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TECNOLOGIA O STORIA?

Dissipare la nebbia

nicola zotti

"Lifting the Fog of War": così l'ammiraglio William A. "Bill" Owens ha intitolato il libro nel quale sintetizza la propria opinione sugli obiettivi raggiungibili nell'immediato futuro dalla tecnologia bellica.

Avendo trascorso la maggior parte della sua carriera sui sommergibili, non ho dubbi che l'ammiraglio Owens sia un esperto in questo campo e che creda profondamente alla propria profezia, per altro ribadita in numerose occasioni da quando, una decina di anni fa, fu prima vicedirettore del Joint Chiefs of Staff statunitense (amministrazione Clinton) e poi, da congedato, consigliere di Dick Cheney (amministrazione Bush).

Secondo Owens la tecnologia solleverà una volta per tutte la nebbia della guerra non solo sul campo di battaglia, ma persino in politica internazionale, consentendo agli Stati Uniti, in esclusiva, di giocare a carte coperte, mentre tutti gli altri attori avranno praticamente in mano carte trasparenti. Uno dei concetti di fondo della teoria di von Clausewitz della guerra, uno dei pochi accettati anche dai suoi più spietati critici, verrebbe di fatto a scomparire.

Il sistema di comando sul quale si baserà la "Future Force" americana nasce appunto da uomini come Owens, certamente visionari e molto preparati nei campi del progresso tecnologico: un nutrito e oggi prevalente gruppo di persone che sostengono che la prossima rivoluzione militare sarà trainata dalla tecnologia.

Tuttavia questo genere di strategie permeate da ottimismo tecnocratico mi procura qualche perplessità.

Il pericolo insito nella convinzione che la tecnologia possa offrire agli Stati Uniti un dominio pressoché assoluto tanto sul campo di battaglia quanto in politica estera non è nella tecnologia stessa, che potrà effettivamente fornire un margine di vantaggio sostanziale sui futuri avversari.

Ciò che è pericoloso in una visione tecnocratica è rappresentato da tre aspetti non trascurabili: 1) che è totalmente disconnessa da quanto gli altri possono pensare, volere o fare, 2) che parte dalla convinzione che la superiorità tecnologica sia immune da cortocircuiti, da frizioni e da ambiguità e, infine, 3) che si concentra esclusivamente sugli aspetti informativi e quantificabili della guerra, ignorando quelli interni e immateriali.

Culture, credi religiosi, storie e politiche non sono digitalizzabili e sfuggono alle analisi quantitative, così pure non quantificabili né ignorabili sono i motivi per cui si fa una guerra: non è una trasparenza "pre crisi" che può garantire la positiva gestione della crisi stessa, che rimane politica e quindi "umana", in tutti i suoi innumerevoli anelli concatenati.

A me pare che nessuna rivoluzione militare sia stata in prima istanza tecnologica, ma sia stata soprattutto concettuale, dottrinale e intellettuale, e quindi semmai necessiti, per essere realizzata, di persone in grado di pensare con la loro testa, culturalmente preparate, e fornite di un inesauribile intuito strategico.

Insomma, personalmente farei studiare ai cadetti la storia, piuttosto che l'informatica, convinto come sono che sia l'unico modo non per dissipare la nebbia della guerra -- che anzi la tecnologia contribuisce a rendere ancora più caotica -- ma per riuscire ad adattarcisi.