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SAVOIA CAVALLERIA IN RUSSIA

Storia di Savoia Cavalleria durante la campagna di Russia


nicola zotti


"Savoye, bonnes nouvelles"

motto di "Savoia" cavalleria.


Savoia Cavalleria: Ufficiale e trombettiere

Savoia e la campagna di Russia

Il Savoia cavalleria (o più semplicemente "Savoia", senza articolo, come usavano gli appartenenti al reggimento) è una tra le unità più note dell'Esercito italiano della Seconda guerra mondiale.

Deve indubbiamente la sua fama alla carica di Isbuscenskij, ricordata come l'ultima grande carica di cavalleria.

Questo evento, però, se ha avuto il merito di consegnare alla storia la tradizione della cavalleria italiana, ne ha anche dipinto un quadro solo parziale.

L'immagine romantica, epica ma anche decadentemente anacronistica di Savoia cavalleria associata a quell'episodio, nasconde una realtà molto più complessa militarmente.

Forse i cavalieri italiani erano rimasti gli unici a caricare con la sciabola ma sapevano fare molto più di quello.

"Savoia", assieme ai Lancieri di Novara, dapprima nella Divisione Celere e successivamente come gruppo autonomo, venne costantemente impiegato per tutta la durata della campagna: dall'esordio nel '41 alla ritirata dell'inverno del '43.

Per 16 mesi ininterrotti svolse compiti impegnativi di riserva mobile, tenendo il passo dei corazzati tedeschi in lunghe ed estenuanti marce; di avanguardia, aprendo la strada in numerose offensive; di controllo del territorio, con aspri scontri con i cosacchi e con i partigiani; di protezione dei fianchi scoperti di grandi unità, circostanza comune negli immensi spazi russi; e persino di difesa di punti strategici quando la situazione lo richiese.

Sorprendentemente, si rivelò di particolare efficacia proprio nelle nevi dell'inverno russo. Quando i mezzi meccanici si inceppavano per il freddo o la benzina veniva a mancare, uomini e animali soffrivano terribilmente ma riuscivano comunque a compiere il proprio dovere, pagando il prezzo del proprio sacrificio.

I russi, preparati a questa evenienza, disponevano infatti di numerosissime unità di cavalleria, in larga parte di cosacchi, e anche le truppe di fanteria spesso si muovevano a cavallo, provocando lo stupore della ricognizione tedesca alla quale sembrava di assistere alla migrazione di un'orda mongola.

Gli stessi tedeschi avevano ai propri ordini alcune unità di cavalleria, ai quali si aggiunsero nel corso del conflitto le unità dei volontari cosacchi.

La cavalleria, quindi, si guadagnò di fatto un ruolo operativamente significativo nella campagna di Russia: e alle unità come Savoia cavalleria va soprattutto il merito di essersi sapute ambientare in uno scenario così ostile e così diverso da quello di origine, senza perdere di capacità combattiva.

Per l'Italia non era dunque strabiliante avere due reggimenti di cavalleria in Russia, ma semmai di non averne a sufficienza di corazzati, di meccanizzati o anche semplicemente di autotrasportati o con indumenti invernali: ma questa è un'altra storia.

Le cariche alla sciabola rappresentavano l'aspetto più sintomatico ed evidente di una cultura militare profonda, che affondava le sue radici in un passato preunitario, addirittura cavalleresco.

Se gli appartenenti alla guardia britannica vengono celebrati perché giunsero in Inghilterra da Dunkirk con i pantaloni stirati alla perfezione, la nostra cavalleria aveva almeno un altrettanto radicato culto della forma, che si trasformava sul campo di battaglia in un formidabile orgoglio di corpo.

Può aiutare a capire la singolarità della cultura militare equestre consolidata nel Savoia, la testimonianza di mio padre: ufficiale degli alpini (nella "invitta" divisione Julia) durante la Seconda Guerra Mondiale, condivise anni di prigionia siberiana con ufficiali di cavalleria.

Gli alpini, notoriamente, sono gente dura -- come dovettero ammettere i tedeschi e constatare i russi -- che non fa sconti: eppure mio padre raccontava con sincera ammirazione di questi ufficiali che invariabilmente ogni mattina si facevano la barba, compito che svolgevano ovviamente con mezzi di fortuna, ma con grande meticolosità. Tale il loro orgoglio ed il rispetto di sé, da non poter ammettere che un "semplice" campo di concentramento potesse insinuare in loro la benché minima forma di sciatteria.

Quegli ufficiali erano il risultato di una profonda tradizione: diversa non solo e non tanto da quella degli "irsuti" alpini italiani, ma anche unica rispetto alle unità di cavalleria superstiti delle altre nazioni belligeranti.



Savoia Cavalleria: linea in carica

Lo squadrone fantasma

Nel novembre del '41, il capitano Dario Manusardi, bergamasco, era da poco rientrato in Savoia, dopo un periodo di malattia, riprendendo il comando di uno squadrone. Avendo frequentato la scuola di guerra, i suoi superiori avrebbero preferito averlo con sé, ma Manusardi era stato irremovibile: voleva il fronte.

E il fronte ottenne dai suoi superiori, che non gli risparmiarono i rimproveri ricordandogli che "Lo stato spende denari in questa scuola perché chi è passato di qui vada a portare il suo bagaglio di esperienze presso i comandi, non perché vada a farsi ammazzare alla testa di una compagnia al primo assalto".

Ma Manusardi non cambiò idea e ventiquattro ore dopo aver riottenuto il comando sul campo gli fu assegnata una missione speciale e particolarmente difficile.

Il comandante dello CSIR (Corpo di spedizione italiano in Russia), Messe, era preoccupato per un enorme varco che era rimasto aperto tra le divisioni "Celere" e "Torino".

Data la scarsità delle forze disponibili, non c'era altra possibilità che affidare ad un contingente di cavalleria il difficile compito di tenere i collegamenti tra le due grandi unità, pattugliando il territorio e svolgendo contemporaneamente attività esplorativa e di saggio dello schieramento avversario. Venne così costituito lo squadrone di formazione "Savoia" al comando di Manusardi.

La neve era già caduta, il termometro aveva già raggiunto gli zero gradi (per precipitare velocemente verso i -30), le carte disponibili erano lacunose, le fattorie dove cercare il nemico o trovare riparo distanti chilometri l'una dall'altra.

Per più di un mese, Manusardi e suoi operarono in queste condizioni tremende, portando a termine con successo il proprio compito e guadagnandosi l'appellativo di "squadrone fantasma". Le parti tra italiani e cosacchi si invertirono: furono questi ultimi a dover temere le incursioni della nostra cavalleria, a non poter dormire tranquilli persino nelle più sperdute isbe delle retrovie, e dovettero intraprendere, senza successo, massicce azioni di contenimento.

Manusardi venne promosso maggiore, ma era destinato ad un altro appuntamento. Il giorno di Isbuscenskij prese in "prestito" (letteralmente rubò) il cavallo del proprio generale (il suo era stato ucciso due giorni prima durante un altro scontro) e partecipò alla carica del suo originario 2o squadrone, guidandolo in prima persona quando il capitano De Leone, il nuovo comandante, venne appiedato. Il capitano De Leone pur privo del cavallo «continuò a combattere eroicamente e non morì in quella occasione -- come da me erroneamente riportato, fino a questa opportuna correzione della figlia, Gioia –– ma anni dopo, purtroppo ancora giovane all'eta' di 45 anni».


L'organico dello "Squadrone fantasma"

Organico dello squadrone di formazione "Savoia"

Comandante: capitano Dario Manusardi

Plotone comando:
1 maresciallo (su autocarro)
2 portaordini
1 attendente (sul carretto dei maniscalchi)
1 trombettiere
1 allevatore maniscalco
2 maniscalchi (1 carretto)
3 addetti alla sanità
3 cucinieri (due carretti)
1 autista (autocarro)
6 carretti di rifornimento
Radiotelegrafisti:
1 sergente
3 radiotelegrafisti
(le radio sono trasportate su due cavalli aggiuntivi)

2 plotoni ciascuno composto da:
1 comandante (tenente per il primo e sottotenente per il secondo)
1 attendente
1 trombettiere

3 squadre, ciascuna composta da:
1 caposquadra
1 capoarma
1 porta arma
1 porta rifornimenti
6 cavalieri (la III squadra del 2o plotone ha 5 cavalieri)

1 plotone mitraglieri composto da:
1 comandante (sottotenente)
1 attendente
1 caposquadra
1 portarma
1 portatreppiedi
2 porta rifornimenti
3 conducenti porta arma con due cavalli ciascuno

2 squadre composte da:
1 caposquadra
1 capo arma
1 porta arma
1 porta rifornimenti
3 cavalieri (4 nella II squadra)

in totale: 4 ufficiali, 20 sottufficiali, 92 cavalieri, 136 cavalli (compresi quelli da trasporto e i basti), 9 carretti, 1 autocarro.


Nota: Venne in un secondo tempo aggregata una compagnia di cannoni anticarro 47/32, che Manusardi non gradì perché provocava un appesantimento alla mobilità dello squadrone (i cannoni dovevano essere spostati a mano) e venne tenuta di postazione fissa in una città occupata. I cannoni da 47/32 avevano oltretutto un'efficacia assolutamente risibile contro le corazze dei carri russi.


Nelle foto: soldatini della collezione Seconda guerra mondiale di Strategia e Tattica, scolpite da Francesco Marchesini. Ringrazio Luca Onesti e Giuseppe Gennaro.