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La tattica degli antichi carri da guerra


nicola zotti



Uno dei tanti punti oscuri e dibattuti della storia militare antica riguarda i metodi di combattimento dei carri da guerra trainati da cavalli tipici della guerra dell'Età del Bronzo.

Gli studiosi si dividono tra quanti sostengono che attaccassero in linea per sfondare il fronte nemico e quanti, invece, ritengono formassero delle lunghe colonne che schermagliavano incessantemente o aggiravano i fianchi della linea avversaria.

L'ambiguità deriva da immagini come questa, presa dai bassorilievi di Medinet Habu, che mostra carri egizi all'attacco: il carro è di tipo leggero, con un guidatore armato di arco e un combattente fornito di scudo e giavellotto. Dati i noti problemi di prospettiva della pittura egizia che cosa è rappresentato? una colonna o una linea?



L'ipotesi più probabile è che si tratti di una linea, mostrata da una prospettiva compressa, come suggerirebbe la posizione del "passeggero combattente" sulla sinistra, con lo scudo proteso a proteggere se stesso e il guidatore. Quest'ultimo quando deve tirare con l'arco, si lega le redini attorno alla vita per avere le mani libere.

Dall'illustrazione appare un po' complicato tirare il giavellotto tanto in avanti quanto verso sinistra, per la possibile interferenza con la spalla del guidatore, senza contare che il tiratore non avrebbe il punto di appoggio necessario a tenersi in equilibrio e ad imprimere forza al suo lancio.

Nello stendardo di Ur dei sumeri, il tiratore di giavellotto appoggia una mano sulla spalla del cocchiere: posizione più pratica, come è stato dimostrato da reenacter inglesi, perché questi è una specie di ammortizzatore naturale che accompagna il tiratore nel suo movimento mentre è intento alla guida.

Date queste considerazioni di carattere generale, si potrebbe ipotizzare che la prospettiva dell'immagine non sia affatto schiacciata, ma anzi assolutamente realistica, aprendoci uno scenario sul modo in cui veniva condotto il combattimento dei carri nell'antico Medio Oriente.

Esaminiamo il caso più semplice: quello di un guidatore disarmato e di un guerriero armato di giavellotti. Sottolineo che è un caso decisamente atipico, perché l'equipaggio di tutti i carri dell'epoca erano in realtà costituiti da un arciere e da un cocchiere, con l'eventuale aggiunta di uno scudiero.


I carri procedono scalati, esattamente come proposto nell'antico dipinto egizio, ad un trotto sostenuto. In questo modo un carro immobilizzato non intralcia la corsa di quello che lo segue.

Le fanterie avversarie sono probabilmente armate di giavellotti e quindi possono affrontare i carri alla distanza con le proprie armi. Ogni carro occupa il fronte di almeno 4 uomini ed è quindi svantaggiato in quanto a intensità di tiro circa 12 a 1.



I carri però hanno il vantaggio della mobilità e lo sfruttano entrando ed uscendo velocemente dalla distanza utile di tiro: questo movimento porta gli avversari a sprecare gran parte dei propri proiettili e disordinare la propria formazione.

I carri neo-assiri e siro-ittiti sono ancora meglio predisposti a questa tattica: hanno infatti un grande scudo fissato nella parte posteriore in modo da proteggere l'equipaggio nella fase di allontanamento dopo il tiro.

Non è una manovra facile da effettuare perché l'asse del carro non ruota, ma è fissata al pianale e deve richiedere un grande addestramento da parte del cocchiere per essere effettuata con un raggio di curvatura sufficientemente ristretto.

Il tiratore si appoggia con il braccio sinistro e con lo scudo alla spalla sinistra del guidatore e tira quando il carro curvando è parallelo al fronte nemico, sfruttando anche la velocità del carro per imprimere maggiore forza al proprio lancio.

La concatenazione dei carri concentra il tiro verso un punto preciso della formazione nemica: il movimento ricorda il "caracollo" dei Reiter o i falsi attacchi degli animali predatori che inducono le proprie prede quando sono in un branco compatto ed inavvicinabile a disunirsi, in modo da poter colpire gli individui più deboli ed isolati.


In modo non dissimile i carri esercitano una pressione deliberata in un punto dello schieramento nemico.

I passaggi si susseguono a grande velocità e con l'andare del tempo la formazione avversaria non solo inizia ad assottigliarsi per le perdite, ma soprattutto comincia a disordinarsi per sottrarsi al tiro nemico e per uscire dalla traiettoria della carica: i possibili bersagli si ammassano ai lati della linea di tiro spingendo i propri compagni ed accalcandosi gli uni sugli altri.

Quando lo sbandamento nemico si fa evidente, i carri ne approfittano aumentando la propria pressione ed avvicinandosi all'avversario: nel disordine la pressione dei carri si fa insostenbile e i varchi iniziano ad essere sempre più ampi.



Alla prima occasione il capo del contingente di carri interrompe bruscamente il caracolo e indirizza il proprio carro con decisione verso un varco apertosi nella formazione nemica: gli altri carri lo seguono riducendo le distanze e ponendosi leggermente sfalzati, per affondare tra i nemici come un cuneo.

La carica dei carri è travolgente e i nemici ormai sono una massa informe che cerca scampo nella fuga.

E' un segnale anche per la propria fanteria che approfitta della disorganizzazione nemica per dare il colpo di grazia: il coordinamento con quest'ultima è impotantissimo, perché una regola d'oro del combattimento dei carri che vale oggi come ieri è "non distanziare troppo i carri dalla loro fanteria di supporto".