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LA MANIA DELLE CLASSIFICHE

Come si giudica un comandante

Nicola Zotti

Come si giudica un generale? La mania delle classifiche non ha risparmiato, né avrebbe potuto, i comandanti militari, con minestroni di nomi e i giudizi più disparati.

Tra i parametri presi in esame soprattutto "tattica" e "strategia", o, come segnalatomi da un lettore, quello della rilevanza storica, intesa, mi pare di capire, come risonanza nel corso dei secoli.

Le altre due variabili prese in esame, tattica e strategia, sembrano in apparenza più comprensibili, perché fanno riferimento a concetti che si considerano assodati. In realtà, quando il confronto viene fatto su epoche differenti delimitate da un intervallo temporale di almeno un paio di millenni, considererei saggio calibrare la valutazione delle varie personalità con qualche contrappeso che tenga conto delle condizioni nelle quali si trovavano ad esplicare le proprie abilità tattiche e strategiche.

Ma tant'è, si tratterebbe solo di un palliativo, perché, come cercherò di spiegare tra poco, non sono quelli i metri su cui si deve basare la valutazione di un comandante militare.

Partiamo dal principio. La guerra è l'impiego da parte di una comunità delle proprie risorse militari per l'ottenimento di un obiettivo politico. Avviene che due entità politiche collettive si trovino ad avere obiettivi inconciliabili e irriconducibili ad una soluzione di compromesso. A volte questa inconciliabilità è radicale, tanto da significare la scomparsa dalla storia di uno dei duo soggetti in conflitto, in altre non si arriva a tanto, ma in ogni caso la motivazione politica della guerra è qualche cosa in più che la distingue dalla pura strage.

In questo contesto, il ruolo di un generale è quello di impiegare le risorse e le forze militari a sua disposizione assecondando la politica della propria comunità. In un'analisi militare, dunque, il punto critico che dobbiamo esaminare è se e in che misura un comandante in capo ha condotto una guerra contribuendo al raggiungimento degli obiettivi politici della comunità a cui appartiene.

Qualsiasi altro metro di valutazione può avere rilevanza per la storia dell'arte militare o per l'evoluzione del pensiero strategico, per il contributo che la personalità che esaminiamo ha dato a questo o a quello, ma non nella prospettiva di un giudizio sulle qualità militari che egli ha espresso.

Così come non giudicheremmo un chirurgo da quanto sono visibili le cicatrici che lascia, o dalla sua abilità nel tagliare un osso con un colpo solo di bisturi, allo stesso modo è improprio giudicare un generale per la sua abilità tattica o strategica.

Nella relazione tra obiettivi politici e contributo militare alla loro realizzazione, quindi, possiamo esercitare il nostro senso critico, considerando quanto abbia inciso il secondo a vantaggio dei primi. Naturalmente non tutti gli obiettivi politci sono uguali tra loro: alcuni sono di più difficile attuazione e rappresentano una sfida di alto livello, altri sono addirittura considerati, a posteriori, si spera, una "causa persa" e meritano un esame particolare.

C'è poi da valutare la questione intrinseca del comando e delle risorse che la comunità mette a sua disposizione: la commisurazione tra mezzi e scopi è lasciata ad una valutazione politica e quanto più il comando militare e il potere politico coincidono, tanto più è realistico aspettarsi generosità nel loro impiego.

Una generosità sulla quale non tutti i comandanti hanno potuto contare, e solo i migliori hanno saputo fare le nozze con i fichi secchi.