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LA FALANGE RULLO COMPRESSORE

Othismos

Nicola Zotti



"Phalagx": tronco di legno, rullo.

Benché il primo uso documentato di questa parola sia metaforico e, com'è logico aspettarsi, lo troviamo nell'Iliade di Omero, il senso originario della parola "falange" è proprio "tronco", oppure "rullo".

Insomma, la falange, come corpo di truppe ordinate, doveva sembrare ai Greci un rullo compressore fin dal suo primo apparire sui campi di battaglia.

Eppure allora, molto probabilmente, non aveva ancora acquisito la sua caratteristica più peculiare: l'othismos, ovvero l'azione di spinta corale e organizzata dell'unità di opliti che per l'appunto la trasformava in un vero e proprio rullo compressore.

L'othismos (spintonare) consisteva nella violenta collisione e nel successivo sforzo per travolgere con una spinta l'avversario.

Erodoto descrive la lotta che avvenne tra Spartani e Persiani per impossessarsi del corpo di Leonida cone "un gran spingere" (7. 225).
Lo stesso storico attribuisce la vittoria degli Ateniesi a Maratona alla massa e alla profondità delle truppe sui fianchi (6.111).
Anche Tucidide ci riporta esempi di falangi in azione di spinta: a Delium ci parla di una "violenta lotta e spinta di scudi", mentre all'Anapo lo sfondamento avviene quando gli Argivi e gli Ateniesi hanno spinto indietro i Siracusani (6.90).
Stessa immagine riceviamo da Senofonte quando racconta che al Pireo la linea ateniese fu letteralmente spinta nelle paludi di Halae (Hellenica 2.4.34), che a Leuttra gli Spartani furono spinti indietro dallo strapotere della falange tebana (Hellenica 6.4.14), e che a Coronea i contendenti "piazzarono scudo contro scudo e spinsero" (Ellenica 4.3.19).
Anche Polibio (10.30.4) spiega che il contributo dei ranghi posteriori della falange macedone al combattimento era "il puro peso dei loro corpi" con i quali "spingevano i ranghi anteriori durante la carica" così conferendo "impeto alla loro avanzata".
Arriano (Tactica 16.13-14) approfondisce l'argomento spiegando che ammassare la cavalleria non può dare lo stesso risultato di una massa di fanteria perché i cavalli non possono sostenere e spingere gli altri cavalli come invece possono fare i fanti.

Alcuni studiosi hanno contestato la possibilità che la falange greca potesse effettivamente praticare l'othismos, ritenendo fosse solo una metafora del combattimento in sè, perché è difficile spiegare come gli opliti avrebbero potuto mantenere l'equilibrio avanzando, mentre una colonna di commilitoni li spingeva alle spalle e ancor meno come avrebbero potuto maneggiare le armi.

Lo stesso Arriano nel passaggio citato prima, spiega però come avveniva questa spinta: i promachoi (ovvero gli uomini in prima linea, i più forti ed esperti nella falange) non avanzavano con il petto parallelo alla linea nemica, ma obliquo, con la spalla sinistra in avanti che sorreggeva l'hoplon, e ricevevano la spinta dei commilitoni sulla spalla e/o sul fianco destri, che rimanevano arretrati: e questo sembra anche il metodo più naturale e spontaneo per esercitare una spinta.

Un'altra analisi ha portato a concludere che l'othismos fosse una sorta di ultima risorsa, quando le lance si erano spezzate, il "doratismos" (il combattimento con le lance") non era più possibile, e non rimaneva altra possibilità che la spinta per sopraffare il nemico.

Questa teoria si fonda su una particolare lettura del resoconto di Erodoto sulla battaglia di Platea (9.62) quando lo storico greco riferisce come dopo aver abbattuto il muro di scudi persiano, la battaglia si protrasse "finché essi [gli Spartani] vennero alla spinta".

In effetti, qui la "spinta" è la conclusione di un combattimento.

Eppure anche l'abbattimento da parte degli Spartani del muro di scudi persiano deve essere avvenuto in "spinta", per cui forse si tratta della prosecuzione di un'azione e non di un passaggio ad un'altra fase, diversa dalla precedente.

Più complessa è la questione relativa alla sostenibilità nel lungo periodo dell'othismos.

Per evidenti ragioni fisiche è impossibile praticare a lungo un tipo di lotta così faticoso come la spinta.

Ma qui il problema si fa molto più generale, perché lo studio delle dinamiche delle battaglie non può produrre certezze, ma solo congetture.

Una battaglia di due ore doveva necessariamente comprendere più fasi: momenti di intensi combattimenti, ma anche pause. Come si potesse passare dall'una all'altra, interrompere un combattimento e riaccenderlo, è difficilmente descrivibile, ma non per questo può essere escluso a priori, semmai deve essere spiegato.

D'altra parte sappiamo come gli Spartani sapessero eseguire contromarce e persino finte rotte con le quali erano capaci di ingannare il nemico, disorganizzarlo e quindi contrattaccarlo nel momento in cui era più debole, come fecero con profitto alle Termopili (Erodoto 7.211.3).

Fatica, terreno, perdite, abilità, coraggio, paura: tutto ciò doveva avere un ruolo nel corso di una battaglia. L'influenza che tutti questi fattori esercitavano sugli uomini poteva cumularsi in un reciproco proporsi ed accettare una tregua nello sforzo e un mutuo indietreggiare dalla zona di pericolo, anche solo di qualche metro.

Rimane la convinzione che le risorse fisiche degli opliti (come di qualsiasi soldato di ogni epoca) dipendessero dalla loro condizione morale, che potessero rinnovarle e ritrovarle sotto lo stimolo del comandante.

Polieno (2.3) ricorda come a Leuttra Epaminonda ruppe l'equilibrio che bloccava le truppe tebane contro il "muro" degli Spartani, chiedendo ai suoi di fare "un passo avanti". E quell'unico passo avanti valse ai Tebani la vittoria.

Secondo alcuni calcoli nel V secolo circa il 30% delle battaglie oplitiche furono vinte grazie all'othismos: una percentuale molto alta che indica, quanto meno, l'alto grado di addestramento raggiunto dagli opliti e l'affinamento della loro tattica.

La dinamica dell'othismos è infatti molto complicata.

Dobbiamo immaginare la falage oplitica estremamente ordinata e compatta: è composta, di norma, da 8 ranghi di opliti, che riescono a marciare in modo coordinato e anche ad accelerare il passo con la stessa sincronia fino al contatto col nemico. Se nel combattimento con la lancia, solo i primi 2 o 3 ranghi possono partecipare allo scontro, nell'othismos tutti gli uomini della falange collaborano alla spinta. Da questo sforzo comune dipende il successo dell'othismos.

Come anticipato, la posizione degli uomini è obliqua, con la spalla sinistra appoggiata alla superficie interna dell'hoplon, che preme sul fianco destro del compagno di fronte.

Le lance degli uomini dopo la terza fila, che non possono usarle in combattimento, vengono impiegate come ancoraggio al terreno, ben piantate a terra grazie allo styrax o sauroter ("ammazzalucertole"), che serve anche per infilzare i nemici travolti e schiacciati sul terreno.

Se l'ordine e il coordinamento sono il principale fattore di successo dell'othismos, altri elementi alimentano ulteriormente le possibilità di vittoria: la carica, la concentrazione dello sforzo in profondità e quella in ampiezza.

La capacità di aumentare la massa di un corpo mediante un aumento della sua velocità era ben nota agli antichi, ma in guerra si scontrava contro il primo requisito, l'ordine.

Gli Spartani preferivano di gran lunga un'avanzata lenta ma coordinata (mediante il suono di strumenti musicali) piuttosto che una a passo di corsa ma disordinata.

Nel caso di Maratona, comunque, gli Ateniesi ebbero ragione dei Persiani anche con il loro attacco eseguito in corsa. Altri attacchi in corsa a Cunaxa e a Delium, mentre a Mantineia l'avanzata fu "veloce".

La concentrazione della massa in profondità è una caratteristica che vediamo applicata dai Tebani a Delium (25 ranghi di opliti) e a Leuttra (addirittura 50) e dai Beoti al fiume Nemea (oltre 16 ranghi). Data la vulnerabilità della falange agli attacchi sui fianchi era una decisione assai rischiosa, perché ovviamente comportava la riduzione del fronte della falange, ma che proprio per questo doveva essere considerata una mossa vincente.

Sia i Tebani che i Beoti ottennero nelle battaglie citate lo sfondamento che intendevano ottenere con tutta quella profondità, che serviva evidentemente ad ottenere una maggiore spinta nell'othismos.

Più complesso il caso della concentrazione dello sforzo in ampiezza, che veniva ottenuto infittendo le fila della falange diminuendo lo spazio tra gli uomini.

Senofonte descrive questa situazione (Hellenica 4.3.16-19) nel suo resoconto della battaglia di Coronea: i Tebani ridussero l'intervallo tra gli opliti prima di caricare, sfondando la linea dei Peloponnesiaci.

Tucidide (1.63.1) e Plutarco (Vita di Pelopida 17.2) descrivono situazioni simili. Diodoro (17.26.4) racconta che ad Alicarnasso Efialte riuscì ad ottenere un iniziale successo sui Macedoni organizzando le proprie truppe in una formazione sia compatta che profonda e racconta pure (15.86.4) che Epaminonda organizzò a Mantineia una truppa scelta in una formazione insolitamente fitta che travolse l'avversario in virtù della propria forza concentrata.

La concentrazione dello sforzo in ampiezza, raggiunta mediante l'infoltimento della falange, già di per sè sufficientemente fitta, ci deve portare a riflettere non tanto e non solo sull'importanza (e sull'esistenza) dell'othismos come tattica, ma anche sull'importanza dell'uso delle armi nella falange e nelle formazioni ordinate in generale.

Anche su questo argomento ne sappiamo ancora troppo poco.