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IL CONQUISTATORE DI UN IMPERO

Robert Clive (1725-1774)


nicola zotti

 

Clive


Un giorno dopo la battaglia di Plassey, Robert Clive incontrò Mir Jafar, concludendo, secondo quanto pattuito, la trattativa commerciale che era alla base di quella vittoria.

L’artistache ha ritratto l'evento non si risparmiò un cavallo scalpitante, che conferisce sempre particolare drammaticità all’illustrazione di un episodio militare. Tuttavia a Plassey non un solo soldato della Compagnia era montato a cavallo e lo stesso Clive combatté a piedi.

In un impeto nazionalistico, è pure riportata la cosiddetta “insegna rossa” britannica, mentre la bandiera ufficiale della Compagnia delle Indie era una croce di S. Giorgio nel cantone su un campo di righe orizzontali bianco-rosse.

L'ipocrita celebrazione di un successo che di epico aveva poco e che andava invece esclusivamente alla Compagnia delle Indie e soprattutto all'uomo che ne guidava le Forze armate.

Robert Clive giunse in India a 19 anni, per iniziativa del padre che, facendolo assumere come impiegato di concetto dalla Compagnia delle Indie, sperava che quel giovane scapestrato e rissoso mettesse finalmente la testa a posto.

Il carattere di Clive prevalse però sulle speranze del genitore, e il giovane rinunciò all’incarico sedentario, optando per un meno prestigioso impiego nelle forze armate della Compagnia.

La difesa delle basi della Compagnia era stata a lungo garantita da appena un migliaio di uomini in tutto, reclutati prevalentemente tra cittadini indiani di origine (vera o presunta) europea, che gli Inglesi chiamavano “Topasses” per l’uso di indossare un cappello invece del turbante.

La Guerra dei Sette Anni richiese con urgenza l’assunzione di ulteriori truppe che venne effettuata in prevalenza tra indiani di religione musulmana.

Queste fanterie – chiamate dai Moghul “Sepoy” adattando il termine turco “Sipahi” – regolarmente uniformate e addestrate secondo le dottrine tattiche europee da ufficiali solo in minima parte britannici, acquisivano una disciplina e una saldezza sotto il fuoco sconosciuta nel subcontinente. Le loro armi erano le stesse delle truppe locali, e così la loro paga, che però veniva almeno corrisposta con puntualità.

Audace e brillante, Clive scalò rapidamente i gradi della gerarchia militare e la Guerra dei Sette Anni lo vide, poco più che trentenne, al comando dell’Armata della Compagnia in Bengala con il grado di colonnello, anziché di generale come sarebbe stato naturale, a ragione dell’oculatezza della Compagnia, che in questo modo risparmiava sugli emolumenti: Clive comunque si consolò con i 22 milioni di sterline (in valore attuale) ricavati dal solo saccheggio del Bengala che seguì la vittoria di Plassey.

Suo il merito di questa vittoria che in prospettiva consegnò un impero alla Gran Bretagna.

In particolare suo il merito di essere riuscito a trasformare in breve tempo una forza di sicurezza in un esercito, per quanto piccolo, sufficiente ad affrontare una guerra come quella contro i Bengalesi.

Clive venne nominato Barone e morì ricchissimo in Inghilterra a 49 anni, suicida per una dose eccessiva di oppio, cui era dipendente, e che usava per lenire la depressione e le malattie contratte in India.