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LA FORMAZIONE DELLA CULTURA MILITARE SOVIETICA – PARTE PRIMA

Lenin, von Clausewitz e la formazione della cultura militare sovietica


nicola zotti


Nel 1890 i Partiti socialisti europei riuniti nella II Internazionale avevano posto le fondamenta dell'espressione organizzata della solidarietà della classe operaia, confidando che avrebbe rappresentato un ostacolo insormontabile alla guerra pan-europea già all'orizzonte. L'internazionalismo dei partiti socialisti e la loro crescente presenza ed influenza nei Parlamenti, potevano scongiurare quella che Friedrich Engels stesso aveva preconizzato, in un articolo di tre anni prima, sarebbe stata "una guerra mondiale di un'estensione e di una violenza davvero finora impensabili", o altrimenti indirizzarla verso un esito rivoluzionario: "solo una cosa – proseguiva Engels – è assolutamente certa: lo sfinimento generale e lo stabilirsi delle condizioni per la vittoria finale della classe operaia".

Nel 1914, però, lo scoppio della Grande Guerra non risparmiò con i suoi effetti tellurici i partiti socialisti europei. L'internazionalismo evaporò, i singoli movimenti socialisti si divisero tra quanti sostenevano posizioni pacifiste e la natura antipopolare delle guerre, e chi, invece, abbracciò l'interventismo per spirito nazionalistico-patriottico o perché intravide, come Engels, l'opportunità di un esito rivoluzionario. Posizioni contraddittorie e incompatibili, che spaccavano anche la distinzione tra riformisti e massimalisti, ma tutte nel solco della tradizione socialista e marxista. Sia Engels che lo stesso Karl Marx, infatti, durante la guerra Franco-prussiana avevano auspicato una vittoria prussiana, secondo una logica nella quale l'appartenenza a un popolo prevaleva sull'internazionalismo del proletariato.

Anche in Russia il movimento socialista si divise. I socialdemocratici, nonostante la loro profonda avversione al regime zarista, si schierarono in favore dell'intervento in difesa della patria aggredita, mentre i bolscevichi guidati dal loro capo Vladimir Ilich Ulianov Lenin, espressero una feroce opposizione che venne immediatamente bollata dagli avversari come disfattista.
Nel suo esilio svizzero, però, al rivoluzionario di professione Lenin non potevano sfuggire le contraddizioni lancinanti emerse nel tessuto della teoria quando si era trovata ad affrontare un passaggio storico epocale come la guerra.
Lenin era consapevole che in termini marxiani una teoria corretta altro non è che la consapevolezza di una prassi rivolta al cambiamento del mondo, perché, come sintetizzò lo stesso Marx nell'undicesima tesi su Feuerbach, "I filosofi finora hanno solo interpretato il mondo in vari modi: il punto, però, è di cambiarlo".

Per ritrovare una prassi che "cambiasse il mondo", Lenin riconobbe la necessità di affrontare tre compiti, di cui i primi due immediati e il terzo rinviato a un futuro che non poteva sapere quanto fosse prossimo: a) ricondurre e risolvere all'interno dell'ideologia marxista le contraddizioni che erano emerse a causa della guerra, b) acquisire con questo approfondimento gli strumenti per prevedere e inserirsi con effetto decisivo nel corso e nell'esito del conflitto stesso, e infine, se i primi due punti avessero avuto la conclusione a cui aveva dedicato tutto se stesso, c) predisporre almeno in linea di principio le idee guida per una forza militare e una cultura strategica rivoluzionaria e genuinamente bolscevica.

Si trattava sostanzialmente di due percorsi analitici diversi: il primo filosofico, mentre il secondo investiva potentemente la "prassi" rivoluzionaria. Di fatto, però, coincisero, riunendosi in un unico sistema che diede a Lenin le risposte che cercava. Il rivoluzionario russo si rivolse a Hegel e alla sua "Logica", arrivando alla conclusione che Marx poteva essere compreso solo alla luce della dialettica hegeliana, spostando il baricentro del "materialismo dialettico", dal primo al secondo termine.
Così, quando si avviò allo studio della prassi militare, questa "full immersion" nella logica hegeliana, provocò a Lenin una vera e propria fascinazione – non sappiamo come altrimenti definirla – per il pensiero di Carl von Clausewitz.
Il bagaglio ideologico relativo alle questioni militari con il quale Lenin – e la Sinistra europea – si affacciò alla Grande Guerra consisteva in un profondo e generalizzato sentimento anti-militarista. I militari erano individuati come il servile braccio armato degli interessi del potere costituito e del Capitale, e la sua élite, anche intellettuale, non poteva che esprimerne l'ideologia.

Tuttavia, quando Lenin volle esplorare il pensiero strategico, rivolgersi a von Clausewitz e al "Della Guerra" fu tanto inevitabile, quanto per lui illuminante. Prima che dalle idee del militare prussiano, fu infatti colpito dal suo metodo analitico, che riconobbe come hegeliano. Anche se consapevole della pervasiva influenza della filosofia di Kant sul giovane von Clausewitz – kantiana è infatti la terminologia concettuale usata nel Della Guerra – Lenin trovò funzionale ai propri scopi privilegiare e enfatizzare il rapporto filosofico e storico con Hegel. Una forzatura secondo Benedetto Croce, perché, come ha osservato Peter Paret nel saggio introduttivo della sua traduzione inglese del Vom Kriege, Hegel ha piuttosto messo a disposizione di von Clausewitz "un atteggiamento fondamentale e gli strumenti intellettuali per esprimerlo". Von Clausewitz impiegò la dialettica come metodo per sviluppare il proprio pensiero: un'esposizione degli opposti definita e comparata non solo e non tanto in modo che ogni singola parte venisse meglio compresa, ma anche se non soprattutto per far sì che i nessi dinamici che collegano tra loro gli elementi della guerra potessero essere esaminati in uno stato di interazione permanente.

La prima citazione di von Clausewitz che incontriamo negli scritti di Lenin compare ne "Il collasso della Seconda Internazionale", del giugno 1915:

«Applicata alla guerra, la tesi di fondo della dialettica [...] è che "la guerra è semplicemente la continuazione della politica con altri mezzi (e precisamente violenti)". Questa la formulazione di Clausewitz, uno dei più grandi autori su questioni di storia militare, le cui idee furono originate da Hegel. E queste idee furono sempre il punto di vista di Marx e Engels, che videro 'ogni guerra' come la continuazione della politica di ogni potere investito di interessi e delle differenti classi al loro interno, in una determinata epoca».

Lenin è il primo a cogliere un aspetto essenziale del pensiero di von Clausewitz, estremamente gravido di conseguenze: la relazione tra guerra e politica individuato dal pensatore prussiano trascende infatti un'interpretazione restrittiva applicabile solo agli Stati, ma può essere estesa a qualsiasi comunità politica. Se la guerra è il "vero camaleonte" descritto da von Clausewitz, ovunque una comunità politica individui se stessa, potrà esprimere una 'forma guerra' di natura propria e congeniale. La lettura del 'Vom Kriege' chiariva a Lenin che per la prima volta nella teoria militare era stato negato l'eterno e il permanente, aprendo la strada alla possibilità di impegnarsi a esaminare il fenomeno della guerra nelle sue interdipendenze e interconnessioni, nei suoi movimenti e sviluppi per riuscire a postularne leggi, principi e prassi originali. La 'guerra socialista' – come si legge ne "Il socialismo e la guerra" (1915) – era ormai disponibile:

« [Noi bolscevichi] comprendiamo l'inevitabile legame delle guerre con la lotta delle classi nell'interno di ogni paese, comprendiamo l'impossibilità di distruggere le guerre senza distruggere le classi ed edificare il socialismo, come pure in quanto riconosciamo pienamente la legittimità, il carattere progressivo e la necessità delle guerre civili, cioè delle guerre della classe oppressa contro quella che opprime, degli schiavi contro i padroni di schiavi, dei servi della gleba contro i proprietari fondiari, degli operai salariati contro la borghesia».

La Rivoluzione di Febbraio, con la sua spontaneità, sorprese Lenin come chiunque altro in Russia e altrove. Tuttavia, pronto a mettere in pratica la sua versione clausewitziana e militarizzata del marxismo, più rapidamente e meglio di altri Lenin giunse alla conclusione che la rivoluzione non poteva essere compresa fuori dal contesto della guerra, ed era convinto che i bolscevichi e la classe operaia potessero e dovessero portarla a conclusione, trasformandola nella leva per la conquista del potere.
Il successo della Rivoluzione di Ottobre aprì, infatti, ai bolscevichi il potere e il governo, ma anche i problemi: giustificare una pace umiliante, definire e costruire una Forza Armata 'socialista', renderla efficiente, farle vincere la guerra civile che da lì a poco sarebbe scoppiata.

Non erano compiti da poco, ma anche in questa fase della sua storia politica, Lenin ricorse al "vecchio Clausewitz" usandolo come un maglio contro gli 'infantilisti di sinistra' che volevano continuare a combattere contro la Germania ricorrendo alla guerriglia, che non concepivano altro esercito che non fosse di popolo, guidato democraticamente da comitati rivoluzionari, senza gerarchie e senza ufficiali provenienti dal vecchio regime.

Queste idee erano però tanto radicate e diffuse nei rivoluzionari russi quanto lontane dai progetti di Lenin. Un'organizzazione strutturata ed efficiente come quella bolscevica, incentrata su rivoluzionari di professione, non poteva che esprimere una Forza Armata altrettanto strutturata, efficiente e professionale: prosecuzione e incarnazione di una cultura politica, di cui doveva essere strumento. Tutti i nodi vennero sciolti, compreso l'inquadramento dei tanto disprezzati ex-ufficiali zaristi: considerando che la maggioranza e i migliori si erano schierati con i "Bianchi" controrivoluzionari, è un buon metro per valutare la determinazione inflessibile, la chiarezza di obiettivi, l'indisponibilità a pur minimi compromessi di Lenin e del suo principale collaboratore in nell'edificazione dell'Armata Rossa, Lev Davidovic Bronstejn Trotski.

La costituzione del corpo dei commissari politici è forse l'aspetto più noto di questo processo, ma non è il più importante e significativo. Fu infatti nella gestione della Guerra Civile che l'Armata Rossa mostrò l'ampiezza del proprio collegamento con la politica, nella più 'assoluta' interpretazione del dettato clausewitziano, che divenne una solida tradizione del pensiero strategico sovietico nei decenni a venire ed è rintracciabile anche nella cultura delle Forze Armate della Russia contemporanea. Esemplare la repressione della rivolta dei "Basmachi" (uomini liberi, briganti), insorti di religione mussulmana che perseguivano l'indipendenza del Turkestan. Per rispondere al dilagare della rivolta e al pericolo di una secessione, nel 1919 Lenin creò la Turkkommissiya, la Commissione per gli Affari del Turkestan, incaricata di tradurre in "prassi" il marxismo-leninismo militarizzato, nel quale la guerra forniva alla politica il più ampio ventaglio di strumenti "violenti", senza sostituirsi ad essa, ma anzi come sua estensione, espressione e realizzazione. Provocazioni e operazioni sotto copertura che gettassero discredito sugli avversari, cooptazione di locali che agivano contro i loro stessi correligionari e conterranei, operazioni "convenzionali", iniziative politiche di acquisizione del consenso e di irreggimentazione dei comunisti locali, tutte sotto il comando e il coordinamento unificato della Turkkommissiya, portarono alla sconfitta dei Basmachi e rappresentarono un esempio modello destinato ad essere ripetuto negli anni.


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