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C'ERO ARRIVATO PERSINO IO

Con il senno di prima: il trattato Italia-Libia

Nicola Zotti


Nell'ottobre 2008 avevo pubblicato qui su warfare.it un articolo estremamente critico sul trattato Italia-Libia.

La morale di quello scritto, per chi non se lo vuole andare a rileggere, era semplice: avevamo stretto un patto che contrastava in modo evidente con altri nostri ben più vincolanti trattati e avremmo subito le conseguenze di questa nostra dilettantesca superficialità.

Il mio articolo era incentrato sul problema più attuale, quello del terrorismo, ma a maggior ragione le mie conclusioni sono condivisibili oggi, 28 febbraio 2011, per quello che sta accandendo a Tripoli e dintorni.

Partiamo dal principio. Il trattato è chiaro: recita l'articolo 2, Capo I, dal titolo "Uguaglianza sovrana":

«Le Parti rispettano reciprocamente la loro uguaglianza sovrana, nonché tutti i diritti ad essa inerenti compreso, in particolare, il diritto alla libertà ed all'indipendenza politica. Esse rispettano altresì il diritto di ciascuna delle Parti di scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico, sociale, economico e culturale».

All'inizio dell'articolo 4. inoltre si legge:

«Le Parti si astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell'altra Parte, attenendosi allo spirito di buon vicinato».

Ovvero, come spiega il secondo capoverso dello stesso articolo 4:

«Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l'Italia non userà, né permetterà l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l'Italia»

Da quanto è scritto, è inconcepibile parlare di sospensione del trattato, quando tra le clausole, come avete letto, è previsto esplicitamente quanto sta avvenendo in questi giorni in Libia: l'unica opzione possibile è la revoca unilaterale, cospargendosi il capo di cenere prima di presentarsi nuovamente, e con gli occhi bassi, di fronte ai partner europei e agli americani.

Per carità, non è la prima volta e non sarà l'ultima che l'Italia tradisce la parola data, né è la più importante, tuttavia questa ci muove ad un riso amaro proprio a motivo della mediocrità e della cialtroneria dei suoi autori.

E non parlo del folclore, dei baciamano, delle tende e dei sermoni concessi al leader libico, ma della sostanza.

Il colonnello Gheddafi, per parte sua, si è rivelato un uomo molto astuto e, anche se mi auguro che la sorte sua e del suo regime sia segnata, gli dobbiamo il riconoscimento di aver manipolato ai suoi scopi il nostro governo con eccezionale abilità.

Il trattato e il suo accennato corollario folclorico gli è valso qualche giorno di respiro: quel "non voglio disturbare" e quel'iniziale a equidistanza italiana tra insorti e governo libico che hanno caratterizzato la nostra prima e spontanea reazione all'insurrezione libica, sono serviti a rallentare l'immediatezza della risposta occidentale e hanno permesso al regime di dare avvio indisturbato alla strage degli oppositori.

Non sembra (e sottolineo "sembra" perché sono realista) sia bastato, ma quei morti pesano anche sulle coscienze dei nostri governanti.

Riprendo un altro argomento di quell'articolo di oltre due anni fa: l'occasione persa di un trattato tutto giocato sugli affari (per la sua parte più nobile) e senza un'idea politica strategica che lo motivasse nel profondo.

Potevamo, e non l'abbiamo fatto, condizionare il trattato all'avvio di un processo di democratizzazione della Libia. Potevamo spiegare al colonnello Gheddafi che il suo potere non sarebbe stato comunque eterno, e che l'avvio di una dinamica liberale in Libia avrebbe assegnato al paese un ruolo guida in Africa e nel mondo arabo. Se si riteneva un condizionamento diretto ingenuo e privo di prospettive, si sarebbero potuti almeno intensificare gli scambi culturali e scientifici, sostenere la presenza attiva delle nostre rappresentanze diplomatiche nelle relazioni con la popolazione, e accogliere qualche centinaio di studenti all'anno per farli studiare nelle nostre università con speciali borse di studio, e magari anche effettuare un programma di inviti indirizzati a personalità critiche del regime per ampliare i nostri orizzonti relazionali.

Potevamo fare tante cose, ma non abbiamo fatto nulla.

PS (Voglio specificare che aver citato un mio passato articolo relativo all'attuale situazione libica non deve essere scambiato per un "io l'avevo detto", ma semmai per un "c'ero arrivato PERSINO io")