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"Qui desiderat pacem praeparet bellum".
Renato Vegezio


LA CONDIZIONE NECESSARIA MA NON SUFFICIENTE

Deterrenza

nicola zotti



È tutto un equivoco, ma sospendete per il tempo di una -- lunga -- premessa, il vostro legittimo diritto di giudicare.

Lo scenario strategico internazionale di questa fine maggio 2009 è percorso da ostentazioni di bellicosità: in particolare da Iran e Corea del Nord che ci tengono a far conoscere al Mondo di voler acquisire o di aver acquisito il ruolo di potenze nucleari.

Per la Corea si tratta di un'aspirazione decennale, per l'Iran più recente, e gli obiettivi che vogliono ottenere da questo status sono, almeno per il momento, un'assicurazione sulla vita del regime che governa la prima, e un ruolo dominante sul teatro medio e centro orientale per la seconda.

Detenere un'arma nucleare non è un diritto dei popoli, ma solo un incommensurabile strumento di pressione politica, e la comunità internazionale si è ovviamente allarmata: ogni nuovo membro che si aggiunge al club "nucleare", infatti, complica in modo esponenziale le relazioni internazionali e aumenta in proporzione ancora maggiore la probabilità di guerre convenzionali, soprattutto da parte di regimi aggressivi, illiberali e irresponsabili che saprebbero di poter contare, in ultima -- e non solo -- istanza, sulla definitiva minaccia di una guerra nucleare.

Quando si entra a far parte di quella ristretta cerchia, si acquisisce automaticamente la facoltà di irrigidirsi in qualsiasi sede di trattativa diplomatica, si matura un formidabile potere di ricatto, si può resistere a qualunque pressione esercitandone al contempo una terribile.

Due nuovi membri come questi nel club provocano una rottura dei già delicati equilibri mondiali e rendono la "pace" un obiettivo sempre più chimerico.

Nei decenni passati ci siamo accontentati di un concetto di pace proprio come equilibrio tra due superpotenze capaci di distruggersi vicendevolmente con le armi atomiche causando la fine della civiltà se non dello stesso genere umano.

Deterrenza tramite Mutual Assured Distruction, o MAD, che significa "folle": un equilibrio fondato sulla reciproca capacità di distruzione totale: di fatto anche un equilibrio soddisfacente perché ha retto, nonostante tutto. E soprattutto nonostante una prima porzione di equivoco: da un lato, infatti, per reggere una parte in commedia di questo equilibrio si deve possedere un sistema di comando e controllo e una "stanza" delle decisioni tutt'altro che folle, dall'altro perché è proprio su ciò che il senso comune definirebbe pura follia che si basa il suo successo: ovvero sulla inflessibile e mutua determinazione ad usare, se e quando necessario, l'arma nucleare, accada quel che accada.

Su quel "mutua" si potrebbe aprire un dibattito, perché presuppone una simmetria di dottrine e di intenzioni, che invece non esistette mai: nel 1985 Casper Weinberger, Segretario alla difesa dell'amministrazione Reagan, ebbe ad esempio a sostenere che "una guerra nucleare non può essere vinta e non deve essere combattuta mai", dando voce a quelle remore etiche che i sovietici, legati alla dottrina del maresciallo Vasily Sokolovsky, non ebbero mai, nella convinzione contraria che una Terza guerra mondiale sarebbe stata innanzitutto e inevitabilmente una guerra nucleare.

Ne discendeva, logicamente, una conseguenza pratica tutto sommato banale: se la Terza guerra mondiale doveva essere nucleare, tanto valeva che lo fosse fin dal principio: in pratica, dato che le forze convenzionali della Nato in Europa centrale non avrebbero avuto alcuna speranza di resistere a quelle del Patto di Varsavia e che quindi la Nato stessa sarebbe stata inevitabilmente costretta a ricorrere alle armi nucleari, tanto valeva colpire per primi e con decisione e condurre una guerra convenzionale in seconda istanza, sulle macerie fumanti e radioattive dell'Europa. Agli americani e agli europei sarebbe rimasto il diritto al "second strike", versione schizofrenica di un duello tra "gentiluomini".

Questo secondo pezzo di equivoco veniva in parte corretto sotto le amministrazioni Reagan, Bush (padre) e Clinton, dopo un lungo periodo di elaborazione della dottrina detta "Peace Through Strenght", ovvero pace attraverso la forza, su un concetto molto simile al classico "si vis pacem para bellum".

Il potere della deterrenza doveva già esercitare il proprio terribile efeftto dissuasivo in sede convenzionale: le famose "guerre stellari" essendo al momento un espediente solo per stressare criticamente le già corrose finanze dell'Unione Sovietica.

Ma la dissoluzione dell'Unione Sovietica e del Patto di Varsavia annunciò nuovi scenari.

Un documento segreto prodotto nel 1995 dallo Strategic Advisory Group (le teste d'uovo americane che si occupano di alta strategia) intitolato "Essentials of Post-Cold War Deterrence" dettava le linee guida di una deterrenza che aveva a che fare con il proliferare delle potenze nucleari, basandole su una preliminare definizione di gerarchie di valori che concentrasse l'attenzione su questi ultimi e non sulle Armi di distruzione di massa che potevano minacciarli o che si sarebbero usate per rispondere ad un attacco. Così sottolineava l'importanza di una deterrenza che cominciasse già dalle armi convenzionali, e arrivava ad una conclusione che vi avevo concettualmente anticipata, ma che ufficialmente entrava a far parte della dottrina strategica americana.

«Il fatto che qualche elemento possa apparire potenzialmente "fuori controllo" può essere positivo, creando e rinforzando paure e dubbi nelle menti dei "decision maker" avversari. Questo essenziale senso di paura è la forza operante della deterrenza. Che gli Stati Uniti possano diventare irrazionali e vendicativi se i suoi interessi vitali sono attaccati, dovrebbe essere parte dell'immagine che proiettiamo su tutti i nostri avversari»

La deterrenza, quindi, funziona se è "equivocamente" credibile e qui, dunque, sciogliamo l'ultimo e più grande equivoco che alligna proprio in quel "si vis pacem para bellum" che è così saldamente entrato nelle nostre menti.

Purtroppo non c'è sufficiente spazio di razionalità nella guerra da consentire a chi la prepara di farlo a vantaggio della pace: la guerra va preparata pensando alla guerra stessa e al massimo ottenendo la pace come risultato, mi si passi il cinismo, accessorio, come conseguenza, desiderabile, ma indiretta.

Il rischio è infatti quello di condizionare la grammatica della guerra, come direbbe von Clausewitz, e di giungere gravati da distinguo, timidezze e reticenza ad un conflitto.

Corea del Nord ed Iran sposano questa dottrina: quanti dubbi e paure insinuano dentro di noi con le loro armi nucleari? ed è l'Occidente altrettanto capace di insinuarne in loro di ancora più grandi e terribili o non piuttosto cede alla voglia di ragionevolezza e di buonsenso?

Senza dimenticare poi che i percorsi per indviduare quale deterrenza funzionerebbe contro un pericolo terrorista dotato di armi di distruzione di massa, sono molto confusi e difficili da esplorare, ma questo è ancora un altro discorso.

Si apre lo spazio per una deterrenza "creativa", indirizzata verso perfidie sottili, sconvolgenti e inquietanti, molto più terribili per un avversario della "semplice", rozza fine del mondo.