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QUANDO LA LUNGHEZZA CONTA

L'arco lungo

nicola zotti



Il merito principale della vittoria inglese ad Agincourt viene riconosciuto soprattutto agli arcieri inglesi e ai loro archi lunghi. Anche questa volta la mia consolidata difidenza nei confronti delle spiegazioni tecnologiciste avrebbe da protestare, eppure devo riconoscere che le frecce dell'arco lungo inglese ebbero il loro peso nel determinare l'esito di questa come di molte altre vittorie degli eserciti medioevali inglesi.

In realtà questa affermazione meriterebbe una digressione di quelle potenti, che probabilmente vi proporrò prima o poi, tanto la ritengo interessante (questione di gusti, lo ammetto), per parlarvi dell'uomo dal quale tutto è partito, ovvero Edoardo III, il più grande e completo genio militare della storia inglese (che pure qualcuno ne ha avuto).

Invece qui e ora vorrei parlarvi dell'arco lungo.

Che cos'è un arco lungo? Gli storici militari vi si sono accaniti, ma, tanto per confermare quanto siamo debitori al romanticismo per ciò che pensiamo di conoscere, il termine "longbow" si è diffuso a significare l'arco "tipico" degli inglesi solo nel tardo Ottocento.

Prima, e mi riferisco al XVI secolo, al massimo si parlava di long bow, staccando tra loro le parole e prima ancora non si faceva proprio differenza tra questo e gli altri archi "corti".

Il motivo è abbastanza semplice: in Occidente l'arco è da sempre di un solo e unico tipo.

È ricavato da un singolo asse di legno, preferibilmente, ma non esclusivamente, di legno di tasso, del quale qui a fianco vedete una sezione.
Caratteristica di questa pianta è quella di avere una parte esterna, quella più chiara, particolarmente elastica e capace di estensione, mentre quella interna più scura aveva un'ottima resistenza alla compressione, generando un effetto naturalmente perfetto per la meccanica dell'arco.
Il legno veniva diviso in lunghi spicchi integri e continui privi di fessurazioni spontanee e lasciato ad asciugare per uno o due anni.

legno di tasso
Intere foreste di tassi vennero distrutte per ricavarne il legno per fabbricare archi in tutta Europa, benché anche frassino, olmo e nocciolo fossero largamente utilizzati.

Concluso il periodo di maturazione, l'asse veniva lavorata da un artigiano specializzato che le conferiva una particolare sezione: tipica quella a "D" larga circa 5 centimetri e via via più sottile alle estremità, che venivano rinforzate con innesti di corno per fissarvi la corda, nella maggior parte dei casi fatta di canapa intrecciata, ma per i più esigenti anche di seta. Essa poi veniva agganciata solo nell'imminenza dell'utilizzo per evitare di sottoporre ad un inutile stress il legno.

Tutto qui, praticamente da sempre. Quello che a volte cambiava era la sua lunghezza, perché l'arco, come tutte le armi di un tempo, doveva adattarsi a chi la usava, in virtù del fatto che la sua forza motrice era la musculatura umana.

Vale la pena ricordare che il guerriero del Similaun (il famoso Ötzi morto nel 3.200 a.C.) è stato ritrovato con un arco di legno di Tasso lungo 182 cm (molto lungo per un uomo alto circa 160 cm), seppure, sembra, ancora non ultimato, e frecce di lunghezza media di 85 cm.

La cultura del vaso campaniforme (2100-1800 a.C. circa) in Sardegna, ci ha restituito (nel sito archeologico di Santa Vittoria-Nuraxinieddu) sepolture di guerrieri contenenti bracciali da arciere in pietra levigata, segno che quelle popolazioni nomadi provenienti dalla penisola Iberica possedevano archi potenti, forse anche lunghi.

Un arco lungo, quindi, non è un'invenzione particolare, avvenuta in uno specifico periodo storico, ma il naturale adattamento ad un uomo dell'arco più consono alla sua costituzione fisica: l'arco "corto" per un uomo è "lungo" per un altro e viceversa.

Non possiamo cioé che essere arbitrari nel definire l'"arco lungo", a meno che non si proceda in senso inverso, ovvero misurare gli archi inglesi più o meno contemporanei a quelli medioevali e definirli "longbow", per poi vedere quanti rientrano in questa categoria, come l'arco lungo in tasso di 2 metri e con trazione massima di circa 50 kg. che vedete qui sotto.

arco lungo inglese


Da questo punto di vista siamo stati fortunati, perché una trentina di anni fa fu rinvenuto un piccolo arsenale di "Longbow" sulla nave Mary Rose, affondata col suo carico nel 1545: 250 archi lunghi che misurano da un minimo di 187 cm ad un massimo di 211, con una media di 198. Gli studiosi contemporanei hanno abbassato il limite minimo per definire un longbow a 174 cm.

Entro queste dimensioni rientrano anche archi risalenti ai romani, ai vichinghi e a molti altri tra i quali uno datato 27 secoli prima di Cristo rinvenuto nel Somerset.

Al momento questo è l'unico indizio che l'arco lungo possa essere un'invenzione inglese. Certo non è una invenzione gallese, come si sente dire. I gallesi erano i peggio pagati tra i tiratori al servizio dei re inglesi: meno dei balestrieri mercenari e anche meno degli arcieri inglesi, cosa che vorrà pure dire qualcosa. A onor del vero andrebbe aggiunto che le cronache dell'invasione anglo-normanna dell'Irlanda (1169-70) raccontano che i normanni arruolarono il fior fiore della gioventù gallese (i 5/6 della spedizione) e che gli irlandesi subirono pesantemente gli effetti delle loro frecce.

Repliche di archi come quelli della Mary Rose hanno mostrato di resistere ad una trazione massima di 84 kg forza, con una media di una settantina: con frecce di mezzo etto questo portava a distanze di tiro massimo di circa 330 metri, mentre con frecce di un etto si potevano raggiungere i 250. Distanze vicine ai 370 metri sono ricordate (un arciere di Edoardo III) ma come eventi sportivi. L'addestramento, comunque, doveva avvenire contro un bersaglio, un panno disteso sul terreno o un bersaglio classico, posto ad almeno 200 metri: e questo al massimo doveva essere la distanza di tiro in battaglia, la cui efficacia, contro le corazze complete degli uomini d'arme era comunque minima. Era la quantità di frecce tirate, per puro calcolo delle probabilità, che poteva provocare qualche ferita su un punto scoperto dell'avversario, oltre che una percentuale un po' più alta di tiri da distanza ravvicinanta con frecce perforanti.

Finora, però, abbiamo parlato di "trazione massima", ovvero della trazione precedente la rottura dell'arco, un limite che non veniva mai raggiunto proprio per non danneggiare l'arma, e che comunque non corrispondeva alla trazione in combattimento.

Ai fini bellici la trazione da considerare era quella che massimizzava la distanza del tiro, contemporaneamente massimizzando la sicurezza dell'arma: ed era questa trazione a determinare la forza necessaria massima a usarlo.

La velocità della freccia era invece determinata da due altri fattori: la velocità elastica del mezzo e la quantità di spinta subita in virù di essa dalla freccia.

Erano questi fattori a determinare la lunghezza "ideale" della freccia, che non doveva essere più corta (né troppo più lunga) di questa distanza teorica.

Un calcolo tutt'altro che semplice, come si può intuire e che cambiava a seconda della lunghezza dell'arco.

Infatti, data una freccia di lunghezza fissa. vi apparirà chiaro che gli archi più lunghi richiedevano minore sforzo per essere portati in trazione per quella lunghezza, rispetto ad archi più corti.

Tuttavia questi immagazzinavano dalla maggiore trazione più energia elastica, e quindi tiravano più lontano, ovviamente al costo di più fatica.

Nei primi del '900 lo studioso inglese Saxton T. Pope fece degli esperimenti dimostrando queste caratteristiche non proprio intuitive del lavoro dell'arciere.

Prese una freccia di 70 cm e testò il risultato con 3 archi di lunghezza diversa, con i risultati riportati nella tabella qui sotto:
Lunghezza dell'arco trazione distanza di tiro
cm 195 23,6 kg 170 m
cm 184 28,1 kg 208 m
cm 163 31,7 kg 224 m

Sono risultati che influenzavano la tattica di impiego dell'arco lungo.

Il cronachista Jean Froissart (vissuto tra il 1337 e il 1405) definisce, a seconda dei manoscritti, "à manière d'un herce" o "deux hayes d'archiers devant yaux à manière d'un herce" la schiera degli arcieri inglesi alla battaglia di Crecy e la parola "herce" è all'origine della convinzione, condivisa tra gli altri da Charles Oman e da Alfred Burne, che gli arcieri inglesi formassero sul campo di battaglia una sorta di bastione a punta di freccia intercalato con gli uomiin d'arme.

In realtà un erpice (questo il significato della parola herce) può avere molte forme, un rettangolo, un trapezio e anche un triangolo, ma non è questa la sua particolarità. Un erpice è un attrezzo per lavorare la terra costituito da un pesante telaio sul quale sono fissate punte che "grattano" la terra mentre viene trainato per un campo. È un riferimento troppo particolare perché sia relativo alla sua forma (che è varia), per cui appare invece più probabile che Froissart volesse ricordare ai suoi lettori un qualcosa irto di punte, ovvero al fatto che gli arcieri usassero pali appuntiti per difendersi: come un erpice adagiato sul terreno con le sue punte rivolte verso l'alto.

La frase "deux hayes d'archiers devant yaux à manière d'un herce" (che Oman e Burne non considerano perché fanno riferimento ad un manoscritto dove la prima parte della frase è assente) va tradotta "due schiere di arcieri davanti a loro [riferito agli uomini d'arme] alla maniera di un erpice", che ci riporta al tipo di schieramento più comune che ricaviamo da altre cronache delle battaglie inglesi dell'epoca, ovvero agli arcieri schierati sulle ali della fanteria da mischia in posizione più avanzata e obliqua per incrociare il tiro.


schieramento arcieri inglesi

Con una trazione media come detto di 70 kg. forza da ripetere magari un centinaio di volte sul campo di battaglia al ritmo forsennato anche di 10 tiri al minuto, utilizzare un arco lungo non era impresa per tutti: non era sufficiente l'attitudine fisica, ma era necessario un allenamento costante e massacrante che doveva iniziare nell'infanzia e che aveva i suoi costi umani. Alcuni scheletri rinvenuti sulla Mary Rose sono stati identificati come appartenenti ad arcieri perché presentavano deformazioni della colonna vertebrale dovute allo sforzo ripetuto, oltre che a microfratture e calcificazioni alla spalla e al braccio sinistro che sopportavano (assieme alle dita indice medio e anulare della mano destra) tutto il peso della trazione.

Un'unità di "Longbowmen" era quindi un insieme di atleti alti, possenti e scoliotici, con un braccio sinistro ipertrofico e persistenti dolori alla schiena: e non guadagnavano certo quanto un tennista professionista dei giorni nostri.

Non può stupire il fatto che nonostante tutte le iniziative e le leggi dei sovrani inglesi (ad esempio abolire qualsiasi passatempo domenicale tranne il tiro con l'arco), ve ne fosse sempre una gran scarsità.

Un Longbowmen non si improvvisa: ne sanno qualcosa i francesi che provarono a dotarsene con il corpo dei "francs archiers" reali: creato nel 1448 probabilmente sul modello del corpo di arcieri del duca di Bretagna che era del 1425. Furono impiegati una sola volta alla battaglia di Guinegate del 1479, ma sbandarono senza tirare un colpo e furono aboliti 2 anni dopo.

Per fortuna dei francesi era iniziata l'era delle armi da fuoco.