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LA GUERRA PREVENTIVA DI UN DEMOCRATICO IDEALISTA

Epaminonda, "Enduring Freedom"e guerre "preventive"


nicola zotti



Il generale tebano Epaminonda ha lasciato pochissime tracce di sè nei documenti storici, e nonostante il suo grande ruolo nella storia militare ne ha lasciate ancor meno nella nostra memoria.

Parlo altrove della battaglia di Leuttra (6 luglio 371 a.C.) e di come egli distrusse la potenza spartana. Qui vorrei analizzare il suo pensiero militare, e cercare di intuirne non tanto una lezione, quanto un avvertimento agli strateghi di oggi.

Epaminonda fu un grande innovatore sia in materia tattica che strategica. È con lui che la tattica travalica il concetto di movimenti delle singole unità sul campo di battaglia, per ampliarsi fino a comprendere la battaglia stessa.

A Leuttra sconfisse la più grande potenza militare dell'epoca proprio per la sua più profonda comprensione dell'arte militare.

Superato dal numero e dal prestigio avversario, fronteggiava l'élite degli opliti, inarrivabili in termini di addestramento, capaci di compiere sul campo di battaglia, in virtù del loro costante e maniacale esercizio, manovre impossibili per chiunque altro e che terrorizzavano chiunque altro ma non i Tebani né Epaminonda.

Presi singolarmente, i Tebani erano migliori opliti degli Spartani, ma in battaglia questa considerazione aveva poco senso: sarebbe stata sufficiente una manovra al momento opportuno e gli Spartani avrebbero avuto ragione dei loro pericolosi rivali: con un attacco sul fianco, ad esempio, che essi compivano rapidamente, senza scompaginarsi e con risolutiva efficacia.

La battaglia che Epaminonda aveva in mente doveva essere decisiva. E doveva fare in modo di impedire agli Spartani di manovrare sul campo di battaglia per sfruttare la propria superiorità.

Su queste basi rielaborò il principio della massa, il più antico della storia dell'arte militare, modificandone il senso profondo e portandolo là dove noi oggi lo troviamo dopo la sistematizzazione teorica di von Clausewitz: la massa va impiegata con rapidità e determinazione nel punto dove essa è decisiva.

[Un'avvertenza necessaria: il concetto di massa ha senso solo in una prospettiva strategica, e un senso molto diverso nella tattica, dove ciò che conta sono gli individui, non le masse indistinte. C'è quindi un tratto un po' semplicistico in questa mia affermazione che potrò spiegare quando (e se) parlerò approfonditamente della massa]

Non sappiamo come egli calcolò l'equilibrio tra "massa" [notate ora le virgolette...] e fronte di intervento: la lunghezza di 50 ranghi di opliti della formazione tebana a Leuttra lascia intendere che si trattò di un fronte di appena 80 uomini, ovvero la Banda Sacra su 4 ranghi di profondità, seguiti dal resto dei tebani in altre 46 fila.

Questa formazione dovette avere nella velocità, più che nel peso, il suo punto di forza: svincolati dalla necessità di mantenere un impegnativo allineamento laterale, la colonna tebana si precipitò addosso ai nemici con un impeto e una rapidità che sorprese gli Spartani quando probabilmente erano ancora impegnati in una delle loro complesse manovre. L'effetto sugli Spartani quasi fermi e forse confusi dovette essere dirompente e la colonna tebana probabilmente invase la formazione avversaria dando vita ad una mischia dove la forza e il numero ebbero il sopravvento causando una vera e propria strage tra l'élite spartiate.

Una parte consistente dell'esercito spartano trovò rifugio al campo, pronta a combattere un'altra volta, ed è di questa eventualità che si occupò Epaminonda negli anni seguenti.

Nemmeno un frammento di discorso è rimasto a raccontarci le sue intenzioni, ma quello che avvenne poi è sufficiente a ricostruirle.

Sparta indebolita rimaneva un pericolo per la piccola democrazia tebana. Epaminonda ne doveva essere profondamente convinto a differenza di molti suoi concittadini che coltivavano idee diverse e, come spesso accade nelle democrazie, non ne facevano mistero ostacolandolo per quanto possibile.

La vittoria di Leuttra da sola era garanzia di una pace duratura? Secondo il suo stesso artefice no. Era solo un'opportunità che andava sfruttata cogliendo l'occasione per eliminare una volta per tutte Sparta e la minaccia incombente che essa rappresentava, non solo per Tebe, ma per tutta la Grecia.

Un obiettivo che aveva due volti: sottrarre a Sparta la sua fonte di sostentamento e i suoi soggetti, i suoi alleati forzosi, da un lato, e dall'altro distruggere Sparta stessa.

Due facce della stessa medaglia o, se preferite il gergo tecnico, due condizioni sinergiche, l'una dipendente dall'altra ed influenzante l'altra.

La prima condizione si configurava come una vera e propria operazione "Enduring Freedom" carica di pulsioni etiche e non solo di motivazioni politiche, che Epaminonda assorbì dagli intransigenti filosofi pitagorici, assai influenti a Tebe: si trattava di esportare con la forza la democrazia liberando in particolare gli iloti della Messenia dalla loro condizione servile, e consentendo alle comunità del Peloponneso di autotutelare la propria libertà dalle prevedibilissime ritorsioni spartane. Il sistema politico e sociale spartano sarebbe collassato per fame, perché nessuno avrebbe più coltivato la terra affinché loro potessero dedicarsi alla guerra, e con esso la potenza della stessa Sparta.

La seconda condizione, la distruzione fisica di Sparta, sarebbe stata la sicura garanzia della riuscita della prima.

In realtà Epaminonda aveva una sua gerarchia strategica: considerò opportuno indebolire preventivamente Sparta liberando e rafforzando le comunità ad essa soggette e ritenne che la sua nemica avrebbe reagito disperatamente ad una simile nefanda prospettiva, offrendo battaglia. Una scelta spontanea, dato l'idealismo e l'assoluta assenza di ambizioni personali del comandante tebano e dei suoi uomini, semplici contadini tradizionalisti che condividevano la sua fede in una Grecia i cui cittadini condividevano parità di diritti politici e non prospettive di radicalismo egualitario. Comunque una minaccia ben più pericolosa ed eversiva per Sparta di quella rappresentata da Atene, che se ne avversava il sistema oligarchico, ne condivideva, invece, le pretese imperialiste.

Epaminonda, sfidando i suoi concittadini, si lanciò in questa impresa con un grande esercito della lega Beotica a pochi giorni dalla fine del suo mandato di Beotarca (un comandante militare eletto) e convincendo i suoi colleghi a fare altrettanto. Su invito dei cittadini di Mantinea, ribellatisi agli Spartani, nell'Inverno del 370 invase il Peloponneso alla testa di un'armata di 40-50.000 uomini, tra i quali molti alleati peloponnesiaci, primo a violare quella terra da 350 anni, con un'altra invenzione strategica: la guerra preventiva.

Una tipologia di guerra non inedita ma mai realizzata prima in una forma così evoluta e su scala tanto grande, anche nella scelta della stagione, inusuale nella Grecia agraria abituata a combattere brevi guerre estive in concomitanza con la stagione dei raccolti.

Gli anglosassoni hanno più sottigliezza stragegica di noi nel definire la guerra preventiva: infatti distinguono tra "preemptive" e "preventive" War.

La preemptive War configura l'attacco di un contendente debole che effettua una difesa" anticipata" nell'imminenza di un conflitto. Una mossa aggressiva, ma con motivazioni difensive: attacco il mio nemico prima che lui attacchi me, perché solo prendendo l'iniziativa ho una possibilità di salvarmi.

La preventive War, al contrario, è una guerra puramente offensiva intrapresa da un belligerante forte per mantenere il vantaggio marginale con il suo avversario: attaccandolo preventivamente evita che si rafforzi ulteriormente e quindi diventi più difficile da sconfiggere.

Epaminonda intendeva sicuramente intraprendere una preemptive war, affrontando il rischio che si trasformasse in una preventive War, che, come è intuibile, è molto più controversa della precedente. A breve termine Sparta sarebbe stata sufficientemente debole da essere sconfitta, a lungo termine la sua struttura sociale classista non aveva futuro per puri motivi demografici: era a medio termine che poteva tornare pericolosa per Tebe e questa minaccia doveva essere affrontata in via preventiva.

Naturalmente si può fare un po' di propaganda e un po' di retorica, e spacciare la seconda per la prima, certo più giustificabile politicamente ed eticamente, ma in realtà il gioco si logora con rapidità: ad una velocità, si può dire, inversamente proporzionale alla durata della guerra stessa.

Il comandante tebano, di fronte al dilemma strategico rappresentato dalle due direzioni su cui instradare la propria guerra, optò per quella indiretta: ovvero liberare gli iloti della Messenia, tenendo come secondaria ed eventuale la strada più diretta, la distruzione fisica di Sparta.

Per meglio dire nella prima invasione minacciò Sparta solo per umiliarla, quindi vi provò seriamente nella sua ultima invasione nel 362, quando gli apparve maturo il momento o forse quando comprese che la via diretta era anche ormai inevitabile. Ma la Lega Beotica non riuscì nell'impresa e Sparta resistette all'assalto: né la simbolica distruzione dell'Acropoli né l'occupazione della città poterono certificare la fine di Sparta e della sua sovranità sulla Laconia, ma la devastazione di quelle terre e la minaccia arrecata alla città dimostrarono al di là di ogni ragionevole dubbio che Sparta non era più una potenza.

La via indiretta, però, era terribilmente impegnativa: richiese la fondazione di una cintura di fortezze (Messene, Megalopoli e Mantinea) attorno alla Laconia per stringerla d'assedio, e la formazione e l'insediamento al potere di affidabili élite democratiche in quelle città. Un'impresa che si rivelò difficile e richiese nuove imprese militari.

Nel 362, dopo quasi un decennio di guerre e aver subito quattro devastanti invasioni del Peloponneso, dopo essere riusciti ad evitare la conquista della propria capitale, gli Spartani orgogliosamente cercarono un'ultima disperata rivincita alla battaglia di Mantinea ma trovarono solo un'altra sconfitta.

Epaminonda perse la vita proprio al momento della vittoria: dopo aver dedicato tutta la vita alla distruzione di Sparta si era sacrificato per un simulacro di obiettivo.

Sparta, ormai, era infatti il fantasma di ciò che era stata e spaventava le città greche molto meno di Tebe: troppo lunga era stata la sua guerra preventiva, per troppo tempo Epaminonda aveva protratto il perseguimento dei propri obiettivi strategici e troppo aveva chiesto alla sua città e ai suoi alleati: raggiunta la libertà e la democrazia c'era per loro un obiettivo ancora più importante, l'autonomia, che li riassumeva tutti.

E abbandonarono Tebe, addirittura la combatterono, come Mantinea, che dopo aver guadagnato libertà e indipendenza grazie a Tebe iniziarono a temerla. Una conseguenza, ironica quanto si vuole, ma insita nei rischi dell'esportazione della democrazia. È vero che i conflitti tra nazioni democratiche sono estremamente rari e l'esportazione della democraziaè un' assicurazione contro l'aggressività dei regimi oligarchici, ma è altrettanto vero che i paesi democratici possono maturare personali convinzioni sui propri interessi nazionali e modificare di conseguenza le proprie alleanze.

La strategia scelta da Epaminonda aveva avuto successo, ma si era anche rivelata troppo dispendiosa in termini sia politici che economici per la Beozia.

Se il successo in una guerra preventiva può risultare in un immediato vantaggio strategico, è anche vero che i benefici di un'impresa così rischiosa rischiano di essere vanificati se non si è predisposto altrettanto preventivamente un piano ben meditato per rendere disponibile li successo militare ad una più ampia prospettiva di strategia politica capace di trarne una pace vantaggiosa.

In sè una guerra preventiva deve essere rapida, capace di paralizzare gli apparati decisionali del nemico obbligandolo alle necessarie condizioni politiche. Inoltre deve essere radicale nella sua decisività e non innescare nuovi conflitti.

I giudizi morali su una guerra preventiva dipendono essenzialmente proprio dal raggiungimento o meno di queste condizioni: se la guerra preventiva si impantana in una conflitto senza via d'uscita è inevitabile che il giudizio su di essa dell'opinione pubblica (democratica e non) si trasformi da "difensiva" in "aggressiva", da "prudente" in "folle".

A maggior ragione, se l'obiettivo politico è inevitabilmente di lungo termine, come l'esportazione della democrazia, è evidente che le cause che possono far perdurare il conflitto vadano eradicate con la maggiore energia e determinazione possibile, perché invariabilmente la loro persistenza prolungherà e comprometterà il raggiungimento di quegli stessi obiettivi.

È probabile, quindi, che nel 370-369, Epaminonda avrebbe dovuto con maggiore pervicacia insistere nel perseguimento della distruzione di Sparta: l'eliminazione della città avrebbe comportato la cessazione delle ostilità e reso inutili altri lunghi anni di guerre.

L'equilibrio tra mezzi e fini è estremamente fragile e ignorarne i vincoli può essere estremamente pericoloso: così Tebe pagò politicamente, oltre che economicamente e socialmente, il protrarsi della guerra.