il re è sempre un’altra persona: lo stesso Edoardo IV si autoproclamò re, e non ebbe bisogno di chiedere il permesso a nessuno, "Kingmaker" compreso.

E questo concetto Warwick dopo la prima presa del potere da parte di Edoardo IV lo comprese molto bene col passare del tempo. Molto più interessato alla politica e al potere vero, che non alle elargizioni e agli incarichi roboanti ma privi di contenuto, di cui Edoardo IV fu per altro sempre generoso, Warwick entrò in conflitto con il nuovo re quando questi iniziò effettivamente a fare il re, a scegliersi una moglie, dei consiglieri (della famiglia della moglie), delle alleanze internazionali: ad allontanarlo da centro del potere e a prendere decisioni sui fatti decisivi della politica come fanno i "re".

Riuscì a detronizzare anche lui e a reinsediare Enrico VI, ma come ho anticipato fu un successo effimero, perché il triste destino del Kingmaker, al quale non può in alcun modo sfuggire, è che il re è sempre un altro.

Warwick morì a 42 anni, durante il suo ultimo tentativo di deporre un re, o meglio di deporre nuovamente Edoardo IV. Fu ucciso da un gruppo di comuni quando, sconfitto alla battaglia di Barnet il 14 aprile 1471, tentava di raggiungere il proprio cavallo per darsi alla fuga.