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L'ERA DELLA CAVALLERIA

Bouvines, 27 luglio 1214

nicola zotti



situazione strategica Bouvines





La Storia (quella con la S maiuscola) a volte trova luoghi remoti e impensabili per prendere le proprie decisioni: il 27 luglio 1214 scelse Bouvines, uno sperduto villaggio nel Nord della Francia, oggi di 713 abitanti, allora ancora meno, per far compiere all'Europa una svolta drammatica, cambiando per sempre i destini della Francia, dell'Inghilterra e del Sacro Romano Impero.

La dinastia dei Capetingi, rappresentata in quei giorni da re Filippo Augusto, lottava da decenni contro i re Plantageneti, il ramo degli Angiò il cui impero si estendeva dai confini con la Scozia, nelle isole Britanniche, alla parte occidentale della Francia, dalla Manica ai Prirenei: principale oggetto del contendere proprio quei territori, che il re di Francia voleva riunire sotto la sua corona con qualsiasi mezzo: matrimoni, intrighi, tradimenti e, naturalmente, la guerra. Il pretesto era un complicato intreccio dinastico in base al quale il re d'Inghilterra era anche soggetto al re di Francia per via dei suoi feudi in questa terra. Avrebbe dovuto a lui una sottomissione che naturalmente si rifiutava di dare, cercando, al contrario, di minarne la legittimità e di conquistarne a sua volta i possedimenti e la corona stessa.

Riccardo I "Cuor di Leone" era andato vicino a ottenere questo risultato, ma la sua morte, nel 1199, per un dardo scoccato dalla balestra di un ragazzo durante l'assedio dell'insignificante castello di Châlus-Chabrol, riaccese le speranze di Filippo.

Il trono di Riccardo fu ereditato dal fratello Giovanni – detto "Senzaterra" perché il padre Enrico II nel suo testamento lo aveva escluso da qualsiasi proprietà – e il re di Francia ne mise alla prova la tempra riaccendendo il conflitto e arrivando, nel 1204-1205, a strappargli il ducato di Normandia e la contea d'Angiò.

Il colpo era durissimo, e Giovanni impegnò ogni sua risorsa per riconquistare i dominii perduti: senza le truppe di quei ricchi e popolosi territori, però, fu costretto ad affidarsi a dispendiosi mercenari, imponendo nuove tassazioni ai suoi baroni, già irritati dalla perdita dei loro redditizi feudi francesi.

I successi di Filippo Augusto avevano però guadagnato a Giovanni alleati molto potenti: suo nipote Ottone IV, imperatore di Germania, Rinaldo, il conte di Boulogne spodestato da Filippo, Ferrando, nuovo conte delle Fiandre, intenzionato a recuperare le terre che Filippo Augusto aveva sottratto al suo predecessore, ed Enrico, duca di Brabante.

Le ostilità iniziarono nel giugno del 1212, quando Giovanni strinse una formale alleanza con il conte Rinaldo e proclamò una leva di truppe feudali. Filippo Augusto rispose impadronendosi di tutte le navi inglesi che si trovavano nei porti sotto il suo controllo, subito ricambiato con la stessa moneta da Giovanni. Nell'aprile del 1213 Filippo Augusto pianificò un'invasione dell'Inghilterra che avrebbe dovuto essere guidata da suo figlio, il principe Luigi, futuro re Luigi VIII "il Leone". Sia Filippo Augusto che Giovanni avevano colto l'occasione di riavvicinarsi a Papa Innocenzo III, con il quale erano stati in contrasto. Ma Giovanni, con una brillante mossa politica, aveva assegnato come feudo al papa l'intera Inghilterra, riconoscendogli un tributo annuo di 1.000 sterline. La gratitudine di Innocenzo III si concretizzò informando Filippo Augusto che un'invasione dell'Inghilterra avrebbe comportato la sua immediata scomunica.

Fu però un'azione navale inglese, più che la paura della punizione papale, a sconvolgere per il momento i progetti di invasione francesi: Giovanni lanciò un improvviso attacco con 500 navi contro flotta francese riunita in porto presso Bruges, distruggendola.

Il re di Inghilterra aveva così assunto decisamente l'iniziativa. Durante l'Inverno del 1213, l'oro inglese permise a Ferrando delle Fiandre di riprendere il conflitto contro Filippo Augusto. Una guerra aspra e senza quartiere da una parte e dall'altra, tra assedi, campagne devastate, intere grandi città come Ypres date alle fiamme dai Francesi.

A complicare ulteriormente la situazione intervenne una guerra "privata" tra il vescovo di Liegi e Enrico duca di Brabante che, trovandosi in difficoltà, chiamò in aiuto il futuro cognato: niente meno che l'imperatore Ottone IV. La guerra infuriava in tutta la Francia Nord-orientale e i nemici di Filippo intravedevano la possibilità di fare causa comune, trovando infine un accordo per l'abile regia diplomatica (e le generosissime elargizioni) di Giovanni. Suo anche il piano strategico: il re di Inghilterra sarebbe sbarcato a La Rochelle per riconquistare il Poitou, mentre la coalizione guidata da Ottone nelle Fiandre avrebbe tenuto impegnati i Francesi. Quando Filippo avesse rivolto le sue forze contro Giovanni, Ottone avrebbe attaccato direttamente Parigi: preso tra due fuochi, Filippo sarebbe stato spacciato.

Così il 15 febbraio del 1214, Giovanni sbarcò sul suolo francese. L'invasione ebbe un successo immediato: molti suoi vassalli di un tempo, spaventati da assedi e devastazioni, riallacciarono con lui il legame feudale andando ad ingrossare le sue fila. Soprattutto, però, Filippo radunò il suo esercito a Chatellerault, nel Berry, per muovere contro di lui, lasciando così campo libero ad Ottone.

Non tutto comunque procedeva secondo i piani di Giovanni. Nel campo alleato, infatti, l'unità di comando era inesistente. Ottone era praticamente ospite dell'esercito fiammingo, che rappresentava la componente più numerosa della coalizione, mentre i cavalieri tedeschi e quelli inglesi al comando di Guglielmo Lungaspada, inviati da Giovanni, erano in minoranza.

In maggio Giovanni, dopo essere arrivato fino a Nantes, in Bretagna, per attirare il suo avversario sempre più lontano da Parigi, decise di portare la minaccia nell'Angiò, fermandosi il 18 giugno ad assediare la fortezza di la Roche-aux-Moine.

Filippo aveva abboccato all'amo teso dal suo avversario e ne seguiva con attenzione le mosse, ma giunto a Chinon il re prese la decisione che doveva cambiare il corso della guerra: divise le sue forze consegnando 800 cavalieri e qualche migliaio di fanti a suo figlio affinché liberasse la Roche-aux-Moine, mentre egli col resto delle truppe sarebbe ritornato nelle Fiandre per occuparsi della seconda e più pericolosa minaccia.

Il piano di Giovanni Senzaterra sembrava essersi realizzato: l'avversario si era diviso e contro di lui stava muovendo una frazione dell'esercito francese. Solo apparenza, perché in sostanza il castello di la Roche-aux-Moine, difeso dal siniscalco d'Angiò, Guillaume des Roches, non dava segni di cedimento mentre invece i feudatari che egli aveva costretto con la forza a rinnovargli la sottomissione, diventavano ogni giorno più nervosi all'avvicinarsi del figlio del re, fino a manifestare apertamente il proprio rifiuto a combattere contro di lui.

Il 2 luglio 1214 Giovanni fu così obbligato ad abbandonare in fretta e furia il castello (lasciando sul terreno tutte le sue macchine d'assedio) per ritornare a La Rochelle, prima che Luigi glielo impedisse.

Raggiunto dalla buona notizia, Filippo era adesso in condizione di occuparsi dei suoi altri rivali: la loro inerzia stava per finire, ma ormai gli aveva consentito di chiamare a raccolta a Peronne, nelle Fiandre, i fanti delle milizie feudali cittadine, recuperando così almeno in parte lo svantaggio numerico.

Filippo si spinse a Nord, alla ricerca dei suoi avversari, raggiungendo il 25 luglio la città di Tournai. Il giorno successivo il re venne informato che l'esercito alleato era invece più a sud, a Valenciennes, e da lì stava già muovendo per tagliargli la strada. Costretto a ritornare sui suoi passi per impedirlo, la mattina del 27 all'alba le sue truppe erano già in moto in una spasmodica corsa contro il tempo. Le armi dei fanti vennero trasportate su carri per procedere più velocemente e la delicatissima funzione di retroguardia affidata al più esperto tra i comandanti di Filippo, il cavaliere dell'ordine degli Ospitalieri Guerin de Senlis.

Il convoglio francese, però, non passò inosservato agli esploratori avversari, che prontamente lo comunicarono all'imperatore. Questi riunì un consiglio di guerra: difficilmente si sarebbe ripresentata un'occasione simile per sorprendere l'armata di Filippo.

Però era Domenica, il giorno consacrato al Signore in cui era vietato spargere sangue. Ottone era già stato scomunicato dal papa e non intendeva aggravare la sua posizione dando battaglia, ma prevalse l'opinione opposta sostenuta con vigore tra gli altri dal "re dei mercenari", Hugh de Boves, il quale ricordò che era un dovere nei confronti del loro "finanziatore", Giovanni, approfittare della situazione.

Filippo, infatti, era in una pericolosissima posizione: la colonna delle sue truppe si allungava per oltre 5 km. ed era ormai divisa in due tronconi dallo stretto ponte sul fiume Marque presso Bouvines. L'attacco nemico poteva distruggerne la coda mentre la testa sarebbe stata incapace di soccorrerla: la minaccia divenne concreta quando le sentinelle francesi avvisarono il re che gli Alleati erano vicini e in formazione di combattimento.

Filippo cercò di accelerare l'attraversamento del fiume per lasciarsi quell'ostacolo alle spalle, ma capì ben presto che non ne avrebbe avuto il tempo: il nemico era già addosso allo schermo di cavalleria predisposto da Guerin. Il re di Francia fu pronto allora a tentare il tutto per tutto: richiamò l'Orifiamma, lo stendardo di guerra della Francia, che si trovava in testa all'armata, affinché venisse portato in prima linea, e accettò lo scontro.

Secondo le stime più prudenziali, Filippo disponeva di circa 1.400 uomini di cavalleria e di 6.000 fanti, contro un numero più o meno uguale di cavalieri avversari e 7.500 fanti. Tra la cavalleria francese almeno la metà erano "sergenti", ovvero mercenari armati alla leggera, e il resto cavalieri di sangue blu ben protetti da corazze.

Indipendentemente dai numeri, però, quella che stava cominciando era la più grande e la più importante battaglia del Medioevo, destinata non solo a cambiare le sorti dell'Europa, ma anche a incidere profondamente sulla sua cultura e sul suo immaginario. Il fatto che si combattesse di Domenica, poi, ne accentuò il carattere già altamente simbolico di "giudizio di dio".

Investito dalla più completa fiducia del re, Guerin fu abilissimo nel gestire la retroguardia sostenendo da solo la prima fase dello scontro, consentendo al resto dell'esercito di schierarsi e facendo fallire il disegno degli Alleati. Dispose i suoi 150 sergenti a cavallo davanti ai cavalieri, a loro volta ordinati in un'unica lunga linea, e li lanciò per primi all'attacco

I cavalieri Fiamminghi disdegnarono questi avversari, e reputandoli indegni di una controcarica, li attesero da fermi. I sergenti vennero respinti ugualmente con perdite, ma l'effetto che Guerin voleva ottenere era stato raggiunto: le schiere avversarie erano più stanche e disordinate, una preda addomesticata per i suoi cavalieri. Guerin approfittò dei varchi nella formazione avversaria lanciando cariche mirate con singoli scaglioni dei vari feudatari sotto il suo comando: una tattica che da poco i Templari avevano codificato nei loro statuti e che Guerin adattava abilmente alle forze che aveva a disposizione.

Filippo aveva reagito con altrettanta prontezza mettendosi personalmente al comando del centro del suo schieramento: era quasi un secolo (dalla battaglia di Brémule del 20 agosto 1119) che un re francese non scendeva personalmente in combattimento, e in quella occasione era stato sconfitto. Incurante di questo infausto precedente, Filippo entrò nella mischia, utilizzando per la prima volta il "Fleur de Lys" come simbolo dell'unità della Francia in guerra: un'unità solida sotto una guida indiscussa e autorevole.

La sua vita fu in pericolo quando i fanti Fiamminghi lo disarcionarono, afferrandolo con appositi ganci adottati per la prima in quella occasione: fu salvato dall'armatura, capace di resistere ai colpi di daga, e quindi portato al sicuro dalla sua guardia personale, ma tornò immediatamente nel vivo della battaglia.

Anche Ottone era nel pieno dei combattimenti, ma quando il suo cavallo fu colpito, e vide la morte da vicino, decise di lasciare il campo, dove le cose volgevano ormai contro di lui.

Dopo 3 ore di durissimi combattimenti solo i picchieri Fiamminghi, raccolti in una formazione circolare, resistevano ancora: valorosi plebei, non avevano una vita che valesse il prezzo di un riscatto e vennero sterminati fino all'ultimo, dopo però aver dimostrato di che cosa poteva essere capace un fante determinato e ben addestrato quando era sulla difensiva armato di lunga lancia.

Per gli uomini del Medioevo Dio aveva pronunciato il suo inappellabile giudizio, il cui dettato avrebbe avuto conseguenze destinate a durare nel tempo. Giovanni, tornato in Inghilterra sconfitto e indebolito, vi trovò i Baroni in rivolta, pronti a costringerlo a firmare la Magna Charta. Ottone, riparato in Germania, perse la corona di Sacro Romano Imperatore a vantaggio di un alleato di Filippo, Federico II, il Puer Apuliae destinato ad avere tanto peso nella storia d'Italia e d'Europa. Infine fu decretata la nascita della Francia, dalla cui capitale Parigi i discendenti di Filippo Augusto regnarono per secoli.