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LA CONQUISTA NORMANNA DELL'INGHILTERRA

La battaglia di Hastings (14 ottobre 1066)

nicola zotti



Il 25 settembre 1066 fu un giorno fatidico per re Harold II di Inghilterra. Nella battaglia di Stamford Bridge il re anglo-sassone aveva sconfitto il norvegese Harald, pretendente al suo trono come lontano erede dei re danesi di Inghilterra, ma quello stesso giorno lasciava le coste della Normandia, anch’egli vantando diritto al regno, il duca Guglielmo di Normandia.

La morte del re Edoardo il Confessore, nel gennaio del 1066, aprì una crisi politico-dinastica. Normanno per parte di madre e per cultura, aveva tradotto queste radici in una politica che gli aveva inimicato la classe dirigente anglo-sassone. In virtù della sua autorità, pare fosse comunque riuscito ad ottenere dal più potente dei suoi duchi, guarda caso proprio Harold di Wessex, la promessa che avrebbe garantito la successione di suo cugino il duca Guglielmo. Sembrava cosa fatta, ma persino fonti normanne riportano che in punto di morte il re abbia avuto un ripensamento, indicando in Harold il suo successore. Si sia trattato di un’investitura o del monito a rispettare il suo giuramento, Harold approfittò comunque della situazione, chiedendo e ottenendo la ratifica da parte del Witenagemot, l’assemblea dei nobili anglosassoni.

Guglielmo, però, non avrebbe accettato il fatto compiuto: era chiamato “il Bastardo” perché figlio illegittimo, ma aveva la forza necessaria di passare alla storia con il titolo di “Conquistatore”.

Ottenuto il consenso del papa Alessandro II e con esso il suo vessillo consacrato, Guglielmo iniziò a preparare una spedizione militare che lo reintegrasse nel suo diritto: una spedizione destinata a entrare tra le più importanti della storia.

L’impresa non era, però, delle più semplici. Solo per attraversare la Manica, ad esempio, sarebbero state necessarie almeno 700 imbarcazioni delle quali circa 200 solo per il trasporto dei cavalli. Queste ultime erano vascelli speciali, e per costruirli Guglielmo fece venire da Bisanzio un gruppo di artigiani specializzati: per risparmiare tempo, il progetto costruttivo prevedeva che questi si dedicassero solo al sofisticato scheletro delle imbarcazioni, mentre atri carpentieri "comuni" si sarebbero occupati di completare il lavoro.

Nonostante questa grande flotta, il problema logistico avrebbe fortemente influenzato l’esito della campagna. Infatti Guglielmo non poteva portare con sé rifornimenti sufficienti per una guerra lunga, ma avrebbe dovuto strapparli con la forza ai villaggi sassoni o tornarsene da dove era venuto.

Guglielmo pose il proprio campo sulla costa normanna, radunandovi un esercito poliglotta proveniente da tutta Europa, ma con una componente principale normanna e due minori di bretoni e franco-fiamminghi, complessivamente non più di 7.500 combattenti che quasi raddoppiavano con marinai e addetti ai servizi.

Tre contingenti distinti, seppure identici per la tipologia delle truppe. L’élite era rappresentata dai cavalieri nobili, in tutto 2.000, oltre la metà dei quali normanni, armati di lancia e spada e protetti da una lunga cotta di maglia e da uno scudo a goccia, capaci di una violenta carica con la lancia che provocava voragini nei nemici.

La componente principale in termini numerici era rappresentata dai 4.000 fanti: molto simili ai cavalieri per l’armamento, lancia e spada, e per la protezione, cotta di maglia e scudo tondo o a goccia. Per quantità, 1.500 uomini, e per censo, ultimi venivano i tiratori: arcieri, per la maggior parte, e balestrieri.

Finalmente il 25 settembre la spedizione prese il mare e, dopo tre giorni di complicata navigazione, sbarcò proprio nei possedimenti di Harold, nelle vicinanze della cittadina costiera di Hastings, punto terminale di una strada romana che conduceva a Londra. Guglielmo iniziò subito a devastare e a depredare il territorio, ottenendo anche l’effetto di far giungere rapidamente al re la notizia del suo arrivo.

Harold, sicuramente un abile comandante, si fece però trascinare dal carattere impetuoso e prese una decisione destinata a pesare sull’esito finale della campagna. Tornato di corsa a Londra dal campo di battaglia di Stamford Bridge, si precipitò contro Guglielmo, senza aver fatto riposare le sue truppe né averne completato l’adunata, ma dando appuntamento ai ritardatari direttamente sul campo di battaglia.

L’esercito anglosassone era composto esclusivamente da fanteria: il nucleo principale era costituito da 800 housecarl, temutissimi guerrieri di professione coperti di cotte di maglia lunghe fino alle cosce e armati della devastante ascia danese a due mani, capace di infliggere ferite terribili. La carica della cavalleria normanna non li spaventava: sapevano infatti formare un impenetrabile muro di scudi che li teneva compatti fino al momento della mischia, quando avrebbero iniziato a calare fendenti con la loro ascia.

Dietro agli housecarl combattevano da 5 a 7.000 fyrd, una leva locale armata di qualsiasi oggetto atto ad offendere, combattivi ma indisciplinati. Il loro ruolo sarebbe stato quello di bersagliare incessantemente gli attaccanti con ogni tipo di arma da lancio – giavellotti, frecce, mazze, pietre – e, all’occasione, di partecipare alla mischia.
L’esercito di Harold si schierò occupando completamente un’altura che dominava la strada verso Londra, un passaggio obbligato largo appena 700 metri che avrebbe costretto gli invasori a combattere in condizioni svantaggiose.



Guglielmo doveva attaccare e vincere: nessuna altra opzione era disponibile.
Alle 9 del 14 ottobre gli arcieri normanni diedero il via al combattimento, seguiti da un attacco della fanteria che si infranse contro il muro di scudi. Non ebbe sorte migliore un terzo attacco condotto dai cavalieri. Dopo circa tre ore di continui attacchi intercalati da brevi pause, la cavalleria bretone, in combattimento sull’ala sinistra, cedette, travolgendo nella fuga la propria fanteria di supporto. Contravvenendo agli ordini di Harold, un gruppo di fyrd inseguì i fuggitivi, e nel caos si sparse la voce che Guglielmo fosse stato ucciso, seminando il panico tra le sue truppe. Gli invasori erano ad un passo dalla fuga, ma il duca, che era incolume, reagì con energia togliendosi l’elmo e galoppando per il campo di battaglia rassicurando le truppe. Rincuorati, i normanni contrattaccarono vigorosamente gli incauti sassoni, facendone strage.

Un ulteriore attacco di cavalleria venne nuovamente respinto e per la seconda volta gli impetuosi sassoni inseguirono, finendo ancora una volta massacrati dalle riserve del duca.

Bretoni e normanni praticavano con astuzia l’espediente bellico della falsa rotta, proprio per ingannare avversari indisciplinati, per cui è possibile che in entrambi i casi si sia trattato di manovre preordinate.

Stava ormai approssimandosi il tramonto, le armate erano decimate ed esauste, ma il sopraggiungere della sera avrebbe significato la vittoria per i sassoni. Guglielmo allora giocò la sua ultima carta: un attacco delle fanterie, con gli arcieri – appena riforniti con una riserva di frecce proveniente dal campo – che avrebbero tirato a parabola sopra le teste dei commilitoni, per colpire i sassoni dall’alto. I cavalieri avrebbero seguito l’attacco dei fanti intervenendo al minimo segnale di debolezza del nemico. Le cronache narrano che una freccia colpì Harold in un occhio – realtà storica o simbolismo medioevale della punizione divina? – provocando una crisi tra i suoi uomini già duramente provati.

Prontamente la cavalleria si gettò nella mischia, trasformando lo sbandamento in disfatta. Il re sassone era rimasto in piedi e Guglielmo voleva catturarlo vivo. Venne, però, raggiunto e ucciso da 4 cavalieri ignari degli ordini del duca. L’esercito anglosassone si sfaldò, spietatamente inseguito dagli uomini di Guglielmo. La vittoria era completa, una dinastia normanna governava l’Inghilterra.

La nobiltà anglosassone provò a opporre resistenza, ma fu schiantata dopo anni di dura repressione e sostituita da una nuova classe dirigente formata dai normanni e dai loro alleati continentali. Guglielmo aveva il territorio di un’intera nazione per ricompensare chi lo serviva lealmente e ne fece un uso tanto generoso quanto abile, mantenendo la titolarità del possesso e assegnando feudi piccoli e distanti tra loro, per evitare pericolose concentrazioni di potere. Per la lingua si arrivò a un compromesso tra il dialetto francese parlato a corte e l’inglese del popolo, che ne venne influenzato fino ad evolvere nella lingua che conosciamo oggi. Altrettanto pragmaticamente, e secondo l’uso normanno, Guglielmo si comportò nei confronti delle istituzioni del paese conquistato, che erano tra le più progredite d’Europa. Gli anglosassoni, infatti, usavano per il governo e l’amministrazione la documentazione scritta che consentiva al re di guidare il paese con editti e messaggi. Guglielmo sfruttò questo uso per centralizzare il potere e governare il paese ovunque si trovasse. Mantenendo i possedimenti in Normandia, infatti, egli non solo poteva intromettersi nelle questioni francesi impegnando le enormi risorse dell’Inghilterra, ma lui e i suoi successori poterono permettersi di governarla anche quando erano in guerra oltremanica. Era nata una nuova Inghilterra, e con essa una nuova Europa.