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COME CERCHIAMO DI RIPRENDERCI LE COLONIE

Il neoimperialismo europeo

nicola zotti

Chiamiamolo destino, chiamiamola vocazione.

Gli unici veri imperialisti e colonalisti della storia del Mondo siamo stati noi europei.

Oggi in crisi, domani forse no, se, come mi sembra, per risolverla riscopriremo questa vocazione e questo destino.


Jacques Chirac


Premetto che considero imperialismo e colonianismo anacronistici: lo spiegherò sicuramente in un'altra occasione, ma sono categorie politiche che non esistono più.

Ciononostante sono convinto che l'Europa sia avviata a riportarle in attività di servizio.

L'Europa a 25 è una bella massa di contraddizioni politiche e sociali, come dimostrano le prime elezioni che hanno coinvolto gli stati dell'ex patto di Varsavia.

Contraddizioni che, come spesso accade, sono tali solo in apparenza, perché poi un modo per far quadrare il tutto si trova sempre: o meglio è già pronto.

L'Europa oggi è una piramide, una di quelle società per azioni governata da un'infima quota di controllo, un impero carolingio nel quale l'aristocrazia di poche tribù governa un territorio e una popolazione ben più vasta della propria.

Praticamente tutte le nazioni dell'Europa a 25 hanno fatto questo passaggio storico: dal Portogallo ad occidente fino alla Polonia ad oriente, tutte hanno avuto il proprio impero e il proprio momento di gloria, se non addirittura di primato, nel Mondo. E se domani anche la Turchia sarà integrata in Europa, cosa che l'intreccio della storia sua con quella del resto del continente legittima, non le sarà estranea neppure questa qualità "europea".

Quelle contraddizioni sono strumenti, come lo erano 400 anni fa, sono il lievito di una politica: è necessario che esistano perché sono la premessa del dinamismo vitale che portò gli europei a conquistare ogni remoto angolo del pianeta.

Masse frementi che cercano promozione e riscatto sociale al servizio dei disegni di potenza di un'elite.

Certo qualche passo preparatorio va compiuto: e a questo si sta pensando.

Innanzitutto va ricordato che non siamo la colonia di qualcun altro, ad esempio degli Stati Uniti, perché nulla nuoce più di questo all'affermazione di orgoglio nazionale che nutre e giustifica la prepotenza imperialista.

Da destra a sinistra, chi dichiara "amicizia" verso gli Stati Uniti sa di essere demolito dall'accusa di esserne servo sciocco.

Politicamente paga un atteggiamento critico, se è possibile con venature di supponenza verso le goffaggini e le "americanate": da Romano Prodi, stile zio bonario e preoccupato che ti bastona per il tuo bene, a Jacques Chirac, stile preside burbero ed infastidito che ti raddrizzerà anche a costo di mandarti in galera.

In secondo luogo, un impero non può accettare il libero mercato. Anzi è la migliore risposta agli incubi dell'economia globalizzata, troppo difficili da risolvere con la ricerca, con la rifondazione dello stato sociale o con la ridislocazione degli investimenti e degli impieghi finanziari.

Di fatto, da destra a sinistra, già oggi si percorre ogni possibile e praticabile strada protezionistica in campo economico, culturale, sociale contro un'invasione che non è né coloniale né imperalistica ma di mercato aperto.

Proprio come i leader no-global che difendono l'agricoltura nostrana dall'invasione dei prodotti del Terzo Mondo e si battono per dazi e sussidi che annullino i differenziali dei prezzi. O come gli industriali che faticano a stare dietro ai prezzi dei prodotti cinesi e che qualche misura analoga la vedrebbero con soddisfazione.

Abbiamo bisogno di altri mari in cui pescare e che gli altri non peschino nel nostro. E mai, dal dopoguerra ad oggi, l'Europa ha conosciuto tanta voglia di mostrare la propria indipendenza e il proprio protagonismo nella delimitazione degli spazi di pesca...

Prossimo passo: l'esercito europeo.

Negli anni della guerra fredda non si poteva fare, adesso invece si deve. Ci sono gli antiquati arsenali dell'Europa dell'est da ammodernare, elicotteri francesi e carri armati tedeschi da produrre, polacchi e tedeschi dell'est (e domani bulgari e rumeni) da vestire con nuove uniformi.

Non sarà la Legione straniera, ma le assomiglierà: credo si avvicinerà più alla Compagnia delle Indie: un esercito in outsourcing, fuori dal controllo delle singole nazioni, ma che verrà messo al servizio degli interessi dell'aristocrazia che governa l'Europa, un esercito nel quale l'Italia avrà un ruolo di primo piano.

Una scusa umanitaria (che in effetti in Africa non mancano) e insegneremo agli americani come si gestiscono le crisi estere.

Dovrebbero bastare un paio di interventi, al massimo tre, con l'antica, collaudata formula del protettorato: gli Stati Uniti inizieranno a sentirsi minacciati, India, Cina e Russia a temerci: cominceranno col blandirci, ma finiranno a minacciarci.

Che questo possa condurre alla Terza guerra mondiale non lo so, ma anche le prime due sono state una nostra invenzione.