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a cura di nicola zotti

 

 
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QUANDO I GIORNALISTI LE BUTTANO LI' A CASO...

Austerlitz e il giornalista

nicola zotti

Aspettavo fiducioso l'arrivo delle rievocazioni della battaglia di Austerlitz, in concomitanza con il suo 200mo anniversario, per compilare questa rubrichetta.
Non mi sbagliavo.

Il 27 novembre 2005 sulla Repubblica, nelle pagine 40 e 41 della Cultura, è comparso un lungo articolo firmato da Stefano Malatesta intitolato "Austerlitz, la battaglia perfetta" e mi sono detto, anche questo mese sono salvo: ho qualche cosa da scrivere per i miei cari lettori.

Non che abbia problemi a scrivere su "colonnina infame", perché di stupidaggini di storia militare ne ascolto e ne leggo quotidianamente, il punto è che mi sono accorto di quanto siete giustamente esigenti in questa materia. E questo complica non poco la mia ricerca.

Dunque inizio a leggere l'articolo e dopo amenità varie sul carattere di Napoleone, un po' di simpatiche fanfaronate per allungare il brodo (che comunque le pagine andavano riempite), ecco una prima perla.

Scrive Malatesta che il pensiero di Napoleone non costituisce un corpo coerente, una teoria della guerra, ed è vero, ma aggiunge: "come ha tentato di far credere un vero teorico, forse migliore di Von Clausevitz: Henri de Jomini".

Malatesta fa l'esperto, con noncuranza lascia cadere un nome (sconosciuto ai più) quello di Henri de Jomini, accostandolo ad un altro più noto, di cui per altro sbaglia la grafia, quello di Carl von Clausewitz. E suggerisce, probabilmente mal consigliato da qualche affrettata lettura, che de Jomini sia migliore teorico di von Clausewitz: tipica stucchevole abitudine intellettuale di scoprire il genio misconosciuto.

La cosa mi indispone assai, a prescindere, come direbbe Totò: ma quella che sarebbe una legittima opinione, preferire l'uno all'altro, avrebbe comunque meritato maggiore prudenza ed una riga di spiegazione.

Antoine Henri de Jomini (1779-1869), svizzero, è uno studioso che descrive la guerra come l'ha conosciuta durante la sua lunga carriera militare al servizio dei francesi prima e dei russi poi. Così trattò gli aspetti tangibili della guerra più che le sue forze psicologiche e filosofiche come fece von Clausewitz.

Quando poi de Jomini rivolge il pensiero agli aspetti intangibili della guerra appare sorprendentemente vicino a von Clausewitz: al contrario di questi, però, ebbe grande successo e fama da vivo e venne dimenticato col tempo, eclissato dallo spessore "teorico", appunto, delle idee del prussiano. Chi dei due fosse più grande è già stato giudicato e credo che de Jomini non avrebbe nulla da obiettare.

L'articolo di Malatesta prosegue con una serie impressionante di facilonerie. Per commentarne una mi faccio aiutare dal generale Langeron, che ad Austelitz era presente. Scrive Malatesta:

«E' qui [ad Austerlitz] che viene applicato alla lettera uno dei più famosi detti dell'Imperatore: "La vittoria si conquista durante la ritirata del nemico". Quelle truppe che sul momento sembravano finite e in fuga, potevano sempre riprendersi e tornare alla carica, più fresche di prima»

In realtà Napoleone dopo la battaglia di Austelitz praticamente non inseguì gli austro-russi, tanto che Langeron nel suo memoriale sulla campagna dedica un capitoletto alle "Congetture sulle ragioni della scarsa determinazione che Napoleone mise nell'inseguimento". Nella fattispecie, Napoleone probabilmente dopo Austerlitz non inseguì a fondo i nemici, e avrebbe potuto tagliare la strada alla loro ritirata con un corpo fresco che non aveva partecipato alla battaglia, quello di Gudin, perché non ne aveva bisogno, avendo già ottenuto quello che voleva.

Inoltre, quello che Napoleone intendeva con la massima citata da Malatesta, era che le perdite maggiori un esercito sconfitto le subisce quando è in ritirata, i legami tra i reparti sono inesistenti e ciascuno pensa alla propria pelle: è a questo punto che un inseguimento spietato può dissolvere l'avversario, ottenendo quella vittoria significativa a cui fa riferimento Napoleone.

Tralascio, per amore di brevità, un'altra lunga serie di imprecisioni e di inesattezze, che mi farebbero apparire più pedante di quanto già non sono di mio, ma alcune affermazioni di Malatesta sono troppo divertenti per non segnalarle.

«...finalmente i russi avanzano in una grande manovra a semicerchio, mandando avanti il più coraggioso e audace tra i comandanti di cavalleria, il principe Bagration. I francesi contrastano debolmente...»

Ahimé per Malatesta, Bagration comandava sì un'avanguardia, ma a nord! la manovra a semicerchio si svolse a sud e al suo comando era Buxhowden e non Bagration, che fu contrastato dai francesi tutt'altro che debolmente se alla loro resistenza si deve gran parte del merito della vittoria finale.

Malatesta riesce però ad andare oltre: «si combatte ovunque, al di là e al di qua di una immaginaria linea che in realtà non esiste»: e ci fa piacere che Malatesta capisca che ciò che immaginario in realtà non esiste, perché poi Malatesta prosegue così:

«..il granduca Costantino ordina ai suoi reggimenti d'élite -- i leggendari Preobajenski e Semenowski -- [...] di lanciarsi in una carica disperata. [...] anche se disperato non è l'aggettivo adatto per descrivere un cavaliere elegante come quello del Preobajenski, che indossa una magnifica divisa tutta bianca...»

Sfugge a Malatesta il trascurabile dettaglio che "i leggendari Preobajenski e Semenowski" erano reggimenti di fanteria e indossavano le normali uniformi verdi russe (seppure impreziosite) e la" magnifica divisa tutta bianca" era quella dei Chevalier garde e delle Gardes à cheval...