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ASCOLI SATRIANO (FG), SUD tav. 9 D3

Ausculum 279 a. C.

nicola zotti



Dopo la vittoria di Eraclea nel 280 a. C., Pirro cercò un accordo con i Romani.

Le vie diplomatiche però fallirono per l'intervento in Senato di Appio Claudio Cieco, un anziano e, per l'appunto, cieco senatore che si lamentò non tanto di essere cieco, ma di non essere sordo e dover ascoltare che Roma stava per comportarsi da vile.

A Pirro non rimase che la soluzione militare: al suo esercito si erano appena aggiunte le truppe degli alleati Osci portandolo a circa 40.000 uomini: truppe di Taranto, mercenari pagati dai Tarantini, una falange macedone, cavalieri Tessali prestati a Pirro per due anni dal re Tolomeo Cherauno di Macedonia, fanteria mercenaria dall'Etolia, Acarnania e Atamania, e corpi di cavalleria mercenaria greci, acarnani, etoli e atamani.

Oltre questa eterogenea compagine, Pirro faceva affidamento su 19 preziosi elefanti con i quali aveva già deciso la battaglia di Eraclea.

Con queste forze avanzò verso le 8 legioni (4 romane e 4 alleate, per circa 40.000 uomini) guidate dal console Publio Decio Mure, senza però riuscire a sorprenderle. Anzi, Decio riuscì ad attirare Pirro tra le correnti del torrente Carpanelle e le falde di Monte Carpinelli, dove i legionari si trovavano più a loro agio dei falangiti e dove la cavalleria e gli elefanti epiroti non potevano manovrare. Probabilmente i Dauni, abitanti la regione e alleati dei Romani, li aiutarono nella scelta del luogo per la battaglia.

Si riferisce forse a questa battaglia l'espediente riportato da Polibio che Pirro utilizzò per rendere più agile la falange: alternare speirai di picchieri a coorti (semaia= unità sotto un unico vessillo) di alleati. Senza grandi risultati, verrebbe da dire. (18.28.10)

La battaglia si articolò in due giornate. Durante la prima i Romani contennero la coalizione alleata.

L'ala sinistra alleata -- dove si trovava Pirro con la falange -- ebbe la meglio sulla prima legione romana, ma la terza e la quarta sconfissero i propri avversari Tarantini, Osci ed Epiroti al centro.


Un contingente di Dauni approfittò della situazione per attaccare il campo di Pirro, che dovette distogliere truppe per contrastare il pericolo. I Dauni vennero respinti e costretti a rifugiarsi su un monte. Uguale sorte toccò infine alla prima legione, che ripiegò su un'altura dove la falange non poteva raggiungerla, ma dove fu costretta a subire inerme il tiro della fanteria leggera di scorta agli elefanti.

Pirro tentò di provocare i romani per costringerli ad uscire dai boschi inviando contro di loro contingenti di Atamani, Acarnani e Sanniti, ma questi furono intercettati dalla cavalleria romana e costretti alla fuga.

Il sopravvenire della notte costrinse i contendenti a tornare ai rispettivi campi.

Il giorno successivo Pirro, per prevenire la tattica dilatoria dei Romani, occupò preventivamente il terreno boscoso e collinare teatro degli avvenimenti del primo giorno di battaglia.

I Romani furono costretti scontrarsi in campo aperto. La battaglia tra la legione e la falange fu a lungo equilibrata e incerta, finché gli elefanti, supportati dalla fanteria leggera, sfondarono la linea romana, invano fronteggiati da speciali carri anti-elefanti ingegnosamente costruiti dai Romani.

Il successo di Pirro fu però relativo, forse egli stesso venne ferito da un giavellotto e costretto a mettersi al sicuro. In ogni caso i Romani riuscirono a rientrare al campo.

I Romani persero 6.000 uomini contro i 3.500 di Pirro: "un'altra vittoria come questa e siamo rovinati", fu il suo commento.