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I PREOCCUPANTI GUSTI CINEMATOGRAFICI DI ROMANO PRODI

Una dolcezza veramente impressionante

nicola zotti

Il 5 settembre 2006 il presidente del consiglio Romano Prodi visitava la mostra del cinema di Venezia, e tra le altre domande postegli da Vincenzo Mollica, una riguardava il suo film "del cuore", quello che segna l'esistenza.

Risposta: "l'arpa birmana", film che secondo il nostro presidente del consiglio "è di una dolcezza impressionante".

Tra l'altro, il film di Kon Ichikawa era stato presentato giusto 50 anni prima proprio alla mostra di Venezia, per cui i gusti cinematografici di Romano Prodi avevano anche un'eco da vero cinefilo.

Il film, in effetti, ha un posto di rilievo nella storia del cinema.

Narra la storia di un gruppo di soldati giapponesi fatti prigionieri dagli inglesi a fine guerra e del percorso intimo di uno di loro, un virtuoso autodidatta dello strumento che dà il nome al film.



una scena de "l'arpa birmana"


L'economista Geminello Alvi sul Corriere del 19 settembre 2006 (pag. 40), sempre molto critico nei confonti di Prodi, addirittura giunge a dire che proprio per quella affermazione il presidente del consiglio gli "era piaciuto, e moltissimo".

L'opera di Ichikawa è un film lirico e di grande bellezza formale: solo formale, però, perché siccome io non mi occupo di estetica cinematografica ma di storia militare, devo notare dal mio particolarissimo punto di vista che l'affermazione del presidente Prodi è sconcertante.

Dimentica l'insostenibile carico di ipocrisia che il film nasconde dietro tutta quella "impressionante" dolcezza.

Il film di Ichikawa, infatti, ci presenta i giapponesi come una combriccola di buontemponi canterini, poetiche e sensibili vittime della "guerra":

Non una parola, uno sguardo, un'emozione, un po' di pietà è spesa per i non giapponesi, in coerenza con quell'enocentrismo che portava i figli del Sol levante a considerarsi la "razza" eletta dell'Asia.

Capisco che gli inglesi siano rappresentati con una certa "durezza": in fondo erano i nemici.

Ma i birmani? il regista ce li presenta come ingenui selvaggi addirittura costernati per i giapponesi e commossi dalla loro miserevole condizione di vinti.

Consapevoli i birmani di essere troppo inferiori ai giapponesi per nutrire un po' di rancore verso chi ne aveva uccisi (tra gli altri) almeno 50.000 nei cantieri della ferrovia della morte, dove lavoravano come schiavi?

Nel film compare solo una donna, un'anziana contadina che regala frutta agli affamati giapponesi: un inconsapevole tratto di realismo del regista?

Non per la frutta, ovviamente, ma perché probabilmente la vecchietta era l'unica donna ad essere sopravvissuta, mentre le altre più giovani erano state tutte rapite dai giapponesi e portate nei bordelli militari per diventare schiave sessuali.

Ma il nostro presidente del consiglio è troppo commosso dalla poesia per poter mostrare anche un minimo di sensibilità politica verso la realtà storica.