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Mackinder e la geopolitica

un commento di Enrico Pellerito sulle teorie geopolitiche di sir John Mackinder


From: Enrico Pellerito <enrico_pellerito@xx.xx> To: Nicola Zotti <n.zotti@mclink.it>

Subject: Mackinder

Date: Sat, 1 Mar 2008 10:35:36 +0100

X-MC-Originally-To: n.zotti@mclink.it

Caro Nicola,
è proprio una coincidenza, ma in questo periodo sono impegnato nel rileggermi i concetti propugnati da Mackinder e i dubbi sulle sue teorie postulati da Spykeman (alcuni scrivono Spikeman).

Anch'io, leggendo critiche e analisi, propendo per considerare meno "corretta" la tesi di Mackinder, ma penso che egli l'abbia concepita quale monito per i leader della propria nazione, in quanto era precipuo scopo della Gran Bretagna (quella degli inizi del XX secolo, ma potremmo dire quella di sempre) far si che nessuna potenza europea continentale divenisse talmente forte da permettersi un giorno di sfidare sui mari la Royal Navy (con la possibilità di batterla).
Infatti, basandosi sull'apparentemente semplicista espressione di Mackinder, vedremo che per controllare l'Europa orientale è necessario dominare le pianure "slave" di essa facenti parte.

Queste pianure sono il punto di accesso dell’Heartland, territorio lontano dal mare e quindi logisticamente inavvicinabile dalle potenze marittime; il possesso di queste distese comporta tutta la catena consequenziale di supremazia riportata sempre dal Mackinder.
Quando questi espose la sua teoria, il controllo di buona parte delle pianure dell’Europa orientale era in mano all’Impero zarista, mentre il resto era appannaggio degli imperi tedesco ed austroungarico, tranne la Valacchia dei Romeni, anche se questa, per la perifericità della posizione e a causa dei Carpazi, comincia ad essere già marginale rispetto al continuum dei territori in questione.
Secondo il punto di vista di Mackinder, per una potenza marittima come la Gran Bretagna, onde garantirsi un futuro tranquillo di dominio politico e commerciale, è condizione necessaria impedire che una singola nazione continentale eserciti il proprio dominio sulle pianure orientali, impedendo il verificarsi della sequenza da lui espressa.
In effetti, la politica britannica ante e post Napoleone, era stata da sempre improntata a tali principi senza che ci fosse stato un coevo Mackinder ad illustrarli.
Era importante che nessuna nazione in Europa diventasse tanto grande da poter disporre di risorse abbondanti, utilizzabili, anche, per la creazione di una potente marina oceanica, e di possedere una capacità demografica talmente superiore a quella britannica, onde fornire un’inesauribile (se confrontata con la natalità insulare) sorgente di lavoratori e guerrieri.
Nei confronti dei paesi europei, il comportamento dei governi di Londra è stato finalizzato a limitare quanto più possibile le singole proiezioni di potenza navale (guerre contro Spagna, Olanda, Danimarca e Francia), lasciando che per le contese “continentali” se la sbrigassero tra loro, salvo intervenire con l'esercito quando ciò era utile ai propri interessi, appoggiando ora l’uno ora l’altro dei contendenti.
Per questo penso che Mackinder non abbia fatto altro che formalizzare, nero su bianco, tutta una serie di principi di strategia e di politica estera già in essere e, aggiungerei, ben più di una volta sapientemente attuati.
Ovvio che il progresso tecnologico, pregiudicando l'invulnerabilità dell’Heartland, come Lei ricorda, abbia inciso sulle teorie di Mackinder, ma resta il fatto che, dal punto di vista britannico (e, per estensione, statunitense e nipponico) il fine della politica sopra citata sia lo stesso, a prescindere dal cuore territoriale del “nemico” e dall’analisi in base a blocchi territoriali.
Potremmo dire che con la creazione del Patto di Varsavia, giungendo l’Heartland a comprendere una porzione del Bassopiano Germanico Settentrionale, unendosi questo alla Valacchia attraverso le aree pianeggianti di Polonia e Ungheria, lo spazio strategico temuto da Mackinder sia giunto alla sua piena realizzazione, ma ciò non è stato sufficiente, quale unico elemento, a “dominare” il mondo (anche se ci si è provato).
Volevo metterLa a conoscenza di queste mie considerazioni, e sapere cosa Lei ed altri lettori pensate al riguardo, sempre nell’ottica di far tesoro delle critiche, le quali, se anche tendono a “distruggere” una valutazione, pur non di meno risultano utili al perfezionamento del proprio pensiero e a costituire la base di ciò che io definisco il “fertile contraddittorio”, che arricchisce intellettualmente tutti i partecipanti.

Cordiali saluti.

Suo Enrico Pellerito.