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LE ARMI DEI LEGIONARI ROMANI |
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Gladium e pilum
nicola zotti
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La guerra antica era un affare cruento, molto: appena iniziati i primi scontri corpo a corpo i soldati dovevano assumere l'aspetto di macellai: soprattuttoi legionari di Scipione durante la seconda guerra punica.
Alcuni di questi erano armati della falcata iberica: una spada dall'incerta origine indeuropea ma comune alla forma della machaera citata dall'Apocalisse, della kopis greca, della sapara assira, della kopesh egiziana o, ai giorni nostri, del kukri dei gurkha nepalesi.
L'ottimo minerale di ferro con il quale la si fabbricava e soprattutto la sua forma, ne facevano un'arma terrificante.
Il peculiare profilo della lama, che si allargava verso la punta, spostava il centro di gravità ben più avanti che in una spada dritta, incrementando in misura tanto grande l'energia cinetica del colpo da consentirle di spaccare scudi ed elmi e di tagliare di netto braccia e teste.
Scipione l'aveva adottata in Spagna mettendo al lavoro -- e portando anche a Roma -- i fabbri celtiberi.
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la falcata iberica che probabilmente Scipione fece adottare ai legionari
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Questi erano specializzati nella spada che conosciamo come Gladius Hispaniensis. Un'arma con due tagli simmetrici, la cui forma praticamente unisce due falcate, mantenendo il baricentro avanzato, per l'efficacia di eventuali colpi di taglio, ma incrementa anche con la sua larghezza la capacità devastante dei colpi di punta.
Scipione sottopose i legionari ad un intenso addestramento, perché falcata e Gladius Hispaniensis richiedevano più scherma di quanta non fosse abituale al legionario, dato che permetteva anche l'uso dei colpi di taglio oltre che di punta.
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Particolarmente curato dovette essere l'addestramento dei veliti, per i quali falcata e Gladius Hispanensis erano l'arma ideale, capace di esaltare la loro libertà di movimento: in molte battaglie Scipione assegnò ai veliti un ruolo molto più attivo che non quello delle pure fanterie da schermaglia e questo è probabilmente dovuto proprio a all'addestramento e all'arma ricevuta.
Se la spada (il gladio nella fattispecie) era l'arma principe di ogni combattimento, il prologo, e che prologo, veniva recitato dalle armi da getto. Tanto le truppe romane quanto quelle al servizio dei cartaginesi, infatti, si avvalevano di un giavellotto per preparare il combattimento ravvicinato.
I legionari ne avevano due o tre, uno o due leggeri -- figura B: di lunghezza variabile tra m. 1.2 e m. 2, con peso medio di kg. 1.3-1.8 -- che venivano scagliati a circa 40 metri di distanza dal nemico; e uno pesante -- figura A: lungo m. 2.10, di cui un terzo circa di puntale e il resto di manico, per un paio di chili di peso -- lanciato subito dopo, per preparare il contatto col nemico.
Ho personalmente qualche difficoltà a definire giavellotto il pilum pesante del legionario romano medio-repubblicano: il pilum è un'arma, per l'epoca, tecnologicamente avanzatissima ma forse venne raramente utilizzata in quelle salve micidiali seguite da una carica alla spada che sono state a lungo considerate il loro ideale uso tattico.
In sé, l'idea di un giavellotto pesante non è rivoluzionaria: già nell'Iliade gli eroi hanno giavellotti di metallo, gli Iberici lo chiamano soliferrum, i Celti chiamano invece gaesum uno spiedo con un manico di legno sul quale viene innestato un puntale con un cannone molto lungo, che contribuisce ad appesantirlo non poco.
Ed è dai Celti, più che da Etruschi e Sanniti come è stato ipotizzato, che i Romani assunsero probabilmente il pilum, modificandolo con alcuni accorgimenti: la sua struttura era tale da conferirgli una penetrazione micidiale: moderni esperimenti hanno mostrato una penetrazione di tavole spesse 2 cm. di legno compensato e di 3 cm. di legno di abete, con un lancio da 5 metri.
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Inizialmente la punta del pilum era a freccia piatta ma, forse verso la fine della Seconda guerra punica, divenne a punta piramidale: questo faceva sì che il pilum dopo essere penetrato nello scudo proseguisse la sua corsa oltre il buco formato dalla punta piramidale, più largo del cannone metallico, colpendo, così, l'uomo oltre lo scudo.
La forza del pilum non è, però, solo nella sua penetratività: usato come arma da impatto è maneggevole e, avendo una punta di metallo, resiste ai colpi tendenti a tagliarlo.
Posto che l'uso prevalente delle armi da lancio da parte del legionario romano doveva avvenire con lunghi scambi, possiamo immagina re l'effetto che avrebbe avuto se il pilumfosse stato lanciato simultaneamente linea per linea in rapida successione: in pochi secondi una centuria, supponendo che anche solo la metà degli uomini riuscisse a lanciare le proprie armi, avrebbero messo un giavellotto ogni mezzo metro quadro di fronte, con gli effetti che possiamo immaginare.
Post Scriptum |
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In queste fotografie è rappresentata, da due angolazioni diverse, una coppia di sciabole utilizzate dai nostri ascari eritrei: la somiglianza con la falcata iberica è impressionante.
Non so come si chiamino, ma sono molto diverse dalla Guradé e dalla Shotel, che hanno filo doppio e, in particolare quest'ultima, una forma a falce molto più pronunciata: forse sono una derivazione delle Yataghan turche, ma è solo una mia supposizione. |
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